Pain Of Salvation – Panther
Il 31/08/2020, di Dario Cattaneo.
Gruppo: Pain Of Salvation
Titolo Album: Panther
Genere: Progressive Metal
Durata: 53 min.
Etichetta: InsideOut
Distributore: Sony
Poche band rappresentano il concetto di “aspettare un disco” meglio dei Pain Of Salvation. C’è un po’ di curiosità quando esce il nuovo Iron maiden (“Come sarà?” “Più pezzi diretti o più divagazioni prog rock che tanto piacciono a Harris?”), c’è molta curiosità quando si sta aspettando un nuovo album dei Blind Guardian; ma niente batte il senso di anticipazione che un fan di Gildenlow &Co. prova quando viene annunciato un nuovo album. Forse solo gli Haken, che però un direzione bene o male sembrano seguirla, anche se a modo loro. Con i Pain Of Salvation il percorso invece non è mai diritto. Dopo ‘Remedy Lane’ ci si aspettava ‘BE’? Dopo Scarsick (che già era strano forte) i due ‘Road Salt’? E il ritorno alle sonorità emozionanti, personali e metalliche di ‘In The Passing Light Of Day’ dopo la parentesi low-fi del 2010/2011?
Be’, manco a dirlo, anche ‘Panther’ è un disco che non ci saremmo aspettati, e come tale va preso. Non è quanto ci aspettavamo; decisamente stona nella sua posizione dopo l’elaborato ‘In The Passing Light Of Day’ (lo avremmo visto meglio nella sua cupa e meditabonda faccia come ulteriore evoluzione del più essenziale ‘Scarsick’ ), e in definitiva risulta ostico da inghiottire ai primi ascolti, come prendere in un paese estero una pietanza che ci si immagina salata o piccante e trovarla invece stranamente dolciastra. La tracklist di ‘Panther’ ha come tratto d’unione la pervadente tristezza e desolato abbandono, ma anche qui l’incertezza su cosa ci sarà dopo regna sovrana: ‘Accellerator’ è un brano nervoso e umorale (come ben rappresentato dallo psicotico video), ‘Unfuture’ si pone come ancora più cupo e ossessivo dell’opener e ‘Restless Boy’, terza in scaletta, con le sue derive elettroniche e voci filtrate e sussurrate, chiude il cerchio su un trittico iniziale oggettivamente trai più ostici del gruppo, che sovente invece ha iniziato con i brani più diretti e accessibili, per chiudere con una maggiore introspezione. ‘Wait’ e ‘Keen To A Fault’ rappresentano il momento centrale dell’album, contrassegnate da un aumento dell’emozionalità e una riduzione del nervosismo, il quale si stempera rapidamente grazie a un uso come molto sapido del pianoforte, da sempre compagno perfetto del tono strappato e addolorato di Gildenlow. Panther rappresenta un nuovo punto di rottura, immergendosi in un crossover rappato prima e aggressivo poi, che non rende più digeribile ma anzi esaspera la stranezza di un comparto strumentale che fa quasi più Korn (ci sentiamo qualcosa di ‘Freak On A Leash’) che progressive. Inatteso arriva invece il ritornello, sospeso su un pianoforte che ancora una volta relega le chitarre in un angolo, lasciandoli solo il ruolo di repentine “artigliate” che intorbidiscono una struttura di per se già strana e non chiara. ‘Species’ e ‘Icon’ chiudono l’album a modo loro, passando entrambe da un alternanza tra momenti carichi e aggressivi e cupi spazi meditativi, ma senza perdere mai la sottostante umorale cupezza che permea tutto il lavoro.
Un’altra volta, i Pain Of Salvation ci hanno regalato un disco inatteso, e ancora una volta hanno messo tanto del loro carattere ed emozionalità, lasciando da parte i raggi di sole che illuminavano i passaggi chiave di ‘In The Passing Light Of Day’ e richiudendo invece la propria creatività in una cupa e desolata cella, dove è evoluta in un contesto limitato e imprigionato, che gli impedisce forse di esplodere davvero e prendere una forma che forse sarebbe piaciuta di più ai fan. Difficilmente sarà il nostro disco preferito dei Pain Of Salvation, per certi versi è troppo corto e scarno per ambire a quelle posizioni, ma nel suo approccio perso e volutamente privo di riferimenti ci ricorda il disconnesso ‘Promised Land’ dei Queenryche post ‘Empire’, che è uno dei nostri dischi preferiti. Per ora continueremo ad ascoltarlo, cercando di capirci qualcosa di più, ma nella sua forma attuale non possiamo comunque non riconoscere il valore di un disco che di qualità e di dettagli preziosi non ha fatto nemmeno stavolta economia. La qualità c’è, eccome, è il modo in cui ci è presentata che è difficile da capire.
Tracklist
01. Accelerator
02. Unfuture
03. Restless Boy
04. Wait
05. Keen To A Fault
06. Fur
07. Panther
08. Species
09. Icon
Lineup
Daniel Gildenlöw: vocals, piano, guitars, keyboards
Johan Hallgren: lead guitars
Daniel Karlsson: guitars, keyboards
Gustaf Hielm: bass
Léo Margarit: drums