Devin Townsend – Lightwork
Il 22/11/2022, di Dario Cattaneo.
Gruppo: Devin Townsend
Titolo Album: Lightwork
Genere: Ambient, Elettronica, Inclassificabile
Durata: 57 min.
Etichetta: InsideOut
Distributore: Sony
Cosa può fare un evento destabilizzante come la pandemia a una mente già destabilizzata come quella di Devin Townsend? Cominciamo a pensare che forse non lo scopriremo mai. E’ già difficile districarsi tra le varie ramificazioni della sua carriera (Casualities of Cool, DTP, Strapping Young Lad, e altro…) ma ultimamente è diventato difficile farsi un quadro del folle artista canadese anche rimanendo all’interno di un singolo ramo, ovvero un singolo dei suoi molteplici progetti. Avevamo ancora nelle orecchie i suoni gonfi e maestosi del grandioso ‘Empath’, ultima testimonianza pre-pandemia della discografia riportante il suo nome; e già l’anno successivo il perfido Devin provava a smontarci questo ricordo con il folle caos del contorto ‘The puzzle’, salvo poi ricordarci del lato riflessivo del suo carattere con il contemporaneo mini-album ‘Snuggles’. E ora, nemmeno un anno dopo, ecco di nuovo con in mano un altro lavoro, che manco a dirlo ha un tiro e una direzione ancora una volta diversa.
Direzione che ci viene resa chiara fin dall’opener e singolo ‘Moonpeople’, arioso brano di rock(tanto)/metal(poco) con un andamento a la Muse che assolutamente non ci aspettavamo. Dove vuole portarci dunque questa volta l’estroso artista? Lo scopriamo mano a mano con la title-track ‘Lightwork’ e la successiva ‘Equinox’, la prima che toglie un po’ di elettronica reintroducendo un po’ di chitarre gonfie e ricche sulla falsta riga di ‘Epicloud’, e la seconda che cerca di coniugare l’atmosfera rilassata del primo brano con il ‘graffio’ del secondo, regalandoci un pezzo in invidiabile equilibrio tra i due umori. ‘Call fo the Void’ spezza ancora la continuità di un album che non sarà mai veramente lineare, soffermandosi su atmosfere ariose e prive di chitarre ma arricchite da melodie ben congegnate, che ancora una volta guardano senza timore a lidi anche pop e non solo rock. ‘Heartbreaker’ ha un afflato più nervoso ed elettronico e non ci piace più di tanto, ma ‘Dimensions’ ci convince di più, grazie a un clima più cupo e minaccioso che richiama il volto di Devin che ci piace di più, quello luciferino e distorto in una folle risata mlavagia. ‘Celestial Signals’ è più epica pur restando sempre easy-listening ma – al netto dei successivi due brani, più interlocutori – il pezzo che ci piace di più rimane la conclusiva ‘Children of God’, con la quale torniamo a respirare la ricchezza strutturale e sonora del grandissimo ‘Empath’, ancora adesso uno dei nostri passaggi preferiti della carriera di Townsend.
A voler essere sinceri, l’album in se all’inizio non ci è piaciuto subito. Almeno, non del tutto. Se come già scritto in precedenza nei passaggi con un sound più pieno ci siamo trovati bene, alcune scelte qui effettuate ci sono risultate ostiche. Lento in certi punti, un po’ sornione, un poco inconcludente… insomma, di difetti ne abbiamo trovati, e continuiamo a vederne. Però, la genialità di Devin alla fine si sente sempre, sia nei passaggi che riteniamo più nelle sue corde (ma forse meglio dire nelle nostre) sia sui sentieri nuovi o poco battuti, come per la strana ‘Moonpeople’ o la rilassata ‘Vacation’. Alla fine, nei suoi dischi lui ci racconta sempre qualcosa di sé, se siamo disposti ad ascoltare cosa ha da dirci, difficilmente ci potrà deludere.
Tracklist
01. Moonpeople
02. Lightworker
03. Equinox
04. Call Of The Void
05. Heartbreaker
06. Dimensions
07. Celestial Signals
08. Heavy Burden
09. Vacation
10. Children Of God
Lineup
Devin Townsend: Vocal, All Instruments, composition, orchestrations.