Aftershock @ Sacramento, California, 10-13 ottobre 2024
Il 08/11/2024, di Marghe.
Insane.
Quale miglior parola se non questa per riassumere uno dei festival musicali più grandi al mondo nelle sue 4 giornate di puro divertimento all’insegna del rock n roll?
Perché questo, e molto molto altro, è ciò che è stato l’americano Aftershock.
Noi di Metal Hammer non abbiamo resistito a prenotare il primo volo destinazione California e siamo qui per raccontarvi nei minimi dettagli questo viaggio (qualora vorreste avventurarvi anche voi alla volta di un concerto negli States): facciamo quindi un salto indietro per cercare di descrivere al meglio un’esperienza che definire unica è riduttivo.
Siamo in ottobre, un mese al quale nell’immaginario collettivo dell’europeo medio si associa inevitabilmente il freddo, non ancora pungente, il maglioncino ed il chiodo foderato nella sua pelle ruvida e spessa: una visione quasi paradisiaca per lo stereotipo del duro metallaro, inevitabilmente stupito al suo arrivo al Discovery Park di Sacramento davanti alle maniche e pantaloncini corti, o addirittura il costume da bagno, sfoggiati dalle oltre 50 mila persone partecipanti quotidiani.
Si respira un’aria di festa, spensieratezza, felicità allo stato puro, testimoni i sorrisi e le espressioni di gioia di chi esulta appena varcati i cancelli di questa dimensione parallela, protagonista di un’estate che sembra non voler finire mai.
Ma che cosa conduce tutta questa moltitudine di persone a darsi appuntamento ogni anno, da anni, in questo meraviglioso parco provenendo da ogni parte del mondo?
Beh, non so chi di voi sia mai stato negli States ma di sicuro la line-up è mastodontica quanto una sequoia di un parco nazionale, lunga quanto la Route 66, invitante quanto un avocado toast al Mel’s Drive In.
Headliners? Slayer nel loro ritorno di fuoco, Slipknot in una delle tappe del loro tour d’anniversario di 25 anni dal primo album, Iron Maiden al top della forma nel Future Past Tour e nientepopodimeno di Mötley Crüe nella data finale (sicuri sicuri?) del loro tour d’addio (per quest’anno).
Nei suoi 14 anni di vita l’Aftershock ci presenta una delle migliori line-up of anywhere & of all time, perché tantissime altre sono le band per le quali i fans si danno appuntamento sotto il palco.
Meritevoli di citazioni particolari sono indiscutibilmente i Pantera, super attesi dal pubblico, annunciati per l’edizione del 2023 ma all’ultimo assenti tramite un freddo comunicato dove dichiaravano che certe decisioni erano state prese indipendentemente dalla propria volontà: quest’anno, in una formazione che tradisce coesione, unità, simpatia ed empatia, hanno tenuto incollato il pubblico da qualsiasi schermo del Discovery Park, ripercorrendo i classici di un tempo, pietre miliari nella storia del metal, grazie anche ad un Phil Anselmo rinato che ha trovato, nella nuova formazione, il proprio nuovo punto d’equilibrio.
Quella di giovedì è stata una giornata speciale anche per gli Halestorm, nella quale la frontwoman Lzzy Hale ha spento 41 candeline: il loro set è stato indiscutibilmente un regalo per tutti i fans, grazie ad una performance perfetta e ad una voce che, nonostante l’esperienza ventennale, “non sa ancora cosa stia combinando“…un pensiero che definire opinabile è un eufemismo, visto uno show poco lasciato all’improvvisazione.
I Lindemann separano il giorno dalla notte, quasi quanto l’opinione pubblica che sembra però per un giorno aver scordato il vortice mediatico scatenato, all’incirca un anno fa, dalle accuse verso il cantante: merito forse anche di una formazione al 50% femminile, con chitarre e tastiera impugnate da musiciste talentuose e bellissime che, fra riff industrial ed assoli melodici incantano il pubblico. Anche qui ci asteniamo dal commentare la pausa di riflessione presa dei Rammstein, consapevoli però che se Till Lindemann vuole continuare la propria carriera, con i Lindemann lo sta facendo davvero bene.
Sappiamo che buona parte di voi ha cliccato sull’articolo davanti al nome Slayer come headliner di una delle giornate del festival, vi invitiamo quindi a leggere l’intero articolo dedicato al loro ritorno proprio qui.
Termina la serata, si ritorna tramite monopattino, sottospecie di tuktuk o a piedi dove si ha lasciato la propria macchina o direttamente in hotel, ormai abituati alle abnormi distanze americane che se su maps sembrano dietro l’angolo in verità sono a qualche deserto più in là. Ma forse è anche questo il bello dei concerti made in USA, che per quanto siate rockettari rodati reduci di Hellfest, Graspop, Wacken, Summerbreeze, Download, non finirete mai di stupirvi, e che nella propria vastità sovrastata da un cielo azzurrissimo e da un clima stabile (nella sua instabilità) per godersi al meglio le performance musicali, sono davvero ciò che si definisce over the top.
Assurdo il fatto su come si faccia di tutto per arrivare il giorno dopo il prima possibile, (nonostante la maratona fisica che lo stesso festival impone), per riposarsi magari sulla propria copertina all’ombra di una grande quercia, assaggiando una delle mille specialità gastronomiche che le varie aree propongono: quella di venerdì è stata una giornata all’insegna del punk e del nu-metal; ad aprir le danze Marky Ramone, Mastodon, Rise Against (con un set davvero epico) e direttamente dal Massachusetts i Dropkick Murphys a scatenare la folla nei propri pezzi che creano quel senso di appartenenza ad una grande famiglia che ti fa sentire a casa, con altri sconosciuti, ovunque. La serata continua in modo superbo con i Five Finger Death Punch, la cui setlist viene cantata in coro parola per parola da tutti i presenti e con gli Evanescence, momento in cui inevitabilmente si torna tutti adolescenti: la band è davvero molto attesa sia per la insuperabile Amy Lee, affiancata dalla new entry (new si fa per dire dato che la sua entrata risale ormai al 2022) Emma Anzai, sia per la voglia di rivivere certi ricordi legati ad un lettore cd e ad una frangia o ciuffo storto colorato. E nonostante il loro ritorno con ‘The Bitter Truth’, sono alcune chicche estratte da ‘Fallen’ che mandano il pubblico in escandescenza.
Dulcis in fundo, Slipknot.
Ai nostri ragazzi dell’Iowa piace esser chiari, lo stesso Corey Taylor non appena inizia lo show avvisa le oltre 40000 persone illuminate dai fari davanti al Jack Daniel’s stage con le seguenti “Welcome back to 1999, motherfuckers! Tonight, you won’t hear one song written after 1999. For the casual Slipknot fan – sorry!”, e, senza ulteriori mezzi termini, si preparano a regalare quella che sarà una setlist fra le più pesanti mai suonate nel festival (e non solo.)
Onestamente é difficile provare a suddividere le giornate per genere musicale, visto che di sicuro ci sono band molto simili quanto nettamente diverse da un palco all’altro come da un orario al successivo: tutto questo non fa dell’Aftershock un festival con una line-up improvvisata ma tutt’altro, un qualcosa di mastodontico organizzato nel minimo dettaglio, con nulla, ma proprio nulla, lasciato al caso.
Il sabato é la giornata all’insegna della nostalgia dell’heavy e del thrash più autentico e vero, vista la presenza degli inossidabili Anthrax (bella maratona questa per Benante, con la sua doppia presenza nei Pantera), e Judas Priest, inframezzati da Whitechapel, Body Count e molti altri .
“The Priest is back! Are you ready? Are you ready? Let’s go!!”: tramonta il sole e la notte non può che iniziare con incipit migliore, ribadendo il concetto di come certe band, nonostante l’età, facciano invidia nella loro indomabile grinta a qualsiasi ventenne che si approccia a trovare il proprio posto nel grande mondo della musica.
Meritevoli di citazioni particolari i titanici Iron Maiden: protagonisti ed autori da sempre di performances uniche e talmente tanto ben concepite da tradire spasmodiche, nonché british, manie di perfezionismo, i nostri 6 ragazzi d’oltremanica propongono nel menù uno show permeato di energia, fuoco, dinamicità da non reggere il confronto con nessun altra band di venti, o facciamo pure cinquanta, anni più recente. I Maiden, nella loro seconda adolescenza, non finiscono mai d’insegnare soprattutto come un qualcosa, quando lo si faccia con amore e passione, non stanchi mai.
Ultimo giorno, apparentemente più tranquillo ed allo stesso tempo più affollato degli altri: la consapevolezza che tutto stia per finire abita la mente dei partecipanti, fino all’ultimo carichi per godersi fino all’ultima goccia il festival, proprio in questa giornata in fermento come non mai per l’attesa band headliner: i Mötley Crüe.
Tocca ai Jinjer dare il via all’ultimo sprint di questa maratona, seguiti da Eagles Of Death Metal, Fear Factory, Tom Morello e Disturbed: dal riproporre i successoni dei Rage Against The Machine all’enorme circle pit durante i pezzi della band di Chicago il tempo vola ed arrivano le 8.30.
Alle 8.35 tramite il daily breaking the news viene annnunciata la Most Notorious Rock Band di sempre, come a loro piace tanto definirsi: ladies and gentlemen i Mötley Crüe, la band più discussa e chiacchierata del pianeta, qui di casa in California a rispolverare cimeli musicali immortali che per ognuno dei presenti hanno un immenso valore.
Il pubblico va a tempo con le bacchette di Tommy Lee e sembra seguire per filo e per segno pure tutti i movimenti ed i riff di John 5, davvero sul pezzo e a proprio agio sul palco nelle vesti di sostituto dell’amato Mick Mars.
Lo show a cui il pubblico sta assistendo al di là di essere il migliore dei modi per chiudere un festival di questo calibro rappresenta un vero e proprio evento storico: in un attimo si chiudono gli occhi e si vola nei ruggenti anni Ottanta, e di preciso in quel piccolo ma famosissimo locale sulla Sunset Boulevard nella Sunset Strip di West Hollywood, dal nome che tutti conosciamo di Whisky a Go Go, dove band di 18enni affamati di popolarità e successo si sfidano in performances disinvolte ed audaci, ignari di tutto ciò che sarebbe successo dopo.
‘Too Fast For Love’, ‘Wild Side’, ‘Shout At The Devil’, ‘Live Wire’: è incredibile come, quarant’anni dopo, quelle canzoni che hanno fatto sognare tutti abbiano lo stesso timbro e trasmettano le stesse vibrazioni con dei testi mai passati di moda.
La serata si conclude sulle note di ‘Home Sweet Home’, ‘Dr. Feelgood’, ‘Girls, Girls, Girls’ ed ovviamente ‘Kickstart My Heart’: nel mezzo di un tripudio di emozioni lo show finisce, lo stesso Aftershock finisce, ci si saluta e ci si abbraccia con quello sconosciuto, ormai amico per la pelle, con cui si ha passato anche solo un quarto d’ora di concerto vicino, con la certezza amara che magari non lo si incontrerà mai più.
Perchè questo è il biglietto da visita che un concerto ti mette silenziosamente in tasca, questo è ciò che l’America ti lascia, nei suoi spazi immensi e sconfinati, nelle sue mille scelte ed infinite strade, con la voglia enorme di tornare a casa solo per prenotare il prossimo biglietto aereo.