Udande – Slow Death. A Celebration of Self-Hatred
Il 11/01/2023, di Maurizio Buccella.
Gruppo: Udande
Titolo Album: Slow Death. A Celebration of Self-Hatred'
Genere: Atmospheric black metal
Durata: 38:43 min.
Etichetta: Vendetta Records
Chi, nella vita, non ha mai augurato una morte lenta a colleghi, capiufficio, ex partners o cassieri lenti come il debutto degli Skepticism? Adesso, grazie ai nobili sforzi del multistrumentista danese (ora trapiantato in Slovacchia) Ramsus Ejlersen, in arte Udande, avrete modo di donare questo simpatico augurio di lenta agonia dall’esplicativo titolo ‘Slow Death. A Celebration of Self-Hatred’, successore dell’esordio ‘Life of a Purist’. A differenza del debutto, in linea di massima fedeli ai dogmi del black atmosferico con venature shoegaze, ‘Slow Death’ vanta un sound più idiosincrasico, meno impregnato delle spore di Uada e Mgla.
Nello specifico sono apprezzabili derive ritmiche sconfinanti nel Doom-Death, evidenziate da scelte di produzione più calcate sul groove.
L’album si compone di sei pezzi, tutti intorno ai 6/7 minuti di lunghezza, il che si configura come politica compositiva funzionale per fare durare i brani più del tempo necessario a pronunciare i titoli alquanto prolissi. In generale le tracce sono tutte variazioni sul tema dell’agonia psichica, tinteggiate da combinazioni variabili di scale black e rallentamenti mortiferi. I foschi interludi arpeggiati contribuiscono all’atmosfera generale di miseria esistenziale che, sotto le feste natalizie, sono ottime per fare da colonna sonora alle tavolate di famiglia.
Per restare in materia (putrida) di black atmosferico, con l’ultimo Woods of Desolation, malgrado la complessiva qualità generale dell’opera, avevo dovuto depennare una manciata di punti dal voto finale a causa della performance vocale del compositore australiano – ennesima one man band, strano, vero? – che minacciava di innaffiare di guano da piccionaia il valore complessivo del disco. Al contrario, con gli Udande, quegli stessi punti strappati dalle lustrine dei WOD confluiscono nel voto totale di questo ‘Slow Death’, in ragione dell’ottima prova vocale di Ejlersen, profonda, funesta, rabbiosa. Se nel primo disco prevaleva lo Scream canonico, buttato là come in linea con le aspettative di genere, qui la linea vocale si distingue sia per la scelta stilistica di usare il growl, innestato sul riffing di marcata derivazione black, ma soprattutto perché le vocals death finiscono per potenziare quella nebulosa di rabbia ontologica che scorre come fiumi sotterranei di piombo fuso entro le più raffinate sovrastrutture blackgaze.
Tracklist
01. I’m Not a Pessimist, I’m a Realist
02. Who Got Diagnosed Years Later
03. and Denied All Sense and Reason
04. I Mean, Who am I to Blackout?
05. We Should Welcome the Suffering,
06. Remember Not to Praise the False King
Lineup
Ramses Ejlersen (vocals, guitars, bass)
Nicko Veres (drums session)