Europe – War of Kings

Il 01/09/2014, di .

Gruppo: Europe

Titolo Album: War Of Kings

Genere:

Durata: 54 min. min.

Etichetta: UDR

Distributore: Warner

85

‘War Of Kings’ è Cristiano Ronaldo che, dopo aver superato con una rapida finta di corpo il diretto avversario, dopo averne saltato un secondo con un tunnel beffardo ed un terzo con un delizioso “sombrero”, si concede il lusso, a tu per tu con il portiere, di alzarsi il pallone con il destro, fare due palleggi, portarsi il pallone sulla testa per poi battere a rete con un’audace giravolta.

In questo momento può succedere di tutto, anche che il pallone termini fuori dallo specchio della porta, tanto non ha importanza. Perchè magari prima Ronaldo ha già mandato la palla nel sacco tre volte, e perchè comunque, si, dai…è Ronaldo. Non ha più nulla da dimostrare, è arrogante, è sfrontato, è libero di fare tutto quello che vuole perchè negli anni, con i suoi gesti, con le sue giocate, con i suoi estri, ha dimostrato di essere ampiamente il migliore, conquistandosi sul campo (è proprio il caso di dirlo), il privilegio raro di poter far tutto ciò che gli passa per la testa. Un beneficio che spetta a chi non ha più nulla da dimostrare a nessuno, perchè ha vinto tutto quello che c’era da vincere, sistemando economicamente se stesso e le sue generazioni a venire, e che oggi gioca soprattutto per il gusto del divertimento.

Scusatemi questa divagazione calcistica, ma da Europe-omane incallito (dopo tutto, se i miei ascolti sono stati indirizzati in un determinato verso è perchè nel 1986 rimasi folgorato da ‘The Final Countdown’ piuttosto che ‘Papa Don’t Preach’ di Madonna…), una volta messo su ‘War Of Kings’ l’immagine che mi è frullata per la testa è quella del fuoriclasse portoghese che, mani sui fianchi e petto in fuori, guarda tutti arrogante all’alto in basso dopo aver segnato un gol.
Perchè gli Europe non hanno più nulla da dimostrare, i conti in banca sono belli e sistemati, i dischi di platino fanno bella mostra sopra il caminetto, di eccessi e bagordi degni delle più note rockstar ne hanno piene le tasche, in quanto a hit sempiterne hanno già dato ed ora, perchè no?
Spocchiosi ed arroganti possono concedersi il lusso di fare tutto ciò che vogliono.

E, questa magari sì, è una sorpresa, il risultato è eccellente. Se i primi dischi post-reunion, dopo aver suscitato un primo, inevitabile interesse figlio del ritorno in carreggiata di una band simbolo di una certa scena alla lunga mostravano la corda, di pari passo con la presa di coscienza che gli Europe, QUEGLI EUROPE, quelli dei capelli cotonati, delle tastierine ruffiane, dei coretti strappaorecchie e delle melodie ammiccanti ormai non esistevano più, questo ‘War Of Kings’ riesce forse per la prima volta a brillare di luce propria, a godere di una dignità di grande album a prescindere dal gruppo che lo ha inciso. ‘War Of Kings’ è il personale tributo della band svedese a quel rock tipicamente anni Settanta, composto con intelligenza, suonato con maestria ma soprattutto venato di una personalità che va a fondersi con richiami inevitabili a band come i Purple, i Rainbow, i Black Sabbath ed i Led Zeppelin con il risultato che le tracce riescono a suonare volutamente retrò ma allo stesso tempo dannatamente attuali.

Ottimo esempio è la spiazzante title track, uno dei brani meno indicati per aprire un disco firmato Europe ma paradossalmente uno dei più riusciti, con il suo attacco senza fronzoli né salamelecchi, un incidere plumbeo ma allo stesso tempo orgogliosamente
epico costantemente sospeso tra Sabbath e Rainbow segnato dall’hammond di Mic Michaeli e graffiato dalla voce inconfondibile di Joey Tempest che “accompagna” il brano ad aprirsi in un chorus melodico questo sì da urlo. John Norum e Michaeli sono i padroni della scena nella successiva ‘Hole In My Pocket’, un rock graffiante e di facile presa nato sotto l’inconfondibile aura dei migliori UFO.
Con ‘The Second Day’ arriva uno dei piatti forti del disco, un brano che trasuda tutto l’amore degli Europe verso i Led Zeppelin, partendo dall’evocativo attacco del pezzo, passando per la performance vocale di Tempest ed arrivando allo strepitoso assolo di Norum.

Un autentico viaggio lisergico attraverso il meglio del rock Settantiano è la spiazzante
‘Praise You’, traccia che si apre ancora una volta con un plumbeo riff di scuola Sabbath per poi scivolare via via lungo i flussi acidi dei Led Zeppelin, accarezzare grazie al lavoro di Michaeli quei lidi tanto cari ai Deep Purple, per poi approdare sinuoso in quei territori che segnarono le fortune di David Coverdale e dei suoi Whitesnake. Dopo tanto godimento, ‘Nothing To Ya’ appare quasi come un pezzo interlocutorio, un brano di hard rock robusto che si fa ascoltare senza però far drizzare le antenne come nei brani precedenti.
Un discorso che non si può certo fare per ‘California 405’, traccia che trasuda Deep Purple dall’inizio alla fine, con quell’Hammond a lavorare sornione, Norum che sul finire si cala alla perfezione nelle vesti che furono di Blackmore (il rocker, non il menestrello…) e Tempest che ancora una volta dipinge un ritornello luminoso capace di stamparsi all’istante nella testa dell’ascoltatore. ‘Days Of Rock’n’Roll’. Basta il titolo, vero? Un pezzo diretto che strizza a più riprese l’occhio ai primi Rainbow, con un retrogusto folk che gli dona colore senza risultare invasivo né fargli perdere intensità. E’ il basso di John Leven a recitare la parte del leone in questo brano, una bella soddisfazione per il bassista di Stoccolma, perchè è questo un altro dei pezzi da novanta dell’intero lavoro.

Le coordinate, manco a dirlo, sono quelle dei Black Sabbath targati R.J Dio, quelli di ‘Heaven And Hell’ tanto per intenderci, con le sue ritmiche evocative, i suoi riff monumentali ed un Joey Tempest maiuscolo, alla faccia di chi lo voleva bollito da un pezzo. ‘Rainbow’s Bridge’ si presenta come un pezzo elegante e ricercato, costruito su basi orientaleggianti quasi a voler seguire quel percorso di ricerca, musicale e culturale, intrapreso nel corso della sua carriera da Mr. Plant, mentre con ‘Angels (With Broken Hearts)’ si arriva finalmente all’appuntamento con la ballata di rito, un pezzo sensuale, sornione, alle soglie del soul, splendidamente interpretato dal cantante svedese, che si prende la scena anche nella conclusiva ‘Light Me Up’, track dalle venature zeppeliniane a dire il vero un po’ sottotono ma tenuta a galla per l’ennesima volta dalla performance del singer e dall’istrionismo di Norum. Norum che dipinge anche l’intensa strumentale ‘Vasastaan’, traccia tutta feeling e pelle d’oca che pone (questa volta si!) il punto esclamativo al termine del disco.

Che, come avrete capito, con “The Final Countdown (taratattattà)”non c’entra più nulla, ma chi se ne frega?
A questo punto Cristiano Ronaldo ha già in bacheca due Champions, due Intercontinentali, tre Palloni d’Oro, una caterva di coppe e scudetti ed oggi, dopo due veroniche, dopo aver messo a sedere anche il portiere, con un “tacco” elegante ha spedito per l’ennesima volta la palla in fondo al sacco.

Per poi guardare tutto lo stadio negli occhi, con quello sguardo che pare voler sottolineare casomai non fosse chiaro che…”Io sono io, e voi….”

Tracklist

01. War of Kings
02. Hole in my Pocket
03. Second Day
04. Praise You
05. Nothin’ to ya
06. California 405
07. Days of Rock’n’roll
08. Children of the Mind
09. Rainbow Bridge
10. Angels (With Broken Hearts)
11. Light Me Up

Lineup

Joey Tempest: lead vocals
John Norum: guitars
John Levén: bass
Mic Michaeli: keyboards
Ian Haugland: drums