Wishbone Ash – Coat Of Arms
Il 29/02/2020, di Francesco Faniello.
Ricordo ancora il giorno in cui ricevetti quella cassetta da 90, una ventina di anni fa. Da un lato c’era ‘Saints & Sinners’ dei miei amati Whitesnake, dall’altro il mio amico Angelo aveva inserito quella che era una delle sue scoperte del momento: ‘Argus’, di una band chiamata Wishbone Ash. Superata la perplessità iniziale per un sound che aveva in comune con il lato A solo la lettera iniziale (almeno all’apparenza, ma questo è il bello), col tempo quei pezzi divennero imprescindibili nei miei ascolti, dotati com’erano di quel magnetismo che nel tempo ne aveva stregati tanti, a partire da Phil Lynnot, passando per la citata accoppiata Marsden / Moody, per giungere a Steve Harris e alla codifica e sistematizzazione dell’importanza della doppia chitarra nel nascente movimento hard’n’heavy. Tuttavia, non è che nel tempo io abbia perso le tracce della band: in realtà non le ho mai seguite. Quella cassetta negli anni è diventata un prezioso LP trovato in una fiera del disco; nel frattempo mi ero procurato anche una raccolta (‘The Collection’, ascoltata una sola volta), un live in mp3 ascoltato una mezza volta (solo per sentire la resa di ‘Warrior’ e ‘The King Will Come’), ho gioito proprio in questi giorni per l’inclusione di ‘Throw Down The Sword’ nel disco di cover di Biff Byford ma il mio impegno con i Wishbone Ash finisce così, a parte aver avuto nel tempo l’abitudine di suonare proprio ‘Throw Down The Sword’ per allietare il warm-up dei miei compagni di band, all’epoca degli Ancient Cult.
Tutto giusto finché non ho avuto tra le mani ‘Coat Of Arms’, ovviamente, e ho dovuto riannodare quei fili che mi ero perso in una discografia vastissima e caratterizzata da defezioni sempre maggiori e ritorni clamorosi ma di breve durata, che hanno lasciato in formazione il solo Andy Powell, il chitarrista che insieme a Ted Turner aveva forgiato quel sound che è divenuto uno dei pilastri dell’HM, consolidato dalla lezione di Thin Lizzy e Judas Priest e dalle sulfuree atmosfere sabbathiane. Con ‘Coat Of Arms’ siamo giunti al ventitreesimo capitolo di una miscela unica di folk, prog e proto hard che si distingue dai contemporanei Jethro Tull per il focus sulle chitarre, ed è proprio quello il lascito maggiore di dischi come ‘Argus’ nella storia della musica: la capacità di creare dei refrain strumentali riconoscibili e memorizzabili.
Ne è esempio l’opener ‘We Stand As One’, che rappresenta non solo un manifesto programmatico ma anche la descrizione di quel modello di twin guitars nato per caso (l’indecisione dei fondatori Martin Turner e Steve Upton su chi avrebbe ricoperto il ruolo di chitarrista della loro nuova band, che li fece convergere su entrambi i nominativi succitati), una circostanza che avrebbe cambiato buona parte del corso della musica rock e che rappresenta un modello talmente ben fatto da suonare “all’unisono”. Trovate qui tutto quello che vi aspettereste dopo cinquanta anni di onorata carriera, con una title track ordinaria eppure irresistibilmente evocativa della brughiera britannica, lo strano e dissonante arpeggio di ‘Empty Man’, che ricorda gli Small Faces con in più ottimo lavoro di lead acustica. Impossibile poi tacere delle forze fresche a sostegno del progetto, con Mark Abrahams a ricoprire il ruolo che fu di Ted Turner firmando la notturna “It’s Only You I See”, un episodio in cui è inevitabile cercare i legami con la tradizione, con le scale armonizzate e le atmosfere di ‘(In All Of My Dreams) You Rescue Me’, o con l’assolo su due accordi, forse tirato un po’ troppo per le lunghe – i più attenti ricorderanno che anche ‘Sometimes World’ aveva due accordi nell’improvvisazione, ma la stessa appariva più compatta e costruita in vista della risoluzione finale. Il resto è da manuale, nel bene e nel male: ‘Too Cool For AC’ insegue il refrain di ‘Toys In The Attic’ degli Aerosmith, ‘Consider Me Now’ ipoteca la quota folk, mentre tocca a ‘When The Love Is Shared’ mettere sul piatto un quadrangolare di sonorità blues, rock e prog a cui si aggiunge il southern rock che caratterizza persino la conclusiva ‘Personal Halloween’ (come non riconoscere il tocco degli ZZ Top?). In definitiva, un dischetto godibile, in cui si incastona alla perfezione l’altro singolo apripista, ‘Back in the Day’, con il suo incedere dinamico interpolato appena da un break centrale di organo. Non sono i Megadeth dell’omonima track del 2004, ma il senso è quello: la chiamata alle armi di chi non dimentica e ha costantemente fame di una delle tradizioni più longeve ereditate dallo scorso secolo…
Tracklist
01. We Stand As One 4:16
02. Coat Of Arms 7:55
03. Empty Man 5:17
04. Floreana 5:14
05. Drive 4:55
06. It’s Only You I See 7:35
07. Too Cool For AC 4:51
08. Back In The Day 4:46
09. Deja Vu 4:07
10. When The Love Is Shared 4:21
11. Personal Halloween 5:38
Lineup
Andy Powell: guitar, vocals
Mark Abrahams: guitar
Bob Skeat: bass
Joe Crabtree: drums