Metal Cinema (2) – Il Cinema Di Rob Zombie
Il 02/04/2016, di Stefano Giorgianni.
In: Metal Cinema.
Genio e follia. Ci stiamo per addentrare fra sentieri oscuri, nei torvi e algidi meandri della mente di uno degli indiscussi protagonisti della musica Metal e non solo. Robert Bartleh Cummings, meglio conosciuto come Rob Zombie, nasce Haverhill, una città della contea di Essex del Massachusetts, il 12 gennaio 1965. Figlio più grande di Robert e Louise Cummings, è il fratello maggiore di Michael David Cummings (colui che diventerà il cantante dei Powerman 5000). La seduzione dell’horror comincia presto a instillarsi nella testa del giovane, che poi dichiarerà di voler diventare un ibrido fra Alice Cooper, Steven Spielberg, Bela Lugosi e Stan Lee. Mentre i genitori crescono la prole, lavorano in un parco di divertimenti, ma decidono di lasciare quell’attività dopo che scoppia una rivolta e il tendone va a fuoco. L’episodio segna profondamente il piccolo Robert, che dopo pochi anni rammenterà in un’intervista: “Tutti tiravano fuori pistole e si potevano sentire gli spari esplodere qua e là. Ricordo un tipo che conoscevamo, ci stava dicendo dove andare, un altro arrivò e lo colpì in faccia con un martello, gli aprì la faccia a metà. I miei genitori fecero i bagagli in fretta e furia e ce ne andammo”. Già da questo piccolo frammento biografico si intuisce da dove proviene l’immaginario orrorifico che infesta il cinema di Rob Zombie, un uomo che ha fra le sue ispirazioni principali la letteratura di H.P. Lovecraft, un regista che squarta gli esseri viventi e fa scorrere sangue a fiumi nelle proprie pellicole ma che nella vita è vegetariano etico (ora vegano) da più di trent’anni e sostenitore della PETA per la tutela dei diritti degli animali; un personaggio eccentrico, visionario, probabilmente l’erede contemporaneo dell’arte dell’horror. L’iconografia del regista è un viatico per le fobie della società americana ma non solo, un grumo di individui spaventati la cui psiche è vista attraverso la lente d’ingrandimento dei prodromi dell’orrore classico intriso, volente o nolente, di Metal; sì, perché il cinema di Zombie è inscindibile dalla nostra musica, da quella tutto ha avuto origine, dal momento in cui il ragazzo statunitense forma, nel 1985, gli White Zombie assieme alla sua fidanzata di quegli anni, Sean Yseult. Fra reminiscenze del cinema degli anni ’30 (il nome del gruppo proviene difatti dal titolo del film con Bela Lugosi del 1932, tradotto in italiano come “L’Isola degli zombies”, di Victor Halperin) e un intruglio inidentificabile di generi che vanno dell’heavy al groove, dall’alternative al noise rock, per finire sul più probabile industrial, la musica della band di New York è un primo indizio dell’originalità e dell’estro dell’artista, che troverà il suo (forse vero) sfogo nella settima arte, pur con un occhio sempre rivolto alle colonne sonore dei suoi film, spesso inquietanti e opprimenti tanto quanto le immagini proiettate sullo schermo. L’anima di Rob Zombie si capisce essere quindi scissa, fra i suoi due amori (od ossessioni) più grandi, che sfociano nel 2003 in quello che è ancora uno dei suoi migliori lavori dietro la camera da presa: “La Casa Dei 1000 Corpi”. Una pellicola sconvolgente, un film d’exploitation sfrenato che a tratti tocca persino il confine della commedia, un lungometraggio che sembra rigurgitare tutte le paure e le costrizioni che albergavano nell’uomo, un mix di citazioni che vanno dalla leggendaria famiglia Sawyer di “Non Aprite Quella Porta” con un’attitudine da Rocky Horror Picture Show. Un film non facile da capire e da accettare ( lo dimostrano i giudizi della prim’ora della critica), ma che in realtà frutta a Zombie una già consistente fetta di adepti. La regia di Rob Zombie si scopre così essere acida, mal digeribile, ma lo è in proporzione al suo esser irresistibile, senza dubbio esagerata e scorretta, ben strutturata e imprevedibile allo stesso tempo, uno spazio in cui risaltano il grottesco e la perdita della speranza sul cui sfondo c’è violenza coscienziosamente irragionevole. Certo è che questo primo film incide già un profondo solco che divide coloro che amano all’insania (mai termine fu più adatto) la mano del cineasta esordiente e la fazione che lo detesta e che sempre più lo odierà.
Poco da dire resta in questa conclusione, un primo passo nella selva oscura di un individuo che è riuscito in pochi anni ad accendere una miccia chi difficilmente si spegnerà. Fatto sta che siamo a pochi mesi dall’arrivo del nuovo capitolo cinematografico “31”, che già qualche critica ha suscitato. Staremo a vedere.