Porcupine Tree – CLOSURE / CONTINUATION

Il 24/10/2022, di .

Gruppo: Porcupine Tree

Titolo Album: CLOSURE / CONTINUATION

Genere: ,

Durata: 48 min.

Etichetta: Music For Nations

67

Il ritorno dopo uno scioglimento consumato anni fa, un album difficile da contestualizzare e anche da recensire. La prima domanda che mi pongo da grande fan di vecchia data è: cosa mi aspetto?
Sinceramente qualcosa di ricercato, magari che lasci il segno, qualcosa per cui ne valga la pena ritornare in studio e scomodare il nome Porcupine Tree, per lungo periodo punta di diamante di un progressive rock ricercato, impegnato, all’avanguardia sul fronte della produzione.
Lungo e articolato il percorso di Steve Wilson, con progetti che lo hanno portato ad arricchire la sua esperienza come compositore e produttore, come tra l’altro per il resto della band, solo orfana del bassista Colin Edwin. Ne avrà giovato quindi il progetto del porcospino?
L’ascolto inizia con l’opener ‘Harridan’, il basso tra le braccia di Wilson apre e detta il ritmo, con Harrison dietro le pelli è subito grande groove. La partenza fa ben sperare, c’è energia. Le linee vocali sono ispirate e molto curate anche dal punto di vista degli effetti applicati. La traccia tiene viva l’attenzione, variazioni di atmosfere si susseguono, tutto scorre ed emerge l’esperienza di Barbieri e Harrison. Non siamo lontani da ‘Fear of a Blank Planet’.
Si passa a ‘Of the New Day’, acustica dolce, malinconica: “Hold your fear in check my dear, there’s no need to fight, just drift away on the new day, find yourself a better way to meet the future, it’s all that you crave, a silhouette of the new day, walk away from what you love and all your people into fog, and live again on the new day”. Atmosfere alla ‘Deadwings’, come anche i break distorti. Il brano resta sulla stessa linea fino a chiudersi lasciandoci sospesi.
‘Rats Return’ sembra riprendere la strada di ‘Harridan’. Tanto groove, riff interessante, la sessione ritmica ricama bene, lasciando spazio alle linee vocali ispirate che si completano con cori perfettamente inseriti come Wilson ci ha abituato (maestro nella loro realizzazione e produzione). Garrison approfitta del brano per sfoggiare il suo stile che qui si svela a pieno chiamando all’appello ogni pezzo di quella fortunata batteria. Brano che merita più ascolti.
Quarta traccia, ‘Dignity’, un altro salto nelle atmosfere degli album storici dei Porcupine Tree. Ritornello molto piacevole, il testo messo in coda ai precedenti inizia a far intravedere un concept: So pack up your belongings, and stop talking with yourself”. Finalmente un primo assolo di chitarra, ma è solo un intermezzo e poco più, si ritorna per chiudere con il ritornello e un’apertura che non aggiunge nulla. Ballata tipicamente in stile Wilson.
Con ‘Herd culling’ ancora sull’asse Harridan-‘Rats Return’, groove, Harrison che ci sguazza. Wilson ormai è chiaro, in questo lavoro si è più concentrato sulle voci che sulle chitarre, che non emergono mai relegate ad una ritmica di fondo. Voci sussurrate molto ben realizzate ci regalano altri minuti interessanti. Il brano ripete fino all’ossessione le stesse parti e conclude i suoi eccessivi sette minuti con un assolo di chitarra che non entusiasma. Buone idee non sviluppate.
Siamo alla sesta traccia e con le due successive possiamo dire che assistiamo a una carrellata di filler. ‘Walk the Plank’, brano lento e atmosferico, con l’elettronica protagonista ma che non trova la sua strada. ‘Chimera’s Wreck’ è una traccia ultra cupa. Prova a dare corpo Harrison, che insieme alla chitarra ritmica propone un riff interessante ma che nulla a che fare con la parte precedente del brano. L’assolo che segue palesa l’assenza di idea e battezza il brano un vero e proprio passo falso per l’album. Tornano le voci, l’arpeggio iniziale di chitarra, diventa tutto un vortice e inizia a riemergere ogni parte precedente. Il caos. ‘Population Tree’ è la prima traccia bonus e una strumentale con un’atmosfera non male ma che resta al palo, girando su se stessa per quasi sette minuti.
Quando le speranze stavano per sfumare del tutto, con ‘Never Have’ ci si sveglia con un brano orecchiabile con una chiara identità. Le voci riempiono lo spettro, la sessione ritmica sostiene e offre un crescendo finalmente solido e coerente. Brano pieno di energia e dal testo interessante: “You grasp, but you never hold, you ask, but you’re never told, ‘cause the truth hurts, this is the modern world”. Trascurando il progressive, brano migliore dell’album, strano che sia finito tra le bonus track!
Si chiude con ‘Love in the Past Tense’, sembra di ascoltare Phil Collins. Altro brano incentrato sulla voce, intorno si apprezza comunque un gran lavorio di Gavin. Traccia che ha poco da offrire. Se saranno gli ultimi minuti in studio dei porcospini… c’è tanto da riflettere.

Questo album a mio parere non aggiunge sostanza alla discografia dei Porcupine Tree. Difficile parlare a questo punto di progressive, nel senso di sperimentazione, ricerca, evoluzione. Disorienta quindi la decisione di pubblicare questo album da parte di una band dal valore indiscutibile.

Album a supporto di un tour.

Tracklist

1. Harridan
2. Of the New Day
3. Rats Return
4. Dignity
5. Herd Culling
6. Walk the Plank
7. Chimera’s Wreck

Bonus track:

8. Population Three

9. Never Have

10. Love in the Past Tense

Lineup

Steven Wilson – vocals, guitars, bass, piano
Richard Barbieri – keyboards, synthesisers
Gavin Harrison – drums, percussion