Europe @ Ferrara Summer Festival – Ferrara, 6 luglio 2023
Il 09/07/2023, di Francesco Faniello.
In fondo, è come quel quadro di De Chirico. Sì, proprio quello: “Le Muse inquietanti”, con due manichini da sartoria messi a guardia di uno scenario surreale (metafisico, non a caso) che vede sullo sfondo un fulgido esempio di archeologia industriale e il Castello Estense di Ferrara. Allo stesso modo possiamo descrivere la calata degli Europe in una piazza gremita e dagli spazi altrimenti ampi qual è Trento e Trieste a Ferrara, appunto.
Il gioco dei contrasti si può poi continuare all’infinito descrivendo la serratissima ora e mezza in cui Tempest e compagni hanno dato fuoco alle polveri: l’inizio orchestrale affidato al passo solenne di ‘Walk The Earth’ mentre l’oscurità faticava a calare data l’ora estiva lascia spazio a ‘Rock The Night’, su cui il buio avanza deciso. Nomen omen, certo, ma anche una chiara dichiarazione di intenti su una scaletta che pescherà in mood equanime tra il “prima” e il “dopo”, tra il periodo dei lustrini e della cotonatura e la professione di fede per il Rainbow-sound e per l’all black che caratterizza da sempre i prolifici anni post-reunion.
Che poi, si tratta di una distinzione meramente strumentale e “giornalistica”, come si suol dire, dato che i riferimenti degli Europe sono sempre stati chiarissimi, sia a loro che all’ascoltatore più attento, benché sommersi da qualche tappeto di tastiere di troppo e dalle inevitabili luci della ribalta conseguenti all’anno fatale 1986. Ecco dunque che Joey Tempest ci chiede che ne pensiamo di sentire qualcosa da ‘Wings of Tomorrow’ e i polsi tremano al cospetto di una ‘Scream of Anger’ che è una cavalcata proto-power a tutti gli effetti, con Levén e Haugland a dettare il ritmo come nelle migliori famiglie e John Norum che ci regala uno dei suoi assoli storici. Già, Norum: per me il vero mattatore della serata è lui, una leggenda vivente della sei corde che non fa mai mancare le sue pennellate in ognuno degli estratti dal cappello a cilindro di una discografia di altissimo livello, compresi gli inattesi (per me) estratti da ‘Out of this World’, ‘Sign of the Times’ in cui il piano lascia spazio all’hammond, le scanzonate ‘Let the Good Times Rock’ e ‘Ready or not’ (con Tempest che imbraccia una Les Paul bianca!) fino all’anthemica ‘Superstitious’, accolta con un boato da tutti i presenti che hanno gradito particolarmente l’improvvisazione di ‘No Woman No Cry’ che ne accompagna l’arrangiamento.
Come già detto, i cinque svedesi non hanno timore di dischiudere ai convenuti i preziosi tesori dei loro dischi più recenti, come ‘Last Look at Eden’ in cui è ancora una volta la Flying V di Norum a fare gli onori di casa, o la rocciosa ‘Love is not the Enemy’, fulgido esempio di una maturità compositiva portata a pieno compimento. Certo – e lo concedo – il pubblico aspetta i “suoi” momenti, che non tardano ad arrivare con ‘Carrie’, il “lento” dei lenti per eccellenza, ‘Open Your Heart’ e ‘Heart Of Stone’, introdotta dall’affabile Joey Tempest con un ammiccante “majal, s l’è bela ‘sta piasa”! Personalmente ho sperato fino alla fine nella comparsa di ‘Seven Doors Hotel’ in onore del quarantennale del disco di debutto, ma posso dire di essere più che soddisfatto dalla bellissima e purpleiana ‘War of Kings’, da una versione indimenticabile di ‘Stormwind’ (uno dei picchi compositivi dei Nostri), dalla cromatissima ‘Cherokee’ introdotta da un Haugland in piena forma e suggellata (che ve lo dico a fare) dall’iconico assolo, nonché ovviamente dalla conclusiva e immancabile ‘The Final Countdown’, eseguita dinanzi a una piazza incontenibile.
Cos’altro aggiungere? Gli Europe si confermano grandi mattatori da palcoscenico, dispiegando anche un gusto per gli arrangiamenti niente affatto scontato, che va a completare l’ossatura hard rock pienamente rappresentativa della tradizione scandinava di cui sono da sempre portabandiera. Un concerto di quelli da incorniciare.
Servizio fotografico a cura di Roberto Villani