Jerry Cantrell – I Want Blood
Il 31/12/2024, di Francesco Faniello.
Gruppo: Jerry Cantrell
Titolo Album: I Want Blood
Genere: Alternative Metal, Hard Rock
Durata: 46:10 min.
Etichetta: Double J Music
“Bene, recensisco ‘I Want Blood’ di Jerry Cantrell”. A giudicare dalle levate di sopracciglia, dagli “ok” pronunciati a mezza bocca e dai vari “mi farai sapere/mi saprai dire”, non ero l’unico ad avere delle riserve sulla carriera solista del biondo axeman protagonista della gloriosa stagione di Seattle. Certo, quando tutto ebbe inizio (era ‘Boogy Depot’, vero?) trovai perfettamente legittimo il fatto che quello che resta uno dei grandi cantori della sei corde d’Oltreoceano intraprendesse un percorso artistico proprio, data l’evidente e triste fermata a tempo indeterminato degli Alice In Chains nella seconda metà degli anni ’90. Però, se devo dire di ricordare qualcosa di quel disco, invoco decisamente la domanda di riserva. Più per averlo appreso dalle riviste che per averlo letto in una inner sleeve, seppi poi che l’ovvia scelta di Inez e Kinney come comprimari aveva lasciato il passo a Trujillo e Bordin (prima, dopo o durante la presenza degli stessi alla corte di Ozzy?) per il secondo lavoro a sua firma – una sezione ritmica che troviamo riprodotta anche qui, tanto per dire. Ma anche qui, curiosità poca e mordente dagli sporadici ascolti non pervenuto. Uno dei due album aveva la copertina giallina, vero? L’arrivo di William Duval nella vita dei tre orfani di Staley non ha migliorato le cose – probabilmente a mio torto, come sempre – ma la mia percezione è stata che se il Nostro cercasse di inseguire la Casa Madre il risultato portasse a un ingombrante paragone; se invece cercasse di distaccarsene, l’amaro in bocca facesse pronunciare il canonico “ma quindi?”.
È dunque per puro caso che io mi sia accostato a ‘Vilified’, primo singolo di questo ‘I Want Blood’: galeotto fu un qualche reel su un social network, chissà quanto avrebbe contribuito alla causa di ‘Boogy Depot’ la sua uscita in epoche moderne – meglio non pensarci, si rischierebbe di invocare un qualche cortocircuito dimensionale.
La succitata opener, per dire, ha esattamente le due facce della medaglia che Cantrell si porta dietro come una nemesi da anni, eppure… risulta dannatamente convincente nel suo riffing vorticoso di concezione non classica e nella sua alienazione acida che strizza l’occhio ai vecchi tempi. Attenzione: non è neanche il pezzo più interessante del lotto, ma già le antenne si drizzano a dovere, anche per via di un finale troncato alla maniera della buona vecchia ‘Grind’. Basta l’attacco di ‘Off The Rails’ a capire che Adrian Smith doveva un favore agli Alice In Chains per via dei suoi Psycho Motel, ed è arrivato il momento di renderlo – scherzi a parte, l’oscurità pristina da cui i ragazzi di Seattle pescavano a piene mani per poi ricoprire il tutto di flanella inizia a presentare il conto e a emergere tra le fibre sdrucite di quei camicioni a scacchi. Il tutto con l’accompagnamento di quelle voci che devono raddoppiarsi per ricordarci l’amico di mille battaglie, tutte perse, e che sono comunque espressione di un genio che è tuttora qui tra noi e lancia la sua ipoteca sui nostri ascolti.
Che a entrarvi nel cuore sia il riffing con arpeggio da tragedia incipiente di ‘Afterglow’ o l’incedere consumato di ‘Echoes Of Laughter’ che lascia spazio a un assolo da incorniciare come ai vecchi tempi, poco importa; un episodio come ‘Throw Me A Line’ riesce a sembrare contemporaneamente l’imitazione dell’imitazione del manuale del grunge, eppure a catturare l’incauto uditore con un riff che sembra tradire inclinazioni southern ben sottolineate da quel vecchio servizio di MTV in cui il nostro eroe masticava tabacco armato di forcone mentre sistemava quello che doveva essere il suo campo affacciato sulla West Coast. Lo stesso effetto che fa ‘Let It Lie’, di cui ti aspetteresti un video tutto colorato, con i futuri pupazzetti tooliani pronti a esplodere al cospetto di un ritornello che torna a indugiare sul vizietto tritonale. E finalmente giunge ‘It Comes’, i perfetti titoli di coda con quell’innocente citazione di ‘Hey You’ che sferza le danze sparigliando le carte di un arpeggio tanto malato quanto abbellito da melodie che sembrano rimaste nel cassetto dai tempi di ‘Sap’. Solo una rievocazione dei tempi passati per nostalgici dalla lacrimuccia facile? Nah, non era questo l’intento di Cantrell, e lo dimostra con un album che vince e convince, scrollandosi di dosso qualsiasi fantasma del passato proprio perché è riuscito a capitalizzarne l’essenza e a renderla parte di un sound rinnovato, con un sacchetto pieno di trucchi del mestiere da cui attingere.
Lungi dal voler essere l’erede diretto di ‘Tripod’, ‘I Want Blood’ chiama a sé quel bagaglio di esperienza sottolineandone l’immortalità e aggiornandolo a tempi diversi da quelli di allora, così che ognuno possa leggervi quello che più sente vicino alle sue corde. Esattamente come quando si è ormai dato per perso l’incedere della title track, che sembra una ruffiana e baldanzosa parata nello stile dei Queens of the Stone Age finché il mago della sei corde che fa gli onori di casa non tira fuori una variazione ariosa e malata allo stesso tempo, memore dei fasti di ‘Sickman’ (e non potrebbe essere altrimenti, vero?).
E allora? Fidatevi, stavolta… fidatevi e diffidate dalle imitazioni!
Tracklist
01. Vilified
02. Off The Rails
03. Afterglow
04. I Want Blood
05. Echoes Of Laughter
06. Throw Me A Line
07. Let It Lie
08. Held Your Tongue
09. It Comes
Lineup
Jerry Cantrell: guitars, vocals
Duff McKagan, Robert Trujillo: bass
Gil Sharone, Mike Bordin: drums
Lola Colette, Greg Puciato: backing vocals
Vincent Jones: keyboards