Morbid Angel – Kingdoms Disdained
Il 24/11/2017, di Giuseppe Cassatella.
Gruppo: Morbid Angel
Titolo Album: Kingdoms Disdained
Genere: Death Metal
Durata: 47 min.
Etichetta: Silver Lining Music
Distributore: Warner
Più o meno sei anni fa la febbre Morbid Angel era a livelli altissimi. Il ritorno di David Vincent era stato accolto come un dono di Luficero, ‘Nevermore, il primo singolo estratto da ‘Illud Divinum Insanus’, lasciva presagire grandi cose. Invece l’album della I è stato derubricato dai più alla voce fallimento completo. Prima l’operazione nostalgia fatta di tour celebrativi dei vecchi tempi, poi l’abbandono di Dave per lidi più alternativi (leggi country music), hanno fatto scendere un velo oscuro sulla carriera dei Padrini del Death Metal. Anno Domini 2017, in pochi si fidano più di Trey e soci, anche l’hype non è che sia stato altissimo intorno al nuovo ‘Kingdoms Disdained’, curiosità sì, ma nulla rispetto all’attesa morbosa di sei anni fa. Ed è un peccato, perché il disco della Kappa è un lavoro tetragono, semplice, diretto. Non un capolavoro, ma capace di riportare la band su coordinate meno estrose e più lineari del suo predecessore. Parliamoci chiaro, io sono uno di quelli che ‘IDI’ non l’ha mai bocciato completamente, anzi ne ho sempre apprezzato il coraggio, seppur disordinato – per non dire sconclusionato – che c’era alla base. ‘KD’ è l’esatto opposto, è la semplicità fatta in musica (per quanto possa esserlo un disco dell’Angelo Morboso, sia chiaro) non contiene particolari sussulti, macina tutto quello che si trova davanti dal primo all’ultimo secondo, senza lasciarsi andare in voli pindarici. Per un Dave Vincent andato, uno Steve Tucker ritrovato. Ed è forse questa la chiave di lettura del disco, si è passati da un cantante eccessivo (nei pregi e nei difetti) a uno che il suo lavoro lo fa in modo silenzioso (in senso metaforico) e onesto. Paradigmatica la prima traccia, ‘Piles of Little Arms’ – scelta non a caso come singolo – che in se contiene tutte le caratteristiche dell’album. Pur mancando i tradizionali momenti strumentali, Azagthoth riesce a ritagliarsi degli sprazzi in cui dimostrare la propria indiscussa superiorità, come in ‘The Righteous Voice’. Pur se ormai il distacco da Peter Sandoval è avvenuto dal un bel po’, digerirlo per un vecchio fan come il sottoscritto non è facile, anche se devo ammettere che il nuovo Scott Fuller non è affatto male, con il suo tocco potente e insano. Chi invece continua a lavorare in modo esemplare con i propri ex compagni è Erik Rutan, che ancora una volta è riuscito, nei suoi Mana Studios, a tirar fuori un suono pulito, ma non patinato o dal retrogusto plastificato come avviene molto spesso oggi giorno. Le vette più alte sono ‘Piles of Little Arms’, ‘Garden of Disdain’, ‘Architect and Iconoclast’ e ‘The Pillars Crumbling’, ma non credo che non apprezzerete anche le restanti 7 tracce. Riassumendo, ‘Kingdoms Disdained’ non vi farà correre in strada a sacrificare vergini per ringraziare Belzebù per il dono ricevuto, ma sono sicuro che, dopo la frattura creata dal suo predecessore, riuscirà nell’impresa di sancire la pace tra band e fan.
Tracklist
01. Piles of Little Arms
02. D.E.A.D.
03. Garden of Disdain
04. The Righteous Voice
05. Architect and Iconoclast
06. Paradigms Warped
07. The Pillars Crumbling
08. For No Master
09. Declaring New Law (Secret Hell)
10. From the Hand of Kings
11. The Fall of Idols
Lineup
Trey Azagthoth: guitars, keyboards
Steve Tucker: vocals, bass
Scott Fuller: drums