King Mothership – The Ritual
Il 05/11/2020, di Roberto Sky Latini.
Gruppo: King Mothership
Titolo Album: The Ritual
Genere: Metalcore, Pop Rock, Progressive Metal, Punk
Durata: 48 min.
Etichetta: Century Media
Distributore: Sony
Questa band suona di tutto un po’ e lo fa dannatamente bene. Qualcuno potrà storcere le orecchie per la strizzatina d’occhio alle leggerezze da boy-band, influenzate da certo pop giovanile, ma in realtà tale attitudine è molto poca, perché il senso musicale è nettamente più serio ed ampio. Metalcore, punk adolescenziale, schizzi elettronici, Nu metal e pennellate alla Beatles/Queen, tutto in uno schema generale abbastanza compatto, ma le ispirazioni sono variegate.
Aprire con l’intro ‘Hope’ sembra fuori luogo perché fa credere che stia partendo un disco Prog, ma quando arriva la seconda traccia ‘Cosmic Meltdown’, di stampo tipicamente Punk alla Green Day, allora capiamo subito che tirerà un’altra aria, e fino a qui niente da recriminare di sicuro, anche se a qualcuno una tale leggerezza rockettara (leggerezza che sarebbe da virgolettare) può non piacere. Il pezzo che si potrebbe tentare di incriminare è ‘Gold’, per l’orecchiabilità spinta della linea cantata che la allontana dal rock, e che presenta inflessioni modaiole di certi passaggi che in altri casi sarebbero risultate fastidiose, ma qui sono inserite in un pezzo così ricco di tonalità pittoriche da riuscire a farsi funzionalissime. Un non so che di Faith No More emerge in alcune escrescenze Nu Metal come in ‘Only You’ e la più metallica ‘Ego 101’. L’elettricità potente di ‘Death Machine’ avrà pure un riff non del tutto originale, ma infligge una scarica di adrenalina dinamica che quando si tinge di elettronica chiarisce ancora una volta di più quanto eclettico sia questo gruppo, sempre voglioso di aggiungere qualcosa. La durezza e la teatralità irretiscono l’ascoltatore nella title-track ‘The Ritual’, esempio meglio esplicativo della multiforme creatività del combo.
Se nell’ugola il cantante sa reggere lo screaming e la rabbia, non disdegna però i modi pop-style e il falsetto alla Muse; ma mai, mai, qualcosa è fuori luogo. L’album che abbiamo in ascolto presenta ricca espressività. L’energia si sposa con ritornelli irresistibili che non stonano nemmeno un po’ con le atmosfere delle canzoni, che siano più accessibili o più dure. Le tracce si alternano tra pesantezza e facile fruibilità. Il bello è che, nei casi della pesantezza, essa non viene mai stemperata negativamente, neanche quando si inseriscono suoni e voce meno violenti; mentre nei casi della facile fruibilità, permane sempre una profondità di carattere. Disco estremamente valido, pieno di effetti e sonorità frizzanti, con nessuna voglia di appiattirsi in un genere, con quelle abilità che vengono lodate nei gruppi ben più blasonati come i Queen. C’è una vena artistica poliedrica in una band che ha costruito tutto perfettamente anche dal punto di vista della produzione tecnica, che non scimmiotta nessuno anche se prende da questo e da quello, ma la personalità alta evita loro di cadere in trappole stilistiche sterili. Nulla esce fuori dalle righe, ogni particolarità si coniuga incastonandosi senza sbavature nell’insieme. Musicisti con le palle che anche nella forma, e non solo nei tecnicismi, sanno gestire impianto sonoro e idee di scrittura. Non sempre mettere dentro alle band personaggi dalla maturità musicale come in questo caso due dai Periphery e uno dagli Slaves, determina il buon risultato qualitativo, ma qui il supergruppo è riuscito nell’intento di costruire un significativo esordio. Sotelo è il leader, ma ogni cosa suona come una band affiatata. Con un lavoro così non si sente nostalgia dei Periphery, e il Djent che ne deriva non ha caratteristiche esclusive, si respira una ventata di freschezza che lascia aperte mille possibilità espressive, in un concetto progressive di ben più ampio spettro senza che vi sia bisogno di sperimentare chissà che stranezze. Ottime idee e lucida follia, tutto riversato in una rappresentazione estrosa dalla scorrevolissima fluidità.
Tracklist
01. Hope
02. Cosmic Meltdown
03. Gold
04. Only You
05. Babby
06. Goodnight my Darling
07. Death Machine
08. The Ritual
09. Ego 101
10. The Devil’s Train
11. Imminent Distorsion
12. I Stand Alone (feat. Plini)
Lineup
Spencer Sotelo: vocals, guitar, keyboards
Tai Wright: bass
Matt Halpern: drums