Helloween – Helloween
Il 15/06/2021, di Gianfranco Monese.
Gruppo: Helloween
Titolo Album: Helloween
Genere: Power Metal
Durata: 65 min.
Etichetta: Nuclear Blast
Distributore: Warner
Formazione a sette (come le chiavi), di cui quattro componenti originali della line-up dei due ‘Keeper Of The Seven Keys’, titolo dell’album che porta semplicemente il nome della band, l’artwork di Eliran Kantor a richiamare passato (il custode, le sette chiavi) e presente (l’astronave di ‘Skyfall’): serve altro per ritenere ‘Helloween’, album della reunion, uscita più attesa dell’anno? Come gli Iron Maiden fecero ventun’anni fa per ‘Brave New World’, anche le sette zucche d’Amburgo, fondate nel 1983 e ritenute pioniere del Power Metal, hanno pensato ad un’uscita gargantuesca sotto ogni aspetto. Le origini del disco vanno attribuite allo scorso tour, quel ‘Pumpkins United’ che tanto fu essenziale nell’unire il gruppo, da crearne gli step essenziali per la stesura di quelli che sarebbero poi diventati i testi e le musiche di ‘Helloween’. E scriviamolo subito: nonostante il trademark sia riconoscibilissimo sin dal primo brano, questo è un album che cresce e rapisce ascolto dopo ascolto, simbolo della maturazione e delle idee di sette membri sicuramente difficili da assemblare, ma testimoni di una proposta che, decenni dopo, necessitava di qualche ritocco, anche solo per stare al passo con i tempi. Largo quindi a ‘Out For The Glory’, scritta da Weikath, che dopo un’intro cadenzata aumenta vistosamente di velocità, con doppia grancassa “a elicottero”, duetti chitarristici e la voce di Kiske che, nonostante il passare degli anni, non cede di un passo, ben supportata dal pregevole lavoro alla sei corde di Weikath, Gerstner e Hansen, quest’ultimo posto a chiudere vocalmente ciascun ritornello con voce graffiante, quasi a ricordare certi episodi dei suoi Gamma Ray (‘The Heart Of The Unicorn’), mentre la sezione ritmica Löble/Grosskopf viaggia spedita senza tentennamenti, al punto che la durata totale del brano sembra inferiore a quella reale, tanto si viene travolti da questa corsa senza freni in pieno stile ‘Keeper Of The Seven Keys’. Tocca quindi a Deris ed alla sua ‘Fear Of The Fallen’ (secondo singolo estratto), non abbassare di un’oncia ritmo e qualità del disco: compito che riesce in pieno, grazie soprattutto ad un’intesa con Kiske finalizzata alla mera riuscita del brano: uno dei pregi della band che si può notare lungo tutto ‘Helloween’ è proprio quest’alternanza al microfono, da parte di due voci tra loro molto diverse, che proprio per questo incuriosiscono e completano ogni canzone. Degno di nota è, ancora una volta, il lavoro della “tripletta chitarristica” sia come riff che come assoli (da 02:20 a 03:44). ‘Best Time’, scritta da Gerstner, è la classica “party song”: di breve durata, diretta e lineare (forse troppo), rimane in testa fin da subito, con ottime armonie create dalle chitarre a farla da padrone. Esplode tutta la potenza vocale di Deris (forse la sua migliore prestazione di tutto il disco) in ‘Mass Pollution’, più granitica e cadenzata rispetto a chi l’ha preceduta, a ricordare certi episodi del personalmente tanto apprezzato ‘The Dark Ride’ (2000), come ‘Mr. Torture’, mentre sono le tastiere a primeggiare minacciosamente in ‘Angels’, strumento che risulta essere vera ciliegina sulla torta in ciascun brano di ‘Helloween’, apparentemente di contorno e perfettamente integrato nel sound della band. Come da titolo, con ‘Rise Without Chains’ si torna a ritornelli schiusi da cantare all’unisono, nel solito, funzionale, scambio di parti tra Kiske e Deris, a ricordare un pò tutta la produzione passata della band. La cadenzata ‘Indestructible’, ad opera di Grosskopf, dal taglio più Hard Rock/Heavy Metal, sembra ricordare quanto fatto da Hansen sia con i Gamma Ray (‘Blood Religion’) che con gli Unisonic, e pur colpendo nel segno grazie ad una melodia efficace ed un ritornello in grado di farsi ricordare immediatamente, personalmente resta un gradino sotto rispetto alla successiva ‘Robot King’, nella quale è nuovamente il classico stile Helloween a manifestarsi in tutte le sue forme; un brano, questo, cugino dell’opener ‘Out For The Glory’ sia per durata che per genere, senza però cadere nel “già sentito”, con soluzioni variegate (come ad esempio il ponte che, da 04:23 a 05:45, porta al ritornello finale). Deris ritorna con un altro brano, ‘Cyanide’, il più breve del lotto, unendo freschezza e potenza ma senza cadere in strutture lineari (come in ‘Best Time’, di appena sette secondi più lunga ma qualitativamente inferiore), mentre Weikath risponde con l’altrettanto valida ‘Down In The Dumps’, tra l’immediatezza che da sempre distingue le zucche d’Amburgo ed il periodo ‘The Dark Ride’ regalato dalle tastiere in supporto a delle rocciose chitarre. Chiude l’album ‘Skyfall’, primo singolo estratto e unico brano a portare la firma di Hansen ed a proseguire la brillante dinastia di pezzi di lunga durata, come ‘Halloween’, ‘Keeper Of The Seven Keys’ e ‘The King For a 1000 Years’ (e, permettetemi, pure ‘Heading For Tomorrow’ dei Gamma Ray, dato sia il tema fantascientifico che un piccolo tributo alla band presente alla fine del brano, del quale Kai ci ha parlato durante l’intervista avuta per la promozione di quest’album, che potete trovare cliccando qui). Nonostante il ritornello richiami a quello di ‘Just a Little Sign’ (da ‘Rabbit Don’t Come Easy’ [2003]), ‘Skyfall’, personalmente, è il capolavoro del disco, abile e intrigante come chi l’ha preceduta nel mantenere sempre alto il ritmo e presentarsi, col passare dei minuti, come un brano versatile e dalle più gradazioni, sicuramente incompleto nel più breve video ufficiale, maestoso invece nella totalità della sua durata. In conclusione, credo che questo sia l’album post reunion che ogni fan aspetti: moderno, non immediato, ma vincente ascolto dopo ascolto, nel quale ogni singolo membro riesce a ritagliarsi il proprio spazio, sia in fase esecutiva che composivitiva (e su quest’ultimo punto, Deris merita la lode). Vera chicca, come già più volte scritto in questa recensione, gli scambi “da ping pong” al microfono tra Kiske e Deris, oltre al fatto che pur mantenendo un trademark ben riconoscibile, come avrete letto i brani risultano variopinti, contemporanei, descrivendo in pieno l’evoluzione avuta dalla band lungo tutta la carriera, ma al tempo stesso rappresentandone una nuova era (tradotto: non è un lavoro per nostalgici). Ultimo, ma non per importanza, non si sorvoli sul funzionale lavoro orchestrato dalle tastiere, senza le quali l’epicità della maggior parte dei brani sarebbe venuta meno. Poche storie: ‘Helloween’ è il nostro habitat naturale, perché si tratta di un album che, come una famiglia, racchiudendo passato, presente e guardando al futuro con ottimismo, ci fa sentire a casa, accogliendoci e volendoci bene in ogni momento, anche fra anni, nonostante noi, come un maldestro figliol prodigo, non sempre si sia (stati) fedeli. Bentornati, e benarrivato, ‘Helloween’!
Tracklist
01. Out For The Glory
02. Fear Of The Fallen
03. Best Time
04. Mass Pollution
05. Angels
06. Rise Without Chains
07. Indestructible
08. Robot King
09. Cyanide
10. Down In The Dumps
11. Orbit
12. Skyfall
Lineup
Andreas Deris: vocals
Michael Kiske: vocals
Kai Hansen: guitars, vocals
Michael Weikath: guitars
Sascha Gerstner: guitars
Markus Grosskopf: bass
Daniel Löble: drums