Metal Park 2024 Day 2 @ Villa Cà Cornaro – Romano d’Ezzelino (VI), 7 luglio 2024

Il 31/07/2024, di .

Metal Park 2024 Day 2 @ Villa Cà Cornaro – Romano d’Ezzelino (VI), 7 luglio 2024

Domenica 7 parte già con l’inconveniente in tasca, ossia l’annullamento del concerto dei Moonspell e il relativo, forzato slittamento degli orari, che prevede per subito dopo pranzo l’assalto grind dei ravennati Slug Gore, band nelle grazie di chi si ciba di estremo, a maggior ragione se giovanissimo e dedito al truculento.

Apro una postilla a parte per commentare il forfait della band lusitana, avvenuto per la cancellazione del volo, un problema questo che ha condizionato l’Europa negli ultimi due mesi, mettendo molto in difficoltà anche tutti quei gruppi che si spostavano in aereo tra una data e l’altra. Mi sarebbe piaciuto riabbracciare Fernando e Pedro, non li vedo da una vita e anche recentemente, a Lisbona, ci siamo mancati per poco. Serà na próxima vez…

Slug Gore dunque, bravi nel loro contesto che però mi appartiene poco, ma come non riconoscere a Danny Metal & compari una spiccata carica eversiva e un divertimento puro, nello spiattellare fuori i propri “incubi” sonori? Il grindcore made in Italy sta tornando a far paura, e gli Slug Gore ne sono tra gli alfieri più autorevoli, posso dire questo stando alla manciata di brani che ho potuto sfidare faccia a faccia nel pit.

Ma se si parla di autorevolezza, non posso non incensare i successivi Mortuary Drape che io, colpevolmente, non avevo mai visto dal vivo, pur conoscendo la loro fama sinistra e uno status enorme, soprattutto a livello internazionale essendo i piemontesi uno tra i gruppi italiani più richiesti all’estero. Quasi quarant’anni di carriera, un clima oscuro e raggelante nonostante le alte temperature che pure oggi flagellano il Metal Park, una scaletta che parte dall’ultimo ‘Black Mirror’, ma che poi, doverosamente, paga dazio allo storico ‘Secret Sudaria’, con brani che scuotono l’oltretomba come ‘Necromaniac’, ‘Abbòt’ ed ‘Evil Death’. Caliginoso black metal ossianico e d’atmosfera, come forse soltanto i mediterranei sanno fare, una salmodia sulfurea  interpretata da un frontman carismatico e inquietante qual è sempre stato Wildness Perversion, spettrale anello di congiunzione tra passato e presente di una tra le formazioni più sorprendenti dell’intero festival vicentino. Per me, e non solo, una rivelazione autentica!

Se si parla di realtà che specie all’estero sono amate e valorizzate, pure il nome dei Fleshgod Apocaypse risalta grandemente e ha un crescente color rosso fiammante, nonostante il tempo non clemente che li accoglie sul palco del Metal Park, ma che, anche in questo caso, non incide, anzi li sprona a darci dentro ancora di più. Siamo di fronte a una band che, con consapevolezza crudele, quasi letale, smonta e ricostruisce a modo proprio il concetto stesso del metal sinfonico, ovviamente secondo i recrudescenti dettami in fatto di musica estrema per i quali gli umbri sono oramai noti. In cui a giocar forte e duro sono la grinta e la leadership tecnica di Francesco Paoli e la solennità vocale della soprano Veronica Bordacchini, la quale, vedrete, stupirà definitivamente grazie all’imminente full length ‘Opera’, del quale oggi viene presentato ‘Pendulum’, brano più che significativo e che dice abbastanza del nuovo album. Pollice alzato quindi anche per i Fleshgod Apocalypse, e non poteva essere altrimenti.

Mikael Stanne non sarà italiano, ma è come se lo fosse, simpatico e compagnone come pochi, amante della buona cucina e (soprattutto!) del buon bere, nonché unico superstite rimasto dalle origini dei Dark Tranquillity, band a queste latitudini piuttosto seguita e considerata. Band che però seguo distrattamente, vuoi perché i ritmi vanno spezzati, ma soprattutto perché gli ultimi Dark Tranquillity non li trovo più così tanto familiari, nonostante per esempio riponga parecchie aspettative sul prossimo full length ‘Endime Signals’ e un frontman come Mikael resta sempre e comunque una garanzia, specie sulle assi del palcoscenico. Echi di gloria passata si hanno con ‘Hours Passed In Exile’, ‘Cathode Ray Sunshine’ e ‘Final Resistance’, ma è grazie a ‘ThereIn’ che la band svedese fa definitivamente e personale presa sul sottoscritto, con l’unico, acclamatissimo estratto da quel capolavoro che risponde al nome di ‘Projector’. Sarò un nostalgico, ma la vedo così, forse un pò troppo drastica, e magari mi ricrederò con l’imminentissimo album, oppure, meglio ancora, con il debut dei clamorosi Cemetery Skyline, supergruppo che vedrà appunto Mikael coinvolto con ex colleghi di Sentenced, Amorphis e Dimmu Borgir, e posso rivelare che già dalle prime avvisaglie è roba grossa, grossissima…

Nostalgia canaglia anche al cospetto dei Coroner, subentrati all’ultimo al posto di Kerry King, i quali restano una band composta da geni incompresi, fortuna vuole che c’è chi, invece, la musica la pretende di qualità, di altissima qualità. Coroner che, specie negli ultimi tempi, hanno finalmente trovato familiarità con i nostri palchi, in passato poco battuti se non sporadicamente. E tale regolarità si rispecchia anche nella brillantezza e nel coinvolgimento di uno show come questo suonato a Villa Cà Cornaro, infarcito di classici senza tempo – ‘Internal Conflicts’, ‘Serpent Moves’, ‘Divine Step (Conspectu Mortis)’, ‘Semtex Revolution’ e ‘Metamorphosis’, il blocco centrale che rivela già tutto del livello di eccellenza su cui si attesta la band guidata dalla coppia storica Ron Royce e Thomas Vetterli. Precisione chirurgica e quel non so che di malsano che ha sempre contraddistinto il thrash metal d’autore originale e tipico degli svizzeri, si conquista così un’audience infine rapita da ‘Masked Jackal’, ‘Grin (Nails Hurt)’ e ‘Reborn Through Hate’. A rappresentare il nuovo (che avanzerà, probabilmente con l’annunciato nuovo album), una canzone come ‘Sacrificial Lamb’ che i Coroner hanno in scaletta da almeno due anni, in attesa forse del momento propizio. Assistere a un loro concerto è come tirare un rigore a porta vuota: Vujadin Boskov li avrebbe riassunti così, gli elvetici.

Con l’arrivo dei Cavalera è come se si creasse un portale spazio-temporale, che gli ultimi trent’anni di vita e di passioni musicali fossero rivoluzionati quasi per intero, se almeno io personalmente posso tornare a vedere sullo stesso palco sia Max che Igor, due che più fratelli non si può, due che hanno fatto la storia del metal estremo, pur arrivando dalle estremità del mondo. E che ora si sono ritrovati anche nel rispolverare l’antico, leggendario nome, che si scrive Cavalera, ma che si legge Sepultura. Questo è, questo è stato, il concerto al Metal Park, un massacro, una carneficina condotta a colpi di primi Sepultura, quelli che i fratelli stanno recuperando con le ri-registrazioni, vale a dire ‘Bestial Devastion’, ‘Morbid Visions’ e il nuovissimo ‘Schizophrenia’: ovverossia thrash metal rabbiosissimo, votato all’oltranzismo più totale, senza alcuna mediazione, né compromesso. Da ‘Bestial Devastation’ a ‘Necromancer’, da ‘Antichrist’ a ‘Mayhem’, da ‘Morbid Visions’ a ‘Crucifixion’, a ‘To The Wall’, al medley ‘Inquisition Symphony’ più ‘Escape To The Void’, sotto il palco, nel fango, una bolgia dantesca, con la “benedizione” di un Max Cavalera carico e super entusiasta, come da tempo non lo si vedeva così. I legami di sangue sono importanti, se non fondamentali e primari, e i due, che spartiscono radici anche con l’Italia, vanno spediti come fossero un blocco unico, e le ultime rasoiate son forse quelle che fanno più male, dove i rimpianti gridano vendetta per quello che poteva ancora essere e non è più stato… ‘Refuse/Resist’ che stride, sfuma, e si trasforma in ‘Territory’, con il pubblico che si agita e strilla quasi incredulo, prima di una ‘Troops Of Doom’ al cardiopalma, prima che ‘Black Magic’, ‘Dead Embryonic Cells’ e ‘R.I.P. (Rest In Pain)’ distruggano la loro identità tramutandosi in schegge impazzite. Se esprimo un tale trasporto, è perché ho fede in quello che ho visto, ossia il miglior concerto della giornata, per intensità, onestà e una grossa dose di rimpianti. Ma questo, probabilmente, si era capito.

Al round conclusivo, finalmente con il favore dell’oscurità che stempera un pò tutto, ma che acuisce pure la stanchezza, è quasi più la curiosità che mi fa approcciare agli Emperor, che conosco molto di striscio ma che rispetto e reputo fondamentali nello sviluppo e nell’evoluzione di certo black metal, chiamiamolo “colto” e per pochi eletti. Band norvegese che, seppur nell’impulso semi-revivalistico con il quale sta suonando questa serie di concerti mirati, giusto per scrollarsi di dosso anni e anni di silenzio, sfoggia immediatamente tutta la sua grandezza con una regalità oscura e distaccata, la misantropia come regola di vita e una padronanza tecnica che mozza il fiato, un gruppo che il sottoscritto ha sempre visto come fossero quasi “i Rush del black metal”, per gli appunto grandi mezzi strumentali, ma anche per il voler essere un “unicum” in fatto di inventiva e sviluppo di un sound già asfittico e ortodosso di suo, qual è il black metal. Cosìccome un “unicum” è stato dunque lo show a Villa Cà Cornaro, sia perché era la quarta o quinta volta che suonavano in Italia, se non ricordo male, e sia per essere stato tanto speciale, crepuscolare nell’animo e livido nei contenuti, orchestrato in buona parte sugli estratti del monumentale ‘Anthems To The Welkin At Dusk’ e che ha riproposto l’inquieta sinergia tra Ihsahn e Samoth, sinergia che niente e nessuno potrà mai scalfire. Il sacro è stato in tutto e per tutto esaudito, accontentato, ma anche i profani possono di che godere…

Foto di Margherita Cadore

 

 

 

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