In The Best Tradition Festival Vol. I @ Pin Up, Mosciano Sant’Angelo (TE), 28 settembre 2024

Il 19/10/2024, di .

In The Best Tradition Festival Vol. I @ Pin Up, Mosciano Sant’Angelo (TE), 28 settembre 2024

L’Abruzzo, stando alle ultime evoluzioni, a concerti fuori programma e a Festival ormai di gran blasone e notorietà (in prima fila ci va l’inderogabile Frantic, più che un Festival, un vero e proprio caso nazionale, che da più di un lustro a questa parte in agosto “condiziona” le nostre vacanze, e non solo…), si sta rivelando una regione preziosa sia appunto in termini di iniziative live, che, soprattutto, per la nutrita schiera di appassionati che, di conseguenza, questi eventi li segue eccome, è sangue fresco, freschissimo quello che irrora la scena locale, tra Pescara e Chieti, tra L’Aquila e Teramo… Proprio in provincia di Teramo, esattamente al Pin Up di Mosciano Sant’Angelo, ha preso il via quest’anno un Festival votato all’ortodossia metallica più pura, tutta sostanza e zero compromessi, manifestazione che ha richiamato una bella fetta di headbangers smaniosi di scatenarsi sotto il palco.

In The Best Tradition Festival: più che un nome, una dichiarazione d’intenti, un autentico manifesto che ha ben chiaro dove vuole andare a parare, tenendo ben presenti le proprie origini. E che, in una maniera o nell’altra, sono strettamente collegate a quelle di un altro storico Festival, stiamo parlando dell’Heavy Metal Night che si faceva sempre a settembre, a Villa Rosa di Martinsicuro, a un tiro di schioppo da qui. Diciamo pure che zio Arturo, da buon veterano, oltre ai suoi geni ha trasmesso pure la sua grande passione per l’heavy metal a tutto tondo, meglio se spartita tra Kiss e Thin Lizzy, a Federico, nipote perfetto, fan sfegatato di Ace Frehley nonché chitarra solista degli speed freaks locali Witchunter, che ha raccolto orgoglioso il testimone, essendo egli stesso tra gli ideatori principali del progetto In The Best Tradition. Festival che, neanche tanto sfacciatamente, prova a strizzare l’occhio al celebre Keep It True tedesco, sia per logistica che per organizzazione, ma specialmente per la tipologia dei gruppi, di natura prettamente underground, che siano veterani o che siano invece di primo pelo, questo poco importa, l’elemento preponderante è che suonino metal vero, incontaminato, meglio ancora se votato all’oltranzismo. O a quelle sonorità che non sono per tutti, perché poi bisogna saperle suonare, sonorità che noi tanto amiamo in quanto evocano anni speciali, quando ad emergere erano soltanto i grandi gruppi…

Si inquadrano dunque in quell’ottica i Demon Spell, quartetto di Catania che paga, ossequioso, un tributo pesante ai primi Mercyful Fate tanto la voce di Federico Fano paga dazio all’illustre King Diamond, e la band tutta, con il drummer Dario Casabona (ex Schizo e oggi anche nella all star band Sulphur And Mercury) in prima fila, a darci dentro e a far ricordare perfino i Brats e, per chi li rammenta, i pionieristici Evil – perché è lassù, nella Scandinavia di fine Anni Ottanta, che i Demon Spell trovano ispirazione e conforto. Se il recente EP ‘Evil Nights’ ha fatto tanto parlare del four-piece isolano, c’è da credere che l’annunciato, primo full length spargerà nuovi, malevoli semi della discordia, oltre che ravvivare una scena underground che pare estremamente attratta da suoni sinistri e caliginosi. Come opener ci sono piaciuti, e pure parecchio, i siciliani.

Da una parte all’altra dello Stivale tricolore, con l’entrata in campo dei triestini Tytus, band in circolazione da ormai dieci anni, della quale sento parlare (benissimo) da tempo e che, finalmente, vedo solo oggi in azione, restandone fortemente impressionato! Approccio veemente, incazzato like a vipera, ma con un corpo musicale sostenuto alla grande da un background blasonato e di sicuro affidamento, che chiama sì a raccolta la classe nel songwriting dei Thin Lizzy, la frenesia degli Status Quo più scatenati e le classiche cavalcate dei primissimi Maiden, ma che ingloba tutto in un blocco compatto, scagliato con tutta la forza possibile! Sorprendenti davvero i Tytus, con Llija Riffmeister, frontman di origine slovena, a dettare i tempi giusti per l’attacco al potere…

Con i Toxikull arriva il primo gruppo estero della giornata, portoghesi di Cascais follemente innamorati di Priest, Accept e di una grossa fetta dell’hard’n’heavy puramente Ottantiano, che affrontano il palco con tanta buona volontà, e delle idee anche interessanti, ma forse perché saliti dopo gli scatenati Tytus e Demon Spell mi lasciano ben poco, almeno personalmente. Ad alzare un po’ i toni una sentita cover di ‘Iron Fist’, che se da una parte gioca sul sicuro, dall’altra bolla impietosamente la prova senza personalità dei lusitani, che risultano forse ancora troppo acerbi. Da rivedere.

I Blackevil, dalla Baviera, sono una band istituzione del nuovo black’n’death più truculento, che fa proprie le lezioni dei grandi padri Sodom, Kreator e Destruction, mettendoci dentro quel dinamismo e quella velocità tanto cara a Razor ed Exciter, giusto per sottolinearne status e coordinate stilistiche. Il fatto di essere un trio, guidato dal vocalist e bassista Abyss, gioca molto a favore dei Blackevil in fatto di compattezza e coesione, i quale se ne fottono dell’accademia fine a sé stessa e riscuotono le simpatie di tutti coloro che amano spassionatamente il black metal old school, roba che, dalla sua, oltre al nichilismo puro aveva tanto, ma tanto sentimento in più rispetto ai gruppi odierni, forse perfetti, ma che puzzano fin troppo di plastica. Per nostalgici, ma anche per chi vuole divertirsi sotto bordate di nera intransigenza, né più né meno.

Compito bene o male analogo per i Bunker 66, anche loro in tre, siciliani di Messina, che tingono di black il proprio thrash metal isterico e truce, sfacciatamente blasfemo e devoto a pionieri del calibro di Celtic Frost, Bathory e Possessed. Molti meriti e pochi demeriti per questa band che tiene bene il palco e snocciola una serie di brani da paura, tra cui ‘Storm Of The Usuper’, ‘Taken Under The Spell’, ma soprattutto ‘Her Claws Of Death’, nera scorribanda che a me ha ricordato i Sodom di ‘Obsessed By Cruelty’ e i danesi Samhain, roba bella fetida e che ci piace tanto…

Piccola pausa tra i banchetti dei dischi e del merchandise, qualche birretta per agevolare lo sprint finale, affidato agli headliner Bulldozer, ai Saracen eroi “minori” della celeberrima NWOBHM e, prima di loro, ai romani Vultures Vengeance, altra band che farà la differenza, spostando decisamente il proverbiale ago della bilancia, verso il manipolo degli italiani che hanno battuto il palco marchiato In The Best Tradition.

Vultures Vengeance, dicevamo, quartetto capitolino tra i più bravi e valorosi nel campo dell’epic metal vecchio stampo, tra Cirith Ungol, Omen, Manilla Road e primissimi Armored Saint, ma non solo visto che dentro puoi trovarci pure sonorità insospettate, tipo i Vatican dell’Ohio e i Culprit di ‘Guilty As Charged’. “Colpa” soprattutto del frontman Tony T. Steele, fondatore e nume ispirativo della band, voce particolarissima e grande presenza, il quale spicca anche come chitarrista all’interno di un metal sound costruito appunto molto sulle chitarre e su un dinamismo che realmente spacca le pietre! ‘A Great Spark From The Dark’, ‘Fates Weaver’ e ‘Pathfinder’s Call’, estratte dall’ultimo full length ‘The Knightlore’, son canzoni notevoli, dall’impatto letale, e che testimoniano superbamente la caratura della formazione romana. Alla quale però manca forse una maggiore regolarità sui palchi di casa nostra, visto che mentre all’estero sono numerose e prestigiose le sue puntate – potendo vantare concerti come ad esempio quello al greco Up The Hammers Festival o al Keep It True dell’anno scorso, apparizioni di livello che hanno piuttosto colpito i metallers locali – in Italia han suonato poco o niente, specie negli ultimi anni. Nemo Propheta in Patria, un tempo si diceva così, ma sarebbe però ora che si superassero certi luoghi comuni, che non servono proprio a nulla… Specie per una band di questa portata, tra le grandi rivelazioni del metal happening abruzzese.

Non si può invece parlare di rivelazione con gli storici Saracen, o forse sì visto che trattasi della loro prima volta italiana e che sono molti coloro a non averli mai visti, io in primis, anche se sotto palco sbucherà fuori una cospicua banda composta da fans incalliti e che darà vita a uno spettacolo nello spettacolo, nell’interagire con la formazione britannica, la quale probabilmente neppure sperava in un’accoglienza tanto calorosa in Italia! Britannici che, tirati a lucido che più non si può, in forma fisica a dir poco splendida, a partire dal cantante originale, quello Steve Bettney che anche stasera a Mosciano Sant’Angelo attesta alla grande quanto si sapeva sul suo conto, ovverossia che è ancora oggi uno dei migliori della sua generazione, per tenuta e qualità vocale: il trittico iniziale, ‘Crusader’, ‘Rock Of Ages’ e ‘Horsemen Of The Apocalypse’, è semplicemente sbalorditivo, grazie alla sua performance e alla band tutta, la quale si presenta gagliarda e tosta sin dalle sue prime battute! Grinta inesauribile e melodia da vendere lungo un set direi impeccabile, sul quale svetta, glorioso e imperituro, praticamente tutto il repertorio di ‘Heroes, Saint And Fools’, monumentale atto primo per il gruppo di Matlock, che non si risparmia neppure per ‘Meet Me At Midnight’, ‘Red Sky’ e ‘Follow The Piper’, ribadendo la sua classe assoluta per brani ad ampio respiro e dall’impatto “catchy”, e che al tempo stesso mantengono inalterato il fascino e della New Wave Of British Heavy Metal.

È un pubblico letteralmente in visibilio quello che saluta i Saracen autori di uno show tanto sorprendente quanto insperato, i quali, a questo punto, se la giocano, con i Bulldozer annunciati in gran spolvero, allenati da una tournée performante in giro per gli States e che ne ha ribadito tutta la loro importanza in fatto di metal estremo. Metal estremo, sì, quando a suonarlo erano solo e soltanto i pionieri, i veri pionieri, quando erano in pochi, ma acerrimi, intransigenti e pericolosi. Ma pericolosi sul serio. Perché da considerare gruppi di rottura, contro le regole e le convenzioni, e non solo quelle prettamente artistiche. E il carisma perennemente sprigionato da AC Wild, con al fianco il suo alter ego perfetto Andy Panigada, chitarrista tanto feroce quanto geniale nonché elemento fondatore dei Bulldozer, marchia ancora più a fuoco tutte le mie considerazioni su questa band leggendaria, che ha come unica colpa quella di provenire dall’Italia. Certi traguardi per chi arrivava dal Belpaese, erano proprio impensabili, specie se eravamo agli albori di tutto, di quei fatidici Anni Ottanta che han funto un po’ da spartiacque, eppure i Bulldozer seppero comunque imporsi, debuttando su Roadrunner Records in tempi non sospetti e con tanto di produzione firmata da Algy Ward, cantante e bassista dei Tank, uno che la sapeva lunga in fatto di aggressività e rabbia tradotta in musica. Che sia sempre stata una band speciale, un “unicum” italiano che fronteggiava, e mai accettando compromessi, la diversità internazionale, i Bulldozer te lo sbatton giù pesante anche sullo stage del Pin Up, con il Rickenbacker di AC Wild che tuona implacabilmente, classico dopo classico, mazzata dopo mazzata. ‘The Exorcism’ e ‘Cut-Throat’ è la scudisciata iniziale, si inaugura così il tributo a ‘The Day Of Wrath’, debut-album tra i più torbidi e riusciti che io ricordi e che appunto quest’anno festeggia con questo tour il suo quarantennale, mentre ‘Fallen Angel’, livida e primordiale, vale da sola l’intero prezzo del biglietto, la calca violenta che scatena sotto palco ne rivendica l’importanza. Totale.

Un concerto dei Bulldozer è quasi un’esperienza mistica oltre che rara, indipendentemente dai brani in scaletta, anche se non si può prescindere dal già citato disco d’esordio, da ‘The Cave’ e ‘Ride Hard – Die Fast’, blocco centrale di ‘The Final Separation’, a ‘The Derby’, anthem simbolo di ‘IX’ e manifesto della fede calcistica sia di AC Wild che di Andy, tanto che a far risuonare l’urlo della Fossa dei Leoni milanista ci pensa infine il buon Federico, scaraventando sul palco una bandiera rossonera, che sventola fiera fino alla fine…

Con il suggello definitivo, una ‘Overkill’ al cardiopalma, un omaggio bruciante agli imprescindibili Motörhead. No frills, no fuckin’ bullshit, questo è stato in buona sostanza lo show dell’autorevole trio lombardo, che ha idealmente incarnato tutto lo spirito di questo Festival in Abruzzo che, ne siamo certi, è nato per proseguire, per entrare a far parte di noi che, nell’heavy più essenziale e vero, ci crediamo da sempre. Come la tradizione appunto insegna…

 

Foto di Mauro Parozzi

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