Desert Storm – Death Rattle
Il 21/03/2023, di Dario Cattaneo.
Gruppo: Desert Storm
Titolo Album: Death Rattle
Genere: Progressive Metal, Sludge Rock/Metal, Stoner Rock/Metal
Durata: 47 min.
Etichetta: APF Records
Una delle cose che ancora mi diverte del lavoro di recensore è l’immaginare cosa troverò in un nuovo disco prima di metterlo effettivamente sul piatto. Soprattutto per band che non conoscevo o non avevo mai approfondito prima la lettura delle promo notes, la copertina, lo stesso lettering del monicker finiscono sempre per darmi qualche informazione che mi indirizza verso le sonorità da scoprire durante l’ascolto. Ecco, dobbiamo dire che con questi Desert Storm, ci siamo invece trovati un po’ spiazzati. Descritti (forse un po’ impropriamente) come progressive band; questi cinque energumeni di Oxford si presentano a chi non li conosce con una copertina da gruppo doom/death, un nome quasi classic metal e un aspetto nelle foto da rudi rocker degli Stati del Sud. Spiazzante, vero?
Ci immergiamo nell’ascolto senza pregiudizi quindi, e quello che scopriamo da in definitiva il quadro di una band difficile da catalogare, e non solo seguendo i parametri prima elencati. Ad esploderci in faccia è infatti è l’heavy sabbathiano di ‘Master Of None’, brano robustissimo in virtù di una sezione ritmica decisamente presente, un riff di chitarra di chiara estrazione Iommi e la voce ruvida del cantante Ryan, qui al lavoro più sulle melodie che sull’aggressività. Più progressiva si pone invece la successive ‘Cheyenn Stoking’, ma non nel senso ampiamente sdoganato di musica strumentale iper tecnica. La ‘progressione’ la cogliamo nell’evoluzione continua del pezzo, che parte acustico per poi inspessirsi con lo scorrere del minutaggio: da questo punto di vista non possiamo che notare come in effetti la canzone sia costruita bene, alternando momenti sinistramente tranquilli a brusche esplosioni elettriche fino a una ruvida cavalcata finale. Variegata senza mai perdere la tensione di fondo, questa seconda traccia rappresenta sicuramente uno degli apici del disco. Meno di nostro gradimento invece è stato il secondo singolo dell’album, ‘Bad Trip’. Pur mantenendo un senso della progressione simile (inizio acustico con successivo inspessimento del sound) la canzone scivola su lidi propri dello sludge più melmoso, genere che a quanto pare era predominante nel songwriting dei Nostri sui tre album precedenti. La voce si fa urlata, le chitarre si inspessiscono perdendo di definizione nel riffing, ma l’aggressività costruita in questa maniera non sfocia mai in vera violenza, rimanendo compressa in un brano che dopo un perde la sua tensione. La parte che segue, quella centrale dell’album, è però quella che ci è piaciuta di più. ‘Melatone’ e ‘Salt of The Earth’ raccolgono la grondante cupezza e l’imperante malumore dell’album e lo impastano con quanto sentito finora… il risultato sono due canzoni forti dal punto di vista emozionale, ma in modo diverso. La prima, arricchita di melodie quasi celtiche, è cupa e dura, ma mostra liquidi squarci di melodia che la elevano al di sopra delle altre; mentre la seconda è ancora più triste e malinconica, con la voce impastata e malinconica a perfetto complemento di soluzioni liquide e acustiche di gran pregio. ‘Druid’s Hearth’ e ‘Insomniac’ non ci esaltano così tanto e tornano a calcare territori e sonorità abrasivi cari a Mastodon e Crowbar, la seconda addirittura con uno sguardo verso alcune forme di hardcore americano. ‘Self Depracation’ è ancora sludge, ma torna ad affondare le mani nel vischioso limo dei riff di marca Black Sabbath e risulta comunque carina; questo subito prima che ‘A New Dawn’ chiuda il sipario con sonorità strumentali ancora diverse, che appunto fanno presagire una nuova alba per la band stessa.
‘Death Rattle’ è un album quindi tutto da scoprire. Estremamente vario, estremamente scostante, non è un buon compagno di viaggio per chi non apprezzi queste sonorità così cupe e umorali o generi quali appunto lo sludge e lo stoner, però è un album che vale la pena scoprire se si è addentro a queste sonorità. E’ suonato bene e composto con una innegabile astuzia, il che rende comunque interessante la scoperta dei singoli brani, che non sono mai diretti e prevedibili, ma anzi mostrano scarti e curve inaspettati. Non possiamo dire che ci sia piaciuto tutto, ma delle piccole gemme le abbiamo trovate. Potreste fare altrettanto voi, se ci provate.
Tracklist
01. Master Of None
02. Cheyne Stoking
03. Bad Trip
04. Melatone
05. Salt Of The Earth
06. Druid’s Heath
07. Insomniac
08. Self Deprecation
09. New Dawn
Lineup
Chris Benoist: Bass
Elliot Cole: Drums
Chris White: Guitars
Ryan Cole: Guitars
Matt Ryan: Vocals