Iron Maiden – Senjutsu

Il 10/09/2021, di .

Gruppo: Iron Maiden

Titolo Album: Senjutsu

Genere:

Durata: 82 min.

Etichetta: Parlophone

Distributore: Warner Music

65

Per il loro diciassettesimo album, gli inglesi Iron Maiden (c’è bisogno di presentazioni?) prelevano dal giapponese un’interessante parola: senjutsu, ovvero “tattica e strategia”. La “strategia”, o evoluzione, avuta dalla band soprattutto dopo la reunion, è stata quella di spostarsi su lidi simil Progressive, con brani più cadenzati, lunghi, strutture articolate (alle volte prolisse), ma tutto sommato una qualità che, supportata dai dati di vendita, non li ha mai visti uscire sconfitti dopo una release, sia che si trattasse del bellissimo ritorno con Dickinson e Smith dal nome ‘Brave New World’, sia dei discussi album successivi. Registrato ai Guillaume Tell Studios di Parigi nel 2019 durante una pausa dal ‘Legacy Of The Beast Tour’ (del cui album dal vivo qui trovate la mia opinabile recensione), ‘Senjutsu’, prodotto nuovamente da Kevin Shirley (con co-produzione di Harris), giunge a noi sei anni dopo ‘The Book Of Souls’ e, assieme proprio al suo predecessore, rappresenta il secondo doppio disco della band. Tuttavia, non parte in egual modo: la title-track, posta come brano d’apertura, nonostante i suoi otto minuti abbondanti, non decolla mai, appoggiandosi fin troppo sull’iniziale riff di chitarra, un ritmo e spirito battagliero (tributo all’arte giapponese delle percussioni) che, senza grandi stravolgimenti, alla lunga stanca. Fosse durata un pò meno, sicuramente si scriverebbe di tutt’altro brano. La seconda ‘Stratego’, invece, è la hit dell’album: una cadenza NWOBHM che è da sempre biglietto da visita della band londinese, una chitarra spesso in accompagnamento alla voce (e questo è un accorgimento che troveremo frequentemente lungo l’album), ed un ritornello che entra in testa fin da subito colpiscono nel segno, più di chi, più o meno con la stessa durata, l’ha preceduta nel recente passato (‘Speed Of Light’ ed ‘El Dorado’). Il primo singolo estratto ‘The Writing On The Wall’, già materia di discussioni dalla sua uscita datata quindici luglio, è il giusto riassunto del disco: senza assolutamente premere sull’acceleratore (e con uno stile, qui, un pò Southern Rock), tra intrecci di chitarre per nulla vistosi ma devoti ad una visione “d’insieme”, una sezione ritmica solida ed un Dickinson che fa dignitosamente la sua parte, trascorre piacevolmente, al punto che la sua durata appare inferiore a quella reale. Lo stesso lo si può scrivere di ‘Lost In A Lost World’, primo brano in scaletta scritto in solitaria da Harris: dopo un’intenso arpeggio acustico si sfoga cambiando più volte passo ed, al tempo stesso, mantenendo sempre alto l’interesse, fino all’esplosione dettata dal ritornello conclusivo prima che, assieme ad una voce soave, l’arpeggio ascoltato inizialmente ponga la parola fine alla canzone. Dopo ‘Stratego’, i ritmi tornano a farsi serrati con ‘Days Of Future Past’, assecondata da un ottimo Dickinson, capace di adeguarsi su ogni tappeto di note, ritmiche ed ambientazioni, sia esso più spinto come in questo caso, a metà tra gli anni settanta ed il 2003 di ‘Dance Of Death’ come la successiva ‘The Time Machine’, (dalla struttura molto interessante e variegata, ma con un riff [05:23] che richiama all’accompagnamento di chitarra alla voce nei pre-ritornelli di ‘The Book Of Souls’), o più mesto come in ‘Darkest Hour’ la quale, scritta dal cantante assieme a Smith, ha un pathos ed una malinconia che funzionano e coinvolgono. ‘Death Of The Celts’ è una ‘The Clansman’ che non ce l’ha fatta: un brano in certi momenti un pò prolisso, tuttavia carino, ma che troppo assomiglia a quella che, per il sottoscritto, è l’unica traccia salvabile di ‘Virtual XI’ (1998): dal lungo arpeggio iniziale e conclusivo, al breve stacco che va da 08:03 a 08:47. Gli ultimi due brani ‘The Parchment’ e ‘Hell On Earth’ sono i due che più richiamano al periodo ‘Brave New World’. Troppo lungo il primo, con il rischio di annoiare l’ascoltatore; quando sembra svoltare (09:53), il ritmo è comunque frenato, con soluzioni già ascoltate fin troppo in passato. Eccellente, invece, l’ultimo, dove all’album già citato si aggiungono echi malinconici presenti su ‘The X Factor’ (1995), e la cui epicità iniziale soppesa l’attesa (più di tre minuti e mezzo) di poter ascoltare la voce di Dickinson: per il sottoscritto, il miglior brano del lotto.
In conclusione, ‘Senjutsu’ è un lavoro di mestiere dove, a partire dalla contenuta virtuosità chitarristica, gli Iron Maiden hanno virato verso una compattezza devota, soprattutto, ad aiutare una voce ormai non più giovane (che, tra l’altro, sa ancora il fatto suo). Non una mossa furba, ma semplicemente corretta, grazie alla quale molti brani scorrono più fluidamente di altri composti nel recente passato post reunion, pur necessitando di più ascolti (singoli compresi) per essere ben assimilati. Senza però eccedere in una (contagiosa) frenesia data dal logo in copertina che, in primis, influenzerebbe il sottoscritto, ma rimanendo obiettivi, trovo corretto contenermi nel voto, più per un confronto con l’illustre passato della band, di fronte al quale questa nuova release non può (e sicuramente neanche vuole) confrontarsi: dovessi dare un voto alto a ‘Senjutsu’, quale sommo voto meriterebbe, ad esempio, uno qualsiasi dei primi sette album? Eccovi quindi spiegato il mio 65, dimostrazione che personalmente ritengo questo un buon disco, ma per i Maiden del 2021: i capolavori restano altri. D’altronde, come tutti quelli della Vergine Di Ferro, anche questo lavoro farà discutere: ci sarà chi amerà determinati brani, chi altri, chi lo adorerà e chi non lo sopporterà (da noi in redazione c’è chi lo ritiene il migliore dopo ‘Brave New World’, chi semplicemente un album bastevole, come chi lo definisce noioso, ed è giusto così). La personale speranza antecedente la sua uscita era che, con la netta ripresa in studio grazie a ‘The Book Of Souls’ (dopo la quasi totale delusione di ‘The Final Frontier’), ‘Senjutsu’ alzasse ulteriormente l’asticella. Purtroppo, alle mie orecchie questo non è accaduto, tuttavia il disco si mantiene alla pari con la precedente release confermando, nuovamente, una band che dopo oltre quarantacinque anni di attività ancora non sa arrendersi. E che quando un domani (speriamo il più tardi possibile), vorrà ritirarsi, anche grazie a questo lavoro potrà uscire a testa alta.

Tracklist

CD1
01. Senjutsu
02. Stratego
03. The Writing On The Wall
04. Lost In A Lost World
05. Days Of Future Past
06. The Time Machine

CD2
01. Darkest Hour
02. Death Of The Celts
03. The Parchment
04. Hell On Earth

Lineup

Bruce Dickinson: vocals
Steve Harris: bass, backing vocals
Dave Murray: guitar
Adrian Smith: guitar, backing vocals
Janick Gers: guitar
Nicko McBrain: drums