Ian Gillan – Contractual Obligation – Live in Warsaw

Il 31/07/2019, di .

Gruppo: Ian Gillan & The Javelins

Titolo Album: Contractual Obligation - Live in Warsaw

Genere:

Durata: 113 min.

Etichetta: earMusic

70

Eh già, gli obblighi contrattuali. Quelli che impongono ai nostri amati artisti di pubblicare una compilation, un album dal vivo o addirittura una raccolta di inediti anche quando non ne hanno la minima voglia; ma si sa, quando il dovere chiama…
Uno di quelli che non ha fatto mai mistero di mal sopportare simili dinamiche è proprio Ian Gillan, l’ormai ultrasettantenne frontman dei Deep Purple. Instancabile mattatore, reduce dall’ennesimo capitolo della discografia della band madre, si è imbarcato in un tour nell’Europa dell’Est da cui è tratto questo live dal titolo emblematico, registrato a Varsavia con la Don Airey Band e un’orchestra locale. Un’operazione celebrativa della carriera che mi ha ricordato il bel ‘Songs Of A Lifetime’ di Greg Lake: più intimista quest’ultimo, più colorito e “boombastic” quello dello storico interprete di Jesus Christ Superstar, come era immaginabile.
Vi dirò: alla carriera dell’istrionico Ian Gillan ho sempre preferito le altre “costole” della Deep Purple Family – fatta eccezione ovviamente per ‘Born Again’ dei Black Sabbath, scuro come la pece e perciò distantissimo dalla consueta poetica a colori dello screamer britannico. Tuttavia, è pur vero che il singer gigioneggia perfettamente a suo agio nell’ambiente orchestrale, regalandoci anche qualche emozione, un po’ come è solito fare nelle sue scorribande con le big band “l’altro” Ian, “il piccolo Ian Paice” nelle parole di Gillan, forse quello di cui si sente più la mancanza qui, con il suo inimitabile tocco di batteria e il groove riconoscibile a svariate miglia di distanza.
Dirò subito che ‘Contractual Obligation’ è uno di quei dischi che il fan avido di Deep Purple potrebbe ascoltare a profusione, e questa è la sua forza: diviso com’è in due capitoli per quasi due ore di musica, affida l’apertura a ‘Hang me out to Dry’, lo scoppiettante brano estratto da ‘Toolbox’ scritto a quattro mani con Leslie West, subito doppiato da una versione di ‘Pictures of Home’ magari non perfetta vocalmente (gli anni passano per tutti, soprattutto per Ian) ma che non manca di far tremare i polsi col suo riff iconico. Registrata la presenza di una bella resa di ‘Rapture of the Deep’ e della maestosa orchestra a supporto dell’emozionante ‘When a Blind Man Cries’, va detto come sia la seconda parte del doppio album a riservare le cose più interessanti e “curiose”, con ‘You’re Gonna Ruin me Baby’ cantata insieme alla figlia Grace Gillan (delle cui carriera artistica apprendo l’esistenza solo ora!), il tradizionale ‘No More Cane On The Brazos’ già presente su ‘Naked Thunder’, la groovy ‘Demon’s Eye’ su cui il Nostro mostra qualche difficoltà, l’immancabile classicone ‘Smoke on the Water’ e le conclusive ‘Hush’ e ‘Black Night’, cantate a squarciagola dal pubblico.
Stupisce, e molto, la scelta di includere lo strumentale di matrice Rainbow ‘Difficult To Cure’, scritta comunque a sei mani, come ricorda il buon Ian: da Don, da Beethoven e dall’arcinemico Blackmore; ecco, è qui che la chitarra dell’ottimo McBride si fa eccessivamente laccata, a dimostrazione del fatto che di Ritchie Blackmore ce n’è solo uno! In effetti, mi sarei aspettato più presenza orchestrale in questa sede, anche se la stessa emerge nella coda. Lì dove di orchestra ce n’è anche troppa è su ‘Anya’, la cui inclusione è indubbiamente un colpo al cuore, senza esagerare: stiamo parlando di un brano che era retto da un solo uomo (lui, l’onnipresente Man in Black) e ora diventa un’insalata condita con l’intro trombettistica e il riff principale affidato agli archi e ai fiati. Su questo non transigo, per quanto io non voglia comunque demonizzare l’elemento, che su ‘Perfect Strangers’ al contrario funziona piuttosto bene.
In effetti, il bello del disco in sé è che l’orchestra non emerga mai in maniera forzata e anacronistica (i tempi del glorioso Concerto sono ormai andati); molta della mia curiosità era rivolta anche agli strumentisti presenti, con il chitarrista Simon McBride che si dimostra autore di una prova degna di nota, miscelando sostanzialmente lo stile di Blackmore e quello di Morse, complice anche la sua formazione blues. Al basso troviamo Laurence Cottle, e non azzardatevi a chiedermi chi sia, pensando piuttosto a rispolverare la vostra copia di ‘Headless Cross’. Che dire del Maestro Don? Tutto di buono, conoscete tutti la sua storia, il suo rispetto per le partiture originali del compianto Jon Lord, nonché il suo tocco personale. Un album che aggiunge poco di nuovo, ma che ha quel fascino veicolato dal ben noto ghigno di Ian Gillan: è quello che ti frega, come il sorriso di un bambino, obblighi contrattuali a parte…

Tracklist

CD1
01. Hang Me Out To Dry
02. Pictures Of Home
03. No Lotion For That
04. Strange Kind Of Woman
05. Razzle Dazzle
06. A Day Late ‘N’ A Dollar Short
07. Lazy
08. Rapture Of The Deep
09. When A Blind Man Cries

CD2
01. You’re Gonna Ruin Me Baby (with Grace Gillan)
02. Ain’t No More Cane On The Brazos
03. Difficult To Cure (Beethoven’s Ninth)
04. Anya
05. Perfect Strangers
06. Hell To Pay
07. Demon’s Eye
08. Smoke On The Water
09. Hush
10. Black Night

Lineup

Ian Gillan: vocals
Simon McBride: guitars
Laurence Cottle: bass
Don Airey: keyboards
Jon Finnigan: drums