Fear Factory + Butcher Babies + Ignea + Ghosts Of Atlantis @ New Age, Roncade (TV), 19 novembre 2023
Il 11/12/2023, di Alex Ventriglia.
Assediato da un periodo tanto assurdo e faticoso che neppure Ercole alle prese con le sue celeberrime 12 fatiche, dove credo di aver esaurito ogni bestemmia possibile e immaginabile nel provare a schivare gli ostacoli, anche se un buon cronista deve sempre tenere a mente il confine tra personale e pubblico, e andare subito al sodo. Ragione questa che mi ha portato infine a serrare le fila e a dire la mia, in modo tardivo ma impetuoso, sul ritorno in Italia dei Fear Factory, band che da noi ha sempre riscosso grandi consensi, ma ultimamente frenata dalle bizze di Burton C. Bell, per non aggiungere dei dissapori con Dino Cazares, a mio avviso unico e vero “mastermind” e referente del progetto. Delle due date a Milano e Roncade, ho scelto quella del New Age, un club che, pur non essendo dietro l’angolo, rimane uno dei miei preferiti tra quelli di lungo corso e di gran blasone, il quale sarà teatro infatti di una serata speciale affollata di gente, ma anche di artisti visto che a suonare saranno ben quattro gruppi: oltre agli healiner Fear Factory e ai conterranei Butcher Babies, nel cast figurano anche gli ucraini Ignea e gli inglesi Ghosts Of Atlantis, questi aggiunti all’ultimo e che saranno tra le note più liete della serata.
Originario del Suffolk, il quintetto gioca infatti forte su un comparto forgiato nell’acciaio più sinfonico e aggressivo, ma senza esser mai noioso o stucchevole, ben amministrato nelle melodie e nel cantato ambivalente di Phil Primmer, uno che come stile vocale si muove abilmente tra Warrel Dane e Bjorn ‘Speed’ Strid. Il nuovissimo, secondo full length album ‘Riddles Of The Sycophants’ dimostra magistralmente la portata della band, band che io personalmente non conoscevo ma che dal vivo risulta decisamente coinvolgente, e questo di solito avviene per chi bada alla sostanza e ha tutte le carte in regola per imporsi. Certo, muovendosi su tali coordinate sonore è forse implicito che non puoi essere un bluff, ma rendere tutto così armonioso e perentorio, fa bene al cuore di coloro che amano il metal di qualità, meglio se affrontato col coltello fra i denti. Bravissimi, da non perdere assolutamente di vista, specie se si confermano a un tale livello di eccellenza.
Con i successivi Ignea lo stile è restato bene o male quello, ma più “classicamente” ancorato a quelle caratteristiche che rendono il symphonic metal un settore un po’ a rischio, nonostante le varianti death che il five-piece di Kyiv puntualmente apporta, a partire dalla frontgirl Helle Bohdanova, convincente sia per i suoi registri vocali che per un appeal che a me ha ricordato Tatiana Shmayluk dei Jinjer, anch’essi ucraini. Una band che ha fatto il suo compitino preciso e pulito, con alcune fiammate degne di nota, ma che deve ancora trovare la quadra giusta, almeno per lasciare il segno sulle assi del palcoscenico. Mi viene da dire che, forse forse, han subito il contraccolpo psicologico dalla clamorosa performance di chi li ha preceduti… Ai posteri l’ardua sentenza.
Le Butcher Babies croce e delizia del tour in questione? In molti lo pensano, ma ben pochi lo ammettono, a maggior ragione se poi la defezione della mora Carla Harvey (la quale ha dovuto affrontare un intervento chirurgico a un occhio, felicemente riuscito) ha rischiato di mandare a monte il progetto, compromettendo seriamente una tournée importante, ma di questa band vanno sempre ammirate tenacia e determinazione, nonché il sacro fuoco che anima sia le due frontgirl sia una line-up (con in testa il bassista Ricky Bonazza, vicentino trapiantato da anni a Los Angeles e ormai a pieno regime nelle Butcher Babies) che specie dal vivo è un incessante martello pneumatico! Da fanatica di Wendy O. Williams e dei suoi Plasmatics qual è, figurati se Heidi Shepherd poteva in qualche modo indugiare o tirarsi indietro, anzi ha raddoppiato impeto e ardore e ha maneggiato un concerto intensissimo, al calor bianco, come si diceva una volta dei grandi classici… Il New Age è un club piccolo e raccolto, dove si è a stretto contatto col proprio pubblico, ovverossia la dimensione ideale per le Butcher Babies oggi interamente sulle spalle di Heidi, la quale, ora veemente, ora struggente, ci ha messo poco a conquistare tutti i presenti, durante una setlist incentrata quasi completamente sull’ultimo ‘…’Til The World’s Blind’, a partire dalle iniziali ‘Backstreets Of Tennessee’ e ‘Red Thunder’ che han subito messo in chiaro le cose maciullando l’audience, quasi presa in contropiede da tanta foga e dinamismo. Altro passaggio chiave, il break che dalla roboante ‘Beaver Cage’ ci ha condotto sino a ‘Last December, brano che, impietosamente e con “delicatezza”, racconta di sanità mentale e istinto suicida, di drammi emotivi che la stessa Heidi ha vissuto sulla propria pelle e che, grazie alle Butcher Babies, ha potuto esorcizzare e sconfiggere. Se la prima volta fu a un Festival, variopinto e chiassoso quanto vuoi, ma anche dannatamente dispersivo, stavolta, e benché “orfane” di Carla, le Butcher Babies son state a dir poco devastanti e divertenti come sempre dovrebbe essere, per una band che distilla spirito battagliero e una trance agonistica mica da ridere!
Con i Fear Factory più che i dubbi, sono state le certezze a farsi strada, in una band che per smaltire le tossine accumulate dopo l’ennesimo abbandono di Burton C. Bell e poter rifiorire a ogni livello possibile, ha resettato completamente tirando dentro un nuovo vocalist che, intanto, e lo sanno pure i sassi, è italiano, ma quello che inorgoglisce ancora di più è il suo valore assoluto! Milo Silvestro è uno che, con estrema naturalezza, sta già facendo sfiorire il ricordo del suo illustre predecessore, e il confronto impallidisce una volta che la Fabbrica della Paura fa partire i suoi brutali e tormentati inni, snocciolati, uno dietro l’altro, implacabili e dirompenti, come forse solo un tempo ce li ricordavamo tanto letali… Introdotti da Milo, tipico “romanaccio de Roma”, simpatico e guascone, hanno fatto quindi una sensazione strana, sotto l’occhio vigile ma divertito di Dino, il quale credo sia consapevole di aver scovato il giusto asso nella manica, nonché il propellente vocale più adatto per incendiare brani tipo ‘Shock’ ed ‘Edgecrusher’, ‘Freedom Or Fire’ e ‘Descent’, quartetto iniziale perfetto a ribadire la portata di un album amatissimo come ‘Obsolete’. Lo show del New Age è stato suggestivo e al tempo stesso solenne, sia per l’importanza dell’evento che per un’intensità superiore alla norma, e per nuove e più utili referenze chiedere a ‘Martyr’, dal pionieristico ‘Soul Of A New Machine’, oppure al trittico conclusivo interamente dedicato al loro capolavoro assoluto, da ‘Demanufacture’ a ‘Zero Signal’, a ‘Replica’. A strappare giù il sipario, quell’oscuro, significativo gioiellino che risponde al nome di ‘Resurrection’, che lo stesso Milo ha caricato di grande significato e di un’investitura tutta personale. Intanto, i Fear Factory, compatti e sontuosi, con a bordo un italiano che bada al sodo, hanno dimostrato di essere tornati a fare sul serio. E noi non possiamo che gioirne.