Exocrine – Maelstrom
Il 22/06/2020, di Roberto Sky Latini.
Gruppo: Exocrine
Titolo Album: Maelstrom
Genere: Death Metal, Progressive Death Metal
Durata: 43 min.
Etichetta: Unique Leader Records
La Francia ci presenta il quarto full-lenght di un gruppo prog-thrash attivo discograficamente dal 2015, che emana, con una bella verve, linee musicali roventi. La scuola francese ha sfornato altri mostri della tecnica Death, come i Fractal Universe anche loro esordienti nel 2015, ma che hanno una minore ferocia, e più occhio alla rarefazione emotiva, rispetto a questo combo che risulta maggiormente aggressivo. I Fractal sono piuttosto inclini a esprimersi con l’introspezione prog mentre gli Exocrine sono più estroversi e usano un tasso di istintività che tende ad una minore impostazione progressive, prediligendo il virtuosismo della tecnica alle atmosfere descrittive.
La prima traccia è la title-track ‘Maelstrom’ che violenta sin da subito l’ascoltatore producendo adrenalina annichilente, ma se il suono gutturale del growl è poco incline a variazioni, l’ipertecnicismo strumentale viene subito fuori fieramente. È davvero interessante assaporare l’essenza di una brutalità intelligente che emana virtuosamente dall’articolata ‘Kraken’. L’ipertecnicismo è ancora meglio osservabile in tutto il brano ‘Wall of Water’ dove poi il finale si fa beffe della sua durezza utilizzando un sassofono soft che non centra nulla stilisticamente, ma che proprio in questa opposizione acquista significato pieno. In alcuni momenti viene emanata una parziale fiamma nera ed è ‘The Wreck’ a utilizzare il blackened Death con il growling più scuro del solito, unendolo a parti morbide sinuose; stavolta terminare qui con il sassofono non appare scelta adeguata. In effetti, la band ha l’abitudine di mettere a contatto impetuosità e pezzetti brevi di differenziazione umorale, che sono uno stacco così netto da rischiare l’incongruenza. Anche se solitamente questi musicisti hanno l’ispirazione giusta che evita errori di accostamento, non sempre la cosa funziona. La band tende a non realizzare una vera integrazione di questi punti ma ne fa delle piccole digressioni. Comunque la capacità di avere una certa ecletticità nelle composizioni è una loro positiva caratteristica, infatti nei pezzi più standard e monolitici come ‘Starvation Project’ l’interesse cala. Uno dei migliori pezzi è la conclusiva ‘Galactic God’ che spalanca orizzonti fluidi intercalandoli ad assalti ritmati; soprattutto qui si riesce a gestire gli inserti, integrandoli davvero, in particolare con il sassofono che viene gestito come fosse parte costitutiva della traccia e non solo un finale.
In senso generale il songwriting è ricco di descrizioni variegate, incrementate dalle piccole parentesi messe nei momenti giusti, che hanno il compito di aprire squarci in un tessuto altrimenti incessantemente arrembante. La voce sbraita primitiva e animalesca, basilare, contrapponendosi alla parte raffinata strumentale, dalle atmosfere più evolute. Le due anime sono ben integrate anche se la vocalità non è l’elemento portante del songwriting e forse talvolta è limitante usare una linearità gutturale a scatti così semplicistica, come avviene in ‘Orbital Station’. Quando si esce dal suono più cavernoso l’interpretazione vocale diventa subito più intrigante, ma non avviene spesso. Lo sbilanciamento è tutto a favore di chitarra e sezione ritmica, ben intercalate da aperture più evanescenti o relativamente melodiche. Se il blast-beat sferza il fruitore senza risultare piatto, le digressioni solistiche avviluppano con apparente spontaneità. Vi sono anche spruzzate di elettronica che sono centellinate in situazioni di passaggio. Ma come il sintetizzatore, anche altri suoni fanno capolino, acustici per esempio, dando sensazioni di profondità. Il tecnicismo estremo è assolutamente necessario e riesce a rendere caratteristico e riconoscibile ogni brano. Le parti che ampliano la visione musicale sono meno incombenti però non rendono il lavoro ruffiano perché la furia di base non viene mai smorzata, anzi, di fondo permane davvero una smania furibonda che incalza compatta. Si tratta insomma di una condizione Death a tutti gli effetti dove i suoni puliti non fiaccano l’impatto pesante. Un buon album che incarna parte della tradizione insieme ad una forma più elaborata di concezione; non proprio sperimentale, ma sopra le righe.
Tracklist
01. Maelstrom
02. The Kraken
03. Wall Of Water
04. Abyssal Flesh
05. Orbital Station
06. The Wreck
07. Starvation Project
08. The Chosen One
09. Galactic Gods
Lineup
Jordy Besse: bass, vocals
Nicolas La Rosa: guitars
Sylvain Octor-Perez: guitars
Théo Gendron: drums