David Gilmour – Luck and Strange
Il 27/12/2024, di Francesco Faniello.
Gruppo: David Gilmour
Titolo Album: Luck and Strange
Genere: Progressive Rock, Rock
Durata: 61:44 min.
Etichetta: Sony Music
“Sono un cantante”, questa era la laconica risposta all’interlocutore di turno che gli chiedeva come avesse fatto a scrivere pagine pregne di immortalità nel manuale della chitarra solista. Proprio così: David Gilmour è un cantante, e che sia impressa nella vostra memoria la figura bruciata dal sole in quella Campania dei primi anni ’70 o magari la giacca su cui cadevano gli ultimi scampoli di capelli lunghi a Venezia, o ancora l’aria sorniona con cui suona partiture pacate al Live 8 o in compagnia di Crosby e Nash, non è possibile prescindere da quell’asta del microfono che lo segue da quando affiancò l’amico Barrett nei pochi giorni dell’improbabile quintetto.
Per sgombrare il campo da dubbi, faccio subito ammenda e dico che del Gilmour solista conosco quello che giocoforza conoscono tutti: qualcosa dei precedenti due album (le title track?), laddove il debut solista e ‘About Face’ mi passano davanti agli occhi della memoria come elementi da catalogo. Un’occasione persa per me? Forse, per quanto abbia visto o ascoltato vari estratti nel tempo, compresa l’ospitata di Mason in un club stipato negli anni ’80, poco prima che la sospensione momentanea del pensiero logico prendesse piede.
E allora ve lo dico sin da ora: nel minuto e mezzo dell’introduzione ‘Black Cat’ ci sarebbe potuto stare anche tutto il disco, in una mossa minimalista che certamente non appartiene allo stile del Nostro ma che lo avrebbe reso riconoscibile a chiunque, con quelle note, con quel tocco, con quella fattura che è solo sua e che comunque vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Tra l’altro, quel lick non verrà affatto sprecato nel corso di ‘Luck and Strange’, anzi.
Ecco, ‘Luck and Strange’ probabilmente non è il disco dell’anno, ma è quello su cui mi sono soffermato più spesso in questa fase finale di passaggio tra autunno e inverno. Contiene un po’ di passaggi a loro modo memorabili, tra cui la title track (per il discorso di cui sopra) e qualcos’altro di cui vi dirò, ma sono anche le atmosfere dei pezzi relativamente più deboli a stregarmi: c’è ad esempio qualcosa di indie su ‘A Single Spark’… anzi, di synth/electro/dream pop, che fa fortemente da contrasto con la timbrica corrucciata del Maestro e con un assolo che sembra tratto da quelle partiture ariose già emerse a suo tempo su ‘A Great Day for Freedom’.
Nonostante poi una strofa fastidiosa come poche, c’è qualcosa di fortemente legato al folk, alla brughiera su ‘The Piper’s Call’, ma anche di quell’accorato raccogliersi che era già stata la cifra di ‘On an Island’. Un raccogliersi invernale e un po’ canuto? Può darsi, ma l’impagabile soddisfazione di suonare una Les Paul dopo decenni di simbiosi con la Fender è anche questo, in una riedizione a modo nostro del noto monologo di Jep Gambardella ne “La Grande Bellezza”. E poi, ci credo che i vostri polsi siano tremati su ‘Dark And Velvet Nights’. Ero lì lì per proclamarla il pezzo dell’anno, perché… prima di diventare un bebop da balera caraibica o balearica, non sembra di sentire gli echi di ‘In The Flesh’ nella pomposa apertura? Fortuna che ci pensa ‘Sings’ a riportare la lancetta sulla world music un po’ esistenzialista, basandosi come fa sul passo di tastiera alla maniera di Daniel Pemberton (avete presente la colonna sonora di “Yesterday”? Quello lì).
Ve lo dicevo, ho dedicato più di un paragrafo agli episodi meh solo per dichiararvi la presa di coscienza degli anni che passano, per me e per David Gilmour. Tocca dunque agli assi nella manica, a partire dalla valenza speculare della title track, qui presente anche in versione Barn Jam con – proprio lui – Richard Wright al piano; per non parlare del tocco quasi vicino agli AIR di ‘Talkie Walkie’ conferito da Romany Gilmour sulla cover di ‘Between Two Points’, mentre ‘Yes, I Have Ghosts’ è quasi watersiana, o richiama Cat Stevens e Leonard Cohen se preferite, anche grazie alla presenza della figliola – potete scommetterci. Il classico è però lì, dietro l’angolo, alla fine della tracklist ufficiale (le ultime due sono gradite bonus tracks): ‘Scattered’ è l’elegia finale, quasi un brano di musica descrittiva alla maniera della classica ‘Sorrow’ con in più un bridge di pianoforte dal sapore vicino ai fasti di Broadway. E poi, ancora una volta, nel più puro stile del colpo di scena hollywoodiano si eleva l’assolo definitivo, quello che prelude all’ingresso in scena dell’Eroe e che non a caso cita ‘Black Cat’ dopo aver richiamato il fraseggio “They’re right, you’re wrong” presente poco prima nella tracklist. Se il pensiero va a un altro Eroe che emerge con forza dalle partiture acustiche, siete nel giusto: così come Blackmore negli ultimi decenni squarcia spesso e volentieri a colpi di assoli la tela intessuta dalla novella Penelope Candice Night, è qui Romany con la sua arpa a rappresentare parte di quella ragione a cui si oppone il pristino sentimento del rock in un contrasto dialogico che sfiora il capolavoro e rende oro ciò che luccica anche di fioca luce. Buon ascolto.
Tracklist
01. Black Cat
02. Luck and Strange
03. The Piper’s Call
04. A Single Spark
05. Vita Brevis
06. Between Two Points
07. Dark and Velvet Nights
08. Sings
09. Scattered
10. Yes, I Have Ghosts
11. Luck and Strange original Barn Jam
Lineup
David Gilmour: guitar, vocals
Romany Gilmour: harp, backing vocals
Guy Pratt: bass
Tom Herbert: bass
Adam Betts: drums
Steve Gadd: drums
Steve DiStanislao: drums
Rob Gentry: keyboards
Roger Eno: keyboards
Richard Wright: keyboards on ‘Luck and Strange original Barn Jam’
Will Gardner: choir and orchestral arrangements