New York Dolls vs Hanoi Rocks – Fathers and Sons
Il 08/09/2016, di Fabio Magliano.
In: Speciali Monografici.
Negli strani intrecci che il destino può offrire, può starci che le strade di maestri e discepoli, idoli e piccoli fan arrivino a intrecciarsi anche indissolubilmente. Sono piccole favole che spesso non vanno oltre alla semplice nota di colore, alla singolare curiosità, ma che contribuiscono a rendere a modo loro un po’ più affascinante la storia di un gruppo. Ci può stare, quindi, che i padri del glam si trovino legati strettamente con un gruppo nato a migliaia di chilometri di distanza, in un altro continente, in un’altra nazione, in un’altra epoca… Prendiamo quindi i New York Dolls, band capace all’alba degli anni Settanta di imprimere un’orma fondamentale nella storia della musica riuscendo nell’impresa di dare il là, in un colpo solo, a due correnti imprescindibili come il glam e il punk. Se le “Bambole” furono tra i primi (se non I primi) a introdurre nel mondo della musica un look volutamente estremo, pacchiano, smaccatamente kitch con zatteroni, spandex, capelli cotonati e rossetto à go-go gettando di fatto le basi a quella corrente che avrebbe nel tempo visto prima il trionfo del travestitismo pomposo di David Bowie e Peter Gabriel, quindi quello sguaiato e volgare di Motley Crue e W.A.S.P, Poison e Twisted Sister arrivando in tempi non sospetti, a esplodere nei travestimenti androgini del “reverendo” Manson; non meno importanti furono nel fare sbocciare il germe di quel punk solo in un secondo tempo tenuto a battesimo nel Regno Unito da quei Sex Pistols nati, come vuole la leggenda (e come confermato in sede di intervista dallo stesso Sylvain Sylvain) da un’intuizione di Malcom McLaren dopo un lungo periodo trascorso negli Stati Uniti cercando di limitare i danni causati dalle cinque “Bambole”. Sebbene da un punto di vista sonoro il punk facesse solo capolino delle composizioni dei ‘Dolls (musicisti singolarmente validi, all’antitesi da quella “cacofonia” predicata dai puristi del punk), è impossibile non scorgere il virus dello stile nascente nelle liriche sguaiate ululate da David Johansen, nell’attitudine volutamente auto-distruttiva (e la conta dei decessi in casa NYD la dice lunga sui livelli raggiunti dal gruppo), nella volontà di rappresentare un punto di rottura, anche visivamente parlando, rispetto a quanto fatto sino ad allora nel mondo del rock ed indicando una strada di fatto nuova per le band a venire.
E paradossalmente il gruppo che maggiormente si è avvicinato ai Dolls non ha visto la luce sotto una palma di Long Beach, nè all’ombra del CBGB bensì ha radici tra i ghiacci della Finlandia, arrivando ad abbattere idealmente qualsiasi barriera geografica e temporale. Impossibile infatti non riconoscere negli Hanoi Rocks i veri discepoli dei New York Dolls, e non è un caso se negli anni le strade delle due band si siano più volte incrociate, tra attestati di stima reciproci e collaborazioni concrete. Impossibile non ritrovare nella versatilità e nell’istrionismo di Michael Monroe quella vena da scafato entertainer che ha reso celebre negli anni David Johansen anche in campo cinematografico e extra-rock, nelle tendenze auto-distruttive di Andy McCoy (un personaggino che nel corso degli anni non ha voluto farsi mancare proprio niente) quella vena folle che ha condotto alla tomba Johnny Thunders, nel look della band che campeggia in bella mostra sulla copertina di ‘Oriental Beat’ il travestimento da matrone sfatte sfoggiato sulla cover del disco di debutto dei Dolls… perfino l’utilizzo di strumenti anomali in campo hard rock e ancor più punk come armonica, fiati, tastiere e che invece fanno spesso e volentieri capolino nei lavori delle due band, rappresenta un importante trait-d’union tra queste due realtà. E l’importanza, riconosciuta postuma, che questi due gruppi hanno rappresentato per la scena rock è un altro tratto distintivo molto forte che accomuna le Bambole di New York da quelle finlandesi. Due band alle quali una sparuta manciata di dischi (il conto al netto delle improbabili reunion si ferma a sette in totale) ha portato l’aura mitica della cult band lasciando però onori ed allori a terzi, a quei Sex Pistols nati sulla scia dei Dolls, o a quei Guns’n’Roses che mai negarono la loro ammirazione, la loro stima e la loro devozione nei confronti della band di Michael Monroe. Due band sfortunate per un motivo o per un altro, certamente sottovalutate e riscoperte solamente negli ultimi anni grazie ad una rinnovata vena revival, che ha riportato i nostalgici a riscoprire i loro vecchi lavori, partendo dal debutto omonimo delle “Bambole”, la scintilla dalla quale partì tutto, sino ad arrivare a ‘Two Steps from the Move’, il testamento della band finlandese giunta troppo presto al capolinea.
E allora ‘New York Dolls’, come detto, anno di grazia 1973, lo stesso di ‘Billion Dollar Babies’ di Alice Cooper e di ‘Raw Power’ degli Stooge. Il drummer originario, Billy Murcia, è già passato a miglior vita per un’accidentale overdose di eroina. Che la maledizione dei batteristi abbia inizio… con Jerry Nolan dietro le pelli, il disco può vedere la luce e riesce a rappresentare una forma di rottura sin dalle prime note di ‘Personality Crisis’ con il suo piano impazzito e la sguaiata voce di Johansen in bella mostra, una sensazione che arriva forte e diretta con la morbosa ‘Looking For A Kiss’, con quella versione da Stones indemoniati esorcizzata in ‘Vietnamese Baby’, nel drammatico crescendo di ‘Frankenstein’, nel surf infernale di ‘Trash’, una sorta manifesto new wave osannato dalla critica ma riscoperto dal pubblico solo anni dopo. Un anno più tardi vede la luce ‘Too Much Too Soon’ ma l’impressione è che qualcosa si sia già rotto, i dieci brani che compongono questo lavoro si dividono tra tracce originali e cover di classici r&b e rock’n’roll, una rivisitazione interessante nella sua vena folle che se da un lato porta alla luce una certa cultura musicale in casa Dolls, con un gusto che potrebbe cozzare con l’immagine grezza e volgare che le bambole si portano dietro, dall’altra non riesce a bissare in quanto ad impatto l’importanza avuta dal disco di debutto. E infatti con i primi problemi figli dei più svariati abusi, la band si sfalda, Johansen e Sylvain tirano avanti la baracca sino al 1976 in un patetico tentativo di mantenere a galla una nave già affondata, quindi le strade si dividono, Sylvain annaspa nel mondo del rock, il singer si reinventa attore e, con lo pseudonimo Buster Poindexter si ritaglia un ruolo importante nella scena swing/latin jazz newyorkese, mentre l’anima dannata dei Dolls continua a rivivere nel genio di Johnny Thunders, prima con i suoi Heartbreakers, quindi in veste solista.
Percorso analogo quello compiuto dagli Hanoi Rocks, con la differenza che prima di giungere al disco “cruciale”, la band finlandese passò attraverso una serie di lavori interlocutori utili più che altro per toglierli dal ghetto e dare loro una dignità di band anche al di là dell’Oceano. Dopo aver vissuto i bassifondi di Stoccolma e i ponti di Londra, i ‘Rocks pubblicano nel 1981 ‘Bangkok Shocks Saigon Shakes Hanoi Rocks’, lavoro acerbo nel quale emerge però già prepotente il magnetismo di Monroe, tra strizzate d’occhio agli Stones, carezze al garage degli Stooges ed ovviamente dichiarazioni d’amore ai Dolls. Un anno più tardi è la volta di ‘Oriental Beat’, disco più duro e per alcuni versi più sperimentale, che ancora una volta passa inosservato, ma ha il merito di aprire alla band la strada per quello che sarà il primo dei suoi picchi, quel ‘Self Destruction Blues’ che vede l’ingresso nella band di una figura fondamentale come il drummer Razzle ma, soprattutto, che vede l’esplosione del genio di Andy McCoy, fondamentale per la nascita di brani storici come ‘Kill City Kills’, ‘Love’s An Injetion’, ‘Cafè Avenue’ e ‘Problem Child’. Quindi ‘Back To Mistery City’, uscito a dieci anni esatti dal debutto dei New York Dolls e disco della svolta per i cinque finlandesi. Rispetto al lavoro precedente il sound si fa più maturo e personale, il party glam degli anni ’70 va a fondersi con una vena hard rock Ottantiana, gli sperimentalismi si susseguono, punk, rock, garage, surf, sleazy, blues si inseguono senza soluzione di continuità e non è un caso se le varie ‘Malibu Beach Nightmare’, ‘Mental Beat’, ‘Tooting Bec Wreck’, ‘Until I Get You’… oggi vengono annoverate tra le perle della produzione firmata Hanoi Rocks. L’America è pronta ad accogliere i nordici nel suo grembo, la Epic li mette sotto contratto, Bob Ezrin (Alice Cooper, Pink Floyd, Lou Reed) è pronto per aiutarli a compiere il grande salto ma appena pubblicato ‘Two Steps from the Move’ il batterista Razzle (rieccola la maledizione!) trova la morte nel famigerato incidente causato da un ubriaco Vince Neil, tragedia che segna di fatto la fine degli Hanoi Rocks, in questo frangente incapaci di raccogliere i cocci e ripartire senza il compagno di mille battaglie.
E’ in questo momento, con New York Dolls e Hanoi Rocks finiti nel dimenticatoio, che le strade delle due band iniziano a intrecciarsi sempre con maggiore insistenza. Michael Monroe non perde occasione di rendere tributo ai padri del glam incidendo nel suo primo disco solista ‘Night Are So Long’ una personale versione di ‘You Can’t Put Your Arms Around A Memory’ di Johnny Thunders, ripetendosi nel 1994 quando, con i Demolition 23, rifà ‘I Wanna Be Loved’ ancora una volta firmata dall’ex chitarrista dei Dolls, musicista con il quale il cantante platinato collabora in prima persona nel 1985 mettendo sax e armonica nell’album ‘Que Sera Sera’, album al quale collabora anche l’altro chitarrista degli Hanoi Rocks Nasty Suicide suonando su ‘Short Lives’. Legami stretti con la famiglia “Thunders” li intrattiene anche Andy McCoy il quale arriva a sposarne la cugina Angela Nicoletti, ancora oggi sua preziosissima collaboratrice, ma chi più ha in questi anni rinsaldato il legame tra i due gruppi è il bassista Sami Jaffa che nel 1987 prima si unisce on the road alla band di Johnny Thunders e Jerry Nolan, quindi entra in pianta stabile nei riformati New York Dolls di Johansen e Sylvain incidendo con loro ‘One Day It Will Please Us To Remeber Even This’ nel 2004, quindi ‘Cause I Sez So’ nel 2009, prima di rientrare in patria e unire le forze con l’ex compagno Michael Monroe nella sua nuova avventura solista, quasi a voler chiudere idealmente un cerchio aperto trent’anni prima…