Desertfest Berlin – Day 2 @ Columbiadamm, Berlino, 25 maggio 2024
Il 11/06/2024, di Marina Fulco.
Secondo giorno per il Desertfest berlinese. Con le orecchie ancora fumanti dalla giornata precedente, ci apprestiamo a vivere una maratona sonora maggiormente orientata verso il rock sperimentale, noise, rock anni ‘70 e molte altre contaminazioni tra generi. Arriviamo perfettamente in orario per fare un giro perlustrativo e accorgerci della varietà del cibo presente, molti diversi stand di illustratori e grafici provenienti un po’ da tutta Europa che propongono le loro opere, diversi dei quali hanno collaborato con gli artisti presenti per la realizzazione di locandine o merchandising.
I primi ad esibirsi sono i Gomahhh, band di Berlino chiamata a rimpiazzare il duo Cava, originariamente previsto come opener della giornata. Alle 15:00 in punto salgono sul palco riversando sul pubblico una tracklist caratterizzata da influenze desert rock e suoni elettronici. Si notano influenze psych rock e subito comprendiamo l’ interessante commistione di generi. Danno inizio a questa giornata con nuova energia, in particolare dopo la pesante e oscura chiusura della serata precedente ad opera Amenra. Il pubblico si lascia trasportare dalla musica anche ballando. Verso la fine del concerto il cantante e chitarrista si cimenta con il flauto traverso. Una piacevole scoperta.
Veloce cambio palco, e arrivano gli EinsEinsEins, che dal nome e dalla presenza di due tastiere Roland ai lati del palco presupponiamo si tratti di una band influenzata dalla musica elettronica. Entrano vestiti con una camicia viola, la voce ci ricorda quella dei Kraftwerk e dei Daft Punk, hanno caratteristiche rock, con la presenza di chitarra elettrica, basso e batteria. Il suono, che definiamo minimalista, presenta dei tratti ripetitivi, creando così un muro di suono che fa ballare il pubblico.
L’esibizione dei Dirty Sound Magnet sul palco del Columbiahalle è stata un viaggio travolgente attraverso sonorità psichedeliche e rock alternativo. La band svizzera, nota per il suo stile unico che fonde elementi vintage e moderni, ha conquistato il pubblico con una performance energica e coinvolgente. Sin dall’inizio del loro set, hanno dimostrato una maestria tecnica degna di nota. Le intricate linee di chitarra, accompagnate dal groove profondo del basso e dalla batteria pulsante, hanno creato un muro sonoro potente e ipnotico. I brani eseguiti, tratti dai loro album più recenti, hanno spaziato dalle atmosfere più sognanti e lisergiche a momenti di puro rock’n’roll. L’energia scaturita dal palco è stata palpabile, con molti spettatori che si sono lasciati andare a danze sfrenate e a momenti di headbanging. Il set è stato caratterizzato da momenti di pura improvvisazione strumentale, dimostrando l’affiatamento e la maestria tecnica del trio.
Eravamo curiosi di assistere all’esibizione del trio strumentale Zahn per via della loro sperimentazione. Sul palco, vediamo la batteria al centro con chitarra e basso ai lati, come se per questo, il gruppo dia una fondamentale importanza al ritmo. Strumentali e in grado di accompagnarci in viaggio verso ignote destinazioni non possiamo che saltare a bordo sostenuti da un’ eccellente sezione ritmica che a tratti alza i volumi per sorprendere, riuscendo anche a far ballare il pubblico.
Un’altra esibizione che continua a trasportarci nelle atmosfere degli anni 70, è stata quella dei Siena Root. La band, grandi amanti della musica di Ennio Morricone con cui entrano sul palco, è caratterizzata dalla soave e lisergica voce di Zubaida Solid, che ci ricorda Grace Slick e Janis Joplin. Le influenze di blues, hard rock e psichedelia che caratterizzano il sound della band, ci fanno viaggiare indietro nel tempo, facendoci apprezzare ogni momento del concerto.
Un’altra voce femminile che ha dominato il palco del Desertfest è stata quella dei Daevar. Questa band di recente formazione ha già conquistato un buon seguito grazie al loro stile unico, definito come grunge doom. Il loro sound si caratterizza per un suono sporco e ruvido, una voce malinconica e graffiante, e potenti assoli di chitarra. Nonostante l’energia e la passione messe in campo, l’esibizione non è stata delle migliori, causa di alcuni errori tecnici che hanno compromesso la performance complessiva. Sebbene non sia stata una delle migliori esibizioni del festival, i Daevar hanno comunque mostrato il loro potenziale e la loro capacità di coinvolgere il pubblico con il loro stile distintivo.
L’esibizione dei DŸSE è stata una delle più sorprendenti del festival. La band tedesca ha subito catturato l’attenzione del pubblico con la batteria posta davanti sul palco, rompendo le convenzioni tipiche dei concerti rock. La performance è iniziata con una brillante combo batteria, voce e chitarra, sbattendoci in faccia ritmi frenetici accompagnati dalle distorsioni care a certo noise rock. Il duo ha dimostrato una notevole abilità tecnica e carisma, coinvolgendo attivamente il pubblico con testi ironici. Hanno saputo distinguersi con il loro stile unico e l’energia contagiosa confermando il Desertfest come un evento in cui vengono coinvolti generi tra i più differenti.
I trasher metaller Zerre hanno dimostrato una grande energia sul palco e sono riusciti a coinvolgere il pubblico che poga e si diverte. La forte spinta del cantante, è stata caricata da riff incisivi che ci riportano ai giorni di gloria del trash metal degli anni ’80 unita alla potenza dell’hardcore punk.
Uno degli spettacoli più belli che ci ha offerto il Desertfest è stato quello di Arthur Brown. Artista inglese attivo dagli anni ‘60, ci ha offerto un’esibizione più unica che rara. Portando un genere che parte da gruppi prog degli anni ‘70 come Jethro Tull, King Crimson e Gong, assorbendo le caratteristiche ma portando dell’originalità. Nonostante abbia di recente superato la soglia degli ottant’anni, mantiene una tecnica vocale notevole che ha permesso a molti del pubblico di lasciarsi trasportare dal suono della musica. Non sono mancati momenti di ilarità come quelli dove teneva una sorta di bacchetta magica in mano cercando inutilmente di fare svanire i fotografi sotto al palco. Durante il concerto ha cambiato spesso abito, entrando con un semplice vestito con cappello a cilindro, passando per un abito rosso scintillante mentre eseguiva uno dei suoi brani più celebri con le fiamme sulla testa ovvero ‘Fire’, fino ad arrivare ad uno più tendente al blu scintillante per i brani di chiusura caratterizzati da suoni elettronici e tendenti alla psichedelia.
Band totalmente femminile quella degli Aptera che ha portato sul palco la loro miscela di heavy metal e stoner rock. La band ha eseguito una serie di brani potenti e avvolgenti, con riff di chitarra pesanti e ritmi incalzanti. La voce della cantante ha alternato tra melodie evocative e grida intense, aggiungendo un ulteriore livello di intensità alla performance. Portando testi impegnati e tematiche sociali e politiche, affrontano argomenti come la giustizia sociale, diritti delle donne e l’ambientalismo.
Arriva il turno di una delle certezze in ambito garage-rock psych, gli Osees, che inizia con calma il suo set (con due batterie schierate al centro del palco) per poi alzare il tiro innescando la reazione del pubblico che fra headbanging, pogo e stage diving dimostra di apprezzare le intenzioni e il sound godibile accompagnato da idee sempre convincenti e ben esposte così come dimostra la loro vasta discografia. Non sono mancate anche sporadiche ipnotiche improvvisazioni ad arricchire il repertorio (‘If I had my way’, ‘A foul form’…). La scaletta scorre via senza intoppi e ancora una volta i ragazzi hanno dato tanto dimostrando come si può attingere dal passato e scrivere con freschezza. E il pubblico ancora una volta ha apprezzato.