Xibalba – Años En Infierno
Il 26/05/2020, di Roberto Sky Latini.
Gruppo: Xibalba
Titolo Album: Años En Infierno
Genere: Death Metal, Hardcore
Durata: 36 min.
Etichetta: Southern Lord
Il nuovo album di questa band statunitense (California) non ha nulla a che vedere con le loro vecchie reminiscenze metalcore. Il metallo è death, con molta brace di black e iniezioni di doom. Anche l’hardcore è diminuito, ridotto a una singola azione in una canzone.
Due tracce rendono possibile lasciare al gruppo un minimo di fiducia, perché sollevano un disco altrimenti sterile. Si tratta della prima ‘La Injusticia’ e l’ultima, comprendendo di questa come in un unico insieme, i due episodi ‘El Abismo I’ e ‘II’. L’apripista è una smetallata Black/Death che miscela cadenze sulferee a velocizzazioni rocciose. La seconda è più articolata e vi si aggiunge una atmosferica vena ambient, nella prima parte malinconica, nella seconda dark. Il disco consta di otto tracce, ma se due sono brevi respiri non molto significativi (‘Corredor De La muerte’ e ‘Saka’), e due sono invece brani che non danno emozioni, capiamo che il lavoro nella sua globalità, non ha molto da offrire. Sia ‘Santa Muerte’ che la title-track ‘Anos En Infierno’ si esplicano in maniera banale e fortemente scontata; quest’ultima, appena sopra i due minuti e mezzo, non prende nemmeno il via, lasciando nel fruitore una certa perplessità. È difficile anche considerarli filler. Il filler è individuabile invece in ‘En la Oscuridad’, migliore dei due brani appena citati sopra, ma appunto è un riempitivo. Ma torniamo alla cosa meglio concepita dell’album, a quell’ ‘El Abismo’ che ha la sua dignitosa pregnanza grazie al pathos evocativo e alla sua impostazione compositiva non statica. La parte ‘I’ contiene un inizio marziale, poi si cala in un alone soft che trasporta verso lidi sognanti di tipo gotico (la voce perde il suo carico growl), e anche se tale rarefazione si prolunga, mantiene una intensità emotiva che funziona. La parte ‘II’ invece arremba con uno stacco punk-hardcore (sia nel riffing che nel cantato) anche divertente, per andarsi però a stemperare in un ritmo meno irruento che porta lentamente verso paesaggi morbidi ma contornati da un doom funereo. L’insieme genera un fascino che non lo lega assolutamente all’appiattimento che lo ha preceduto; c’è una parziale cifra stilistica comune, ma qui il piacere dell’ascolto è di molto superiore.
A volte, nonostante l’ipotetica maturità (questo è il quarto full-lenght), sembra di trovarsi di fronte ad adolescenti che decidono di registrare qualche giro di chitarra che è loro casualmente venuto in mente senza sapere poi come gestirlo o farlo evolvere, infantilmente lasciando che questi accordi o note girino a vuoto, come fossero soddisfatti di aver trovato bei suoni che rimangono spunti, anche buoni se vogliamo, senza però costrutto. L’anima del disco tende a non toccare i tasti della velocità, ma a preferire le parti cadenzate o rallentate per dare un senso claustrofobico che crei sensazioni di angustia percettiva. Il growling non è male, anzi la sua respirazione rende al meglio il suono da orco, più malefico che distruttivo. Anche la produzione è interessante, dando quella potenza greve che avvolge con efficace oppressione. Un po’ monotoni gli assoli quando ci sono (pochi), soprattutto quello di ‘Santa Muerte’ è solo un singulto strozzato che non si capisce cosa voglia fare, impastato in mezzo alla distorsione ed al ritmo come se fosse venuto male al chitarrista e però pensando ‘buona la prima’. Il voto è insufficiente perché solo i pezzi numerati 1 e 7/8 si salvano oltre la sufficienza, stagliandosi da soli come isole in mezzo a un mare vacuo.
Tracklist
Lineup
Nate Rebolledo: vocals
Brian Hortiz: guitar
Eric Netto: bass
Jason Brunes: drums