Old Bridge – Bless The Hell

Il 02/12/2020, di .

Gruppo: Old Bridge

Titolo Album: Bless the Hell

Genere:

Durata: 50 min.

Etichetta: Black Widow Records

82

La band italiana di Firenze, nata nel 2012, pubblica solo oggi l’esordio in full-lenght. Con questa uscita ha realizzato un lavoro che si porta dietro la propria cultura, creando un concept derivato dalla Divina Commedia di Dante, interpretando i peccati infernali come essenza della fragilità umana e come visione molto terrena dell’esistenza. Pur essendo un classico Heavy Metal, il suono dell’album insiste sulle atmosfere come a voler sottolineare i testi riflessivi; quindi meno impatto e più ricercatezza, sia in certi passaggi, sia nelle melodie piuttosto sobrie. C’è ricchezza espressiva, si evitano colpi a effetto ipertrofico, che ne fa un gruppo portato al pathos e alla profondità e non alla superficialità estetica, anche se non mancano i circoli di rifframa e le svisate elettriche. Non si tratta di metal arrembante, quanto di un Heavy descrittivo. La durezza è interpretata con canoni a cavallo fra settanta e ottanta, dove lo spirito settantiano è evidente, soprattutto negli assoli di chitarra. Il pizzico di modernità presente, è agganciato fortemente ad un carattere hard antico, come è antica, molto più antica, la tradizione culturale letteraria a cui si sono ispirati. Non è Power Metal, né Prog-Metal se non in senso lato, non rock blues anche se il blues di base si percepisce. È un progetto vissuto con serietà ma è Heavy Metal facilmente godibile.
Dopo un intro non musicale che con i suoi effetti sembra aprirsi sulla porta dell’Inferno, si impatta subito sull’elettricità di ‘Do It or Not’ che nella sua semplicità strutturalmente monolitica si oppone al resto dell’album più variegato fornendo una presenza scenica adattissima alle pulsioni live, e fa iniziare con il dovuto carattere l’ascolto dell’album; Il vocalismo del finale ricorda Paul Di Anno. La descrizione dei singoli brani sarebbe d’uopo visto che le composizioni non si assomigliano per niente tra loro, regalando arie e percezioni plurali. Se l’ariosa ‘Time Of Dream’ ricorda vagamente i Queensryche di ‘The Warning’ per il suo incedere emotivo e rarefatto, con ‘Angels Could Cry’ si affronta il doom, che non è però un gorgo soffocante, quanto una sensazione che porta l’ascoltatore ad una osservazione terrena realistica. L’arrangiamento crudo di ‘Salvation’, che all’inizio sembra necessitare di orpelli o di raddoppiamento di strumenti, invece dopo diversi ascolti sembra aver colpito con giusta dose di senso sonoro, e in questa dimensione asciutta la parte centrale dell’assolo appare una entità emotivamente significativa. In altre canzoni si rende più denso l’insieme, e così le tastiere di ‘Angels Could Cry’ e di ‘Bless In Hell’ sono quegli inserti che arricchiscono la sostanza, rendendola pastosa. Quella di dare ponti centrali specifici all’assolo sembra una voglia di dare di più, e così avviene di nuovo per esempio in ‘Game Over’ che come canzoni è quella più normalmente concepita del lotto, se non fosse appunto presente tale ponte ad ampliarne l’apparato. Diverte l’idea che si sia riusciti a creare in ‘Rage In Paradise’ un ritornello orecchiabile senza per questo rendere la canzone diversa dallo stile compatto della band; in una canzone che contiene tra l’altro l’uso di un certo goticismo intrinseco. Goticismo presente anche nella title-track, cioè l’ultima traccia ‘Bless The Hell’, con l’aggiunta di un pizzico di epicità. Uno dei pezzi migliori è senza dubbio ‘Pleasing The Lord’ che nella sua interezza Heavy, sa essere fascinosa e accattivante.
Il gruppo scrive con una sensibilità che sa quello che vuole, e sa anche come perseguirlo. Non si trovano ingenuità da primo album, del resto l’esperienza di questi musicisti è lunga, se non forse che in piccoli momenti come nell’uso del basso iniziale di ‘Time Of Dream’, dove il risultato è molto derivativo. La musica è matura, scevra da incertezze e banalità. Una intelligenza melodica ed una chiarezza di arrangiamento, che testimoniano quanto chiara e lucida sia la loro visione. Musica integerrima, con idee di songwriting portate a compimento senza cadute di stile. Le parti cantate sono perfettamente integrate con il susseguirsi dei riff e dei passaggi che cambiano. Quello che colpisce è la capacità interpretativa della cantante, che sa cogliere i momenti in cui interagire con la struttura, non si riesce a trovarne punti deboli; il fatto che non abbia forse il virtuosismo degli acuti (da come sono pensate le canzoni, altri ve li avrebbero sicuramente infilati) non la rende assolutamente statica nelle modulazioni, anzi alza e abbassa i toni con apparente facilità, gestendo con sensibilità e classe la propria ugola. Il suo moto è personalissimo, la sua pulizia vocale è alternata da alcuni brevi momenti più graffianti, ma esterna anche passaggi blues e in alcuni casi si cimenta in una vocalità più evocativa, dallo spirito sacerdotale come si sente oggi in certi gruppi dark e doom dotati di frontwoman. La bellezza di certe linee vocali sono state studiate con estrema cura (tra gli esempi più validi si possono indicare ‘Angels Could Cry’ e ‘Old Bridge’). La chitarra solista è ciò che più trae dagli anni settanta il proprio respiro, con una acidità di base che non diventa psichedelica ma che ne sfiora la possibilità. La parola giusta per descrivere la modalità espressiva di questo ‘Ponte Vecchio’ potrebbe essere “omogeneità diversificata”, perché nonostante i brani abbiano accenti notevolmente diversi, la cifra stilistica non presenta rotture. Ed inoltre ogni traccia è stata curata evitando di inserire filler come talvolta alcuni gruppi fanno rovinando l’opera. Davvero un disco di rilievo nel panorama europeo, che vale assolutamente la pena di sostenere, data la sua pregnanza artistica.

Tracklist

01. Intro
02. Do It Or Not
03. Time Of Dream
04. Salvation
05. Angels Could Cry
06. Rage In Paradise
07. Pleasing The Lord
08. Game Over
09. My Best Day
10. Old Bridge
11.Bless the Hell

Lineup

Silvia Agnoloni: vocals
Damiano Porciani: lead guitars
Alessandro Berchicchi: rhythm guitars
Shinobi Seiryu (Antonio Maranghi): bass
Nico Cempini: drums

Guest:
Beppi Menozzi (Il Segno Del Comando): keyboard