Vicious Rumors @ Alchemica Music Club – Bologna, 01 giugno 2024
Il 12/06/2024, di Francesco Faniello.
Ci sono concerti che – se li mettiamo semplicemente su un piano di confronto relativo a ricezione, affluenza e peso specifico delle band coinvolte – semplicemente non appaiono sulla mappa della musica dal vivo “che conta”. O, in questo caso, dell’hard’n’heavy “che conta”, sempre più monopolizzato dagli eventi mastodontici che vedono protagonisti i nomi che già trenta e passa anni fa eravamo avvezzi a vedere in cartellone, e in molti casi nelle posizioni prospicienti dello stesso.
Nessuna polemica, per carità, quanto piuttosto un monito, relativamente all’importanza costitutiva dell’underground per la nostra musica e al rapporto ravvicinato con il palco che è imprescindibile, sia nell’immaginario che nell’auspicabile. Perciò, fuor di metafora, ben venga la passione per i grandi eventi che di questi tempi anima la nostra categoria con il suo manto di nostalgia per un passato vissuto o semplicemente agognato, ma è evidente a chi scrive come la vera essenza del metal, oggi come ieri, sia in piccoli club ed eventi esclusivi, non per scelta elitaria ma per vocazione stradaiola.
L’Alchemica è in effetti l’esempio lampante di una simile dimensione, sorta di piccola grande Mela da cui ognuno può mordere il proprio ambito preferito, nella galassia di quell’underground sempre più sconfinato e sempre più lontano da logiche di esposizione. E poco importa se stavolta i nomi più in alto in cartellone fossero lì a raccogliere le soddisfazioni di una carriera pluridecennale: è anche vero che la passione non ha età, a giudicar sia da chi sta sopra che da chi sta sotto al palco…
Al mio arrivo il set dei Crying Steel è iniziato da pochissimo, ed è sulle note dell’incalzante ‘Fly Away’ che si capisce come lo show avrà una marcia in più rispetto alle altre volte in cui ho intercettato il combo bolognese dal vivo. Merito soprattutto del singer Tiziano “HammerHead” Sbaragli, a bordo della storica corazzata d’acciaio per queste date celebrative del debut ‘On the Prowl’ e dotato di una voce dall’estensione superba e dall’incisività fuori dal comune. Nonostante l’innesto avvenuto all’ultimo momento, Sbaragli è apparso da subito perfettamente a suo agio nel suo ruolo, tanto da rendere il concerto una festa tra amici, scherzando sul suo accento toscano prima di introdurre la marziale ‘Struggling Along’ su cui il pubblico non può fare a meno di saltare. Un set ovviamente convincente che pesca a piene mani dal disco del 1987, con altri estratti del calibro della rockeggiante ‘Changing the Direction’, dell’ammiccante ‘Upright Smile’ con il suo flavour americano, della rasoiata in stile Crimson Glory rispondente al nome di ‘The Song of Evening’ e del crescendo di ‘Alone Again’, laddove il nuovo arrivato offre una prestazione raffinata su ‘Shining’, dalle reminescenze della parte più delicata della NWOBHM e dalla non facile resa live, tanto che muta immediatamente nell’anthemica ‘Raptor’, unico e doveroso estratto più “recente” prima della chiusura affidata a ‘Thundergods’. Oltre alle doverosamente incensate doti dell’ugola degli Angel Martyr, un fattore che ha giocato a favore del quintetto è stato di sicuro un sound ben definito e sideralmente lontano da quanto abbiamo assistito in occasione della data di supporto ai Metal Church l’anno precedente, stavolta con le chitarre ben in evidenza e con tutta l’energia e l’adrenalina del “due prove e via!”, per usare le loro stesse parole.
Dopo il cambio palco, è l’intro ‘Premonition’ a dare inizio alle danze, prima di una versione sanguigna e più “in your face” che mai di ‘Ride into the Sun’: i Vicious Rumors hanno preso possesso del palco dell’Alchemica, in occasione della seconda delle due date italiane di supporto al (quasi) quarantennale del loro primo album ‘Soldiers of the Night’. Alla voce c’è di nuovo il fido Brian Allen, distantissimo dall’intenzione vocale del primissimo singer Gary St. Pierre, eppure è impossibile immaginare i Vicious Rumors di oggi senza di lui, divenuto praticamente uno degli elementi distintivi della band sin dal fondamentale ‘Razorback Killers’ del 2011. Sin dall’opener echeggia poi un altro tratto sempiterno della band, i cori del mastermind Geoff Thorpe, che continueranno anche nella successiva ‘Medusa’. Il debut è praticamente riproposto nello stesso ordine di tracklist almeno fino alla cattivissima ‘March or Die’, più un altro paio di estratti, ed è ovviamente sulla titletrack insolitamente collocata in terza posizione (laddove in genere chiude tutti i concerti) che il pubblico si scatena, complice anche un Gunnar DüGrey alla chitarra solista che non ha fatto rimpiangere né lo storico shredder del primo disco Vinnie Moore né i successori. Scelta azzeccata quella di riservare alla seconda parte della tracklist un po’ di highlights della carriera degli americani, a partire dall’imbattibile accoppiata ‘Digital Dictator’ / ‘Minute to Kill’, passando per l’anthemica ‘Down to the Temple’ e per ‘Abandoned’ fino a ‘Murderball’ dal già citato album di 13 anni fa, coprendo dunque i primi quattro album senza lesinare il giusto tributo al lavoro in studio di Allen (speravo segretamente nell’inclusione di ‘Black’, ma mi consolo con il fatto che fosse in scaletta in occasione della loro calata ferrarese del 2012!). Al di là della fredda cronaca, è Thorpe come sempre a tessere e tirare le fila dell’ensemble, rievocando i quarantacinque anni trascorsi on the road e scherzando sul fatto che da quel fatidico 1979, anno di inizio della band, a volte sembra passato un anno e a volte addirittura settantacinque! Non può poi esimersi di complimentarsi con i maniacs accorsi da ogni dove per pagare il tributo allo US Metal sotto il palco, aggiungendo nell’86 non pensava affatto che la gente si sarebbe ricordata di loro così a lungo.
Ecco, è nel lato più umano ed emozionale che riconosciamo i reduci della grande stagione heavy/power statunitense: nel cappellino che cade a Thorpe durante l’headbanging mostrando la ricrescita ingrigita, o nello sgabellino su cui Kurdt Vanderhoof indugiava nei momenti di pausa quando ha suonato qui con i Metal Church, entrambi reduci di un’epoca forse irripetibile, senatori di una scena schiacciata tra la tradizione britannica e l’ascesa inarrestabile del connazionale thrash assieme a Ron Jarzombek, Alan Tecchio, James Riviera e Chris DeGarmo, idealmente attorniati da grandi martiri del calibro di David Wayne, Mike Howe, Criss Oliva, Mark Reale e ovviamente il “loro” Carl Albert, solo per citarne alcuni.
E poi, c’è quella dimensione live raccolta citata in apertura, trascorsa sotto il palco e con un gruppo che conoscono magari in cinquanta, ma quei cinquanta ci sono tutti e la sensazione è impagabile. Metal verace, ostico, americano nell’accezione migliore del termine, con i suoi fautori che magari nella vita svolgono disparati altri lavori e chiedono le ferie per venire in Europa, dove sono adorati come dei in un ribaltamento della prospettiva dell’arrivo di Colombo sulle coste di San Salvador. Il tutto un attimo prima di impacchettare tutto e veleggiare verso lo Sweden Rock Festival. Tornate presto, saremo qui ad accogliervi.
Setlist:
Ride (into the Sun)
Medusa
Soldiers of the Night
Murder
March or Die
In Fire
Blistering Winds
Digital Dictator
Minute to Kill
Abandoned
Worlds and Machines
Murderball
Down to the Temple
Hellraiser
Don’t Wait for me