Grave T – Silent Water

Il 25/03/2020, di .

Gruppo: Grave T

Titolo Album: Silent Water

Genere:

Durata: 44 min.

Etichetta: Seahorse Recordings

74

Quando giunge sulla scrivania (virtuale o reale che sia) un disco come ‘Silent Water’, il viaggio nel tempo è assicurato. Il che, nel mio caso, non è solo un percorso musicale ma assume tutti i connotati del ritorno all’adolescenza, a respirare quel caleidoscopio sonoro che ribolliva a inizio anni ’90, certo meno “compatto” di quanto prodotto in epoche più celebrate del rock, ma sicuramente pregno di un fascino che non ha potuto che accentuarsi col passare degli anni.
Nati nel 2015, i Grave T danno appunto l’impressione di guardare indietro nel tempo, precisamente a quell’esplosione del Seattle sound che portava con sé un retaggio sonoro tutt’altro che coeso e definito, un elemento che rappresentava la forza dei suoi gruppi di punta ma che poteva facilmente fare la sfortuna di tutta una serie di imitatori. Eppure, il tutto ha un fascino riconoscibile, soprattutto perché inevitabilmente declinato secondo quella ricezione tricolore che portò a grandi fermenti nell’underground di casa nostra: non è un caso se l’opener ‘Bloody Fountain’ parte da un riff che sembra partorito dalla penna di Jack Endino per poi fondarsi su cambi di tempo arditi, e se la successiva ‘Grave T Wonder’ ci riporta ai fasti della Dracma Records con quella commistione tra HC, grunge, funk e street / sleazy che andava per la maggiore nella Torino di trent’anni orsono, con in più inserti di vocals al vetriolo che ritroveremo anche più avanti. Già, Torino: è proprio all’operosa città piemontese che rimanda la “T” del monicker, preceduta da un termine come “Grave” che non si sa se leggere all’italiana o all’inglese, assumendo in qualche modo un senso anche nell’inconsueta struttura sintattica che avrebbe Oltremanica.
Il viaggio continua con il calderone di ‘Two Good Sisters’, uno di quegli episodi ostici dalle spigolosità familiari, che rimesta in quel vicolo stretto abitato dai Bronx Casket Co. con passaggi da minore a maggiore davvero poco rassicuranti. La rinomata libertà di espressione degli anni ’90? Esattamente, nel bene e nel male: proprio come nel concept su cui si snodano le dieci tracce, una storia di morte e redenzione che trova in Torino e nei suoi chiaroscuri l’ambientazione perfetta. Bianco e nero: la title track dalle sonorità aperte in stile Pearl Jam / Stone Temple Pilots cui fanno da contraltare le sonorità noir di ‘Blue Whale’ (e non potrebbe essere altrimenti, dato il delicato argomento toccato), o l’incedere simil-industrial di ‘Viper’, che per la verità sembra una jam impossibile tra Voivod, Fudge Tunnel e ancora Stone Temple Pilots. La scheggia impazzita ‘Sick’, (im)possibile outtake del periodo anthraxiano di John Bush, contro le calde tonalità bluesy di ‘Maiden’ (… of the Cancer Moon, aggiungerebbero i Quicksilver Messenger Service!), che dalla laccatura Bonamassa dell’incipit si trasforma in un’elegia acida e ossessiva, per poi sfociare nella nervosissima ‘Era Horizon’ collocata in conclusione e sottolineata dal basso.
In definitiva, un po’ come gli amanti dei romanzi pulp cercano elementi precisi tra le pagine dei loro paperbacks, su ‘Silent Water’ troverete pane per i denti di chi ama quei riff sulfurei retaggio di quel periodo in cui iniziava il recupero dell’enciclopedia sabbathiana (‘Ultramega OK’ e ‘Louder than Love’ le fonti primarie), quei repentini cambi di tempo e di registro tipici di Jester Beast e Braindamage, quella morbosità sorniona di matrice Mouseblasters o quella sfrontatezza cara ai Gow, senza dimenticare gli scenari plumbei descritti dai Negazione in più punti della loro discografia. Piccolo test: cos’hanno in comune tutti i gruppi appena citati? Lo sapete, certo che lo sapete…

Tracklist

01. Bloody Fountain
02. Grave T Wonder
03. Two Good Sisters
04. Sick
05. Silent Water
06. Blue Whale
07. Human Impact
08. Viper
09. Maiden
10. Era Horizon

Lineup

Marco Magnani: voce
Nick Diamon: chitarre e voce
Davide “Pappa” Paparella: batteria
Adriano Serafini: basso