Roger Waters @ Unipol Arena – Bologna, 29 aprile 2023
Il 03/05/2023, di Giovanni Rossi.
“Quando perdi qualcuno a cui tieni, ti serve a capire che questa non è un’esercitazione”. Così dice Roger Waters presentando Wish You Were Here in uno dei momenti più toccanti della sua liturgia rock su cui si dipana la narrazione del leader della golden age dei Pink Floyd, un lungo viaggio che parla di perdita dell’innocenza (“ho perso mio padre quando avevo solo cinque mesi”), di fine degli affetti (“mi stavo separando da mia moglie ed ero sull’orlo dell’esaurimento nervoso”), e di sopraffazione (Shireen Abu Akleh, Mahsa Amini, Anna Frank, George Floyd sono solo alcuni dei nomi che cita), dove ogni tessera trova la sua collocazione.
Waters ce l’ha a morte con la guerra, la odia visceralmente, prende le parti di tutti quelli che subiscono violenza, carica a testa bassa in modo bipartisan, bianchi e neri, ebrei e musulmani, americani e russi, non lascia stare nessuno, perchè dalla guerra della Falkland ad oggi non ha mai risparmiato nessuno. La guerra la conosce molto bene, le da del “tu”, perchè la guerra è entrata nella sua vita da prima che potesse imparare a parlare, la guerra gli ha strappato il padre sulle spiagge di Anzio nella Seconda Guerra Mondiale, e lui la guerra non l’ha mai perdonata, ad ogni latitudine e di ogni colore. Lui può parlare a ragion veduta della guerra, ne ha tutto il diritto, ha il diritto di odiarla, e la sua musica ne parla in continuazione da quando ha scritto di suo personale pugno, questo si deve dire, la stragrande maggior parte di The Dark Side of the Moon, Wish You Were Here, Animals e The Wall, sempre con piglio drammaticamente intimo, riversando nei loro testi tutto il suo sentire. Non deve quindi stupire se questo evento è soprattutto un suo percorso personale.
Lo spettacolo è impressionante, un palco centrale diviso da una sagoma a forma di croce nera che separa i musicisti e che poi si alza dopo il primo brano diventando una superficie di otto maxischermi sospesi in aria che accompagnano con testi e video tutto lo spettacolo. Roger attacca con Comfortably Numb in versione rivista e corretta, parte di quello che sarà il suo prossimo album, la rilettura di The Dark Side of the Moon a modo suo, in pratica una Bibbia riscritta da Dio, paganamente parlando, si intende. Non c’è la chitarra, potrebbe suonare come una bestemmia per il brano che da molte riviste di settore è considerato contenere uno dei più grandi assolo della storia del rock. Il pezzo che di solito chiudeva tutti i concerti dei Pink Floyd, per lui è solo l’inizio. Ma Roger può questo e altro, perchè questa versione arrangiata con i synth è semplicemente sublime, oscura, pesante e drammatica come lui voleva per descrivere il mondo in cui ci troviamo ora. Questo non è che l’assaggio di un approccio che il compositore inglese terrà per tutto il live, brani riarrangiati con molto meno spazio per le chitarre, uno su tutti Shine On You Crazy Diamond, come a suggerire, neppure troppo subliminalmente, che i Pink Floyd sono passati alla storia in primis per lui e per i suoi testi, non certo per alcuni assolo.
Quando la croce nera si alza, ecco The Happiest Days of Our Live, Another Brick in the Wall part 2 e 3, potenti, ritmate, seguite da The Powers that Be e una elegiaca The Bravery of being out of Range dall’album solista Amused to Death. Si capisce subito che la scaletta è funzionale alla narrazione, attinge dai Pink Floyd e dalla carriera solista di Roger, perchè in fondo sono le due facce dell’unica medaglia su cui lui ha costruito la sua poetica, senza soluzione di continuità: i muri eretti dall’autoritarismo, i poteri forti che soffocano l’uomo, il coraggio di chi lotta contro i soprusi.
È a questo punto che Roger si siede al piano dicendo che vorrebbe stare insieme a tutti come a un bar, chiacchierando liberamente, e per tutto il concerto parla, parla tantissimo, e presenta una toccante The Bar composta durante il lockdown. Quando poi passa alla potente Have A Cigar, ci ricorda che lui la storia del rock l’ha fatta, con un arrangiamento sopra le righe, nevrastenico e graffiante. È a questo punto che arriva con Wish You Were Here e Shine On l’omaggio a Syd. Ricorda quel concerto degli Stones del ’66 che vide insieme all’amico, e quando sul viaggio del ritorno si promisero su un treno che avrebbero fondato un gruppo rock: “Lo abbiamo fatto, per un certo momento ci siamo riusciti, e abbiamo vissuto il sogno”. Poi Syd se ne è andato, non da un’altra parte, ma dentro se stesso, smarrendosi e perdendo tutto quello che aveva intorno, Roger compreso. Sono lacrime. Amicizia e amore come raramente si sente da un palco. E questo smarrimento, questo dolore, è quello che Roger, occhiali da sole e cappotto in pelle da dittatore, continua a raccontare quando con Sheep, In The Flesh e Run Like Hell ci parla di quegli uomini innocenti che perdono le loro vite per la cupidigia e la cattiveria dei potenti, ma contro cui dobbiamo prendere posizione e non piegarci. Si sposta instancabilmente ai quattro angoli del palco per abbracciare idealmente tutti, si batte la mano sul petto, mette le braccia a forma di martelli incrociati mimando The Wall, si lascia persino andare a passi di ballo e grida, altro che l’artista distaccato che ci ricordavamo dalla fine dei Pink Floyd! Una gigantesca pecora volteggia sulle teste del pubblico mentre Roger invita tutti noi, il popolo, le pecore, a resistere. Sarà poi la volta dell’iconico maiale simbolo del potere, un altro enorme pallone che completa la trasposizione fisica di Aniumals alias La Fattoria degli Animali in versione Roger Waters. Definisce “criminali di guerra”, citandoli con tanto di numero di morti sulle loro spalle, Reagan, Clinton, Obama, Trump, e Biden (“ha appena iniziato, è già sulla buona strada”, dice con il suo tipico humor inglese). Poi ovviamente ce n’è anche per Putin e per la guerra che ci sta facendo avvicinare pericolosamente alla fine. Is This the life we really want? ci chiede infine mettendoci davanti alle morti inutili della guerra, è questa la vita che vogliamo veramente? Che Waters sia cambiato lo si capisce anche dal dialogo che continua a tenere, non ha mai parlato così tanto con il suo pubblico come in questi ultimi anni, mettendosi a nudo ancor più di prima, con la perdita del padre in guerra, le amicizie smarrite, i matrimoni falliti, il crollo nervoso, la solitudine del successo. Altro che bella vita. Altro che vita facile. Impossibile non provare un senso di angoscia e di disagio, di opprimente malinconia e di strisciante preoccupazione; nessun problema, vuol dire che va tutto bene, perchè è esattamente su questo terreno che Roger vuole portare il pubblico.
La terza parte tematica del concerto si tuffa in The Dark Side of the Moon, con spettacolari giochi di colori sulle note di Money, Us and Them, Any Colour You Like, Brain Damage e Eclipse. Pezzi di storia su cui Waters prende fiato dedicandosi al suo amato basso per lasciare il cantato alla band. Una coreografia di laser azzurri disegna nell’aria con geometrica perfezione il prisma nero di The Dark Side, mentre i maxischermi si compongono dei volti di gente comune, noi e voi, persone come siamo tutti. Bellissimo il recupero finale del gioiello Two Suns in the Sunset da The Final Cut, un album fin troppo colpevolmente sottovalutato, per ricordarci che l’orologio del Giorno del Giudizio oggi sta correndo in modo pericoloso verso la fine. Ce n’è ancora per Putin e per la sua sete di potere, Waters non risparmia nessuno. Altro che antisemita. Altro che filorusso. Solo chi non lo conosce può sparare bestialità simili.
Alla fine si torna tutti al bar dell’inizio, con la ripresa di The Bar. Qui Roger si fa un goccetto con tutta la band alla nostra salute, ricorda l’incontro precedente con Bologna, “venni qui nel 2018, una bellissima piazzetta davanti a una chiesa”, e allora come oggi il giornale riportava la morte di bambini innocenti straziati dalla guerra. Se lo ricorda ancora, Waters ha il suo personale conto aperto con la violenza e con la morte ingiusta, annota tutto e ce lo rammenta. E alla fine ci porta Outside the Wall, perchè il Roger di oggi non vuole consegnarci al pessimismo, non vuole arrendersi al male e se per tutto il concerto non ha fatto che esortare ad aprire gli occhi, resistere e lottare, adesso ci dice che può esistere una via d’uscita fuori dal muro.
Molto probabile che questo sarà l’ultimo tour del compositore inglese, lo ha anche dichiarato. Ma non sarà certo l’eta anagrafica a fermarlo, nonostante le ottanta candeline, perchè Waters per due ore e mezzo non si risparmia dando tutto se stesso e continuando a parlare con il suo pubblico come non ha mai fatto prima. La sua è una instancabile missione in difesa della giustizia, che si chiami Julian Assange libero, o che sia l’omaggio a Bob Dylan e alla sua poesia contro la guerra, che ci sia da ricordare il sacrificio del nativi americani o degli ebrei uccisi nell’olocausto, ha costruito un’intera narrazione per imprimere ogni messaggio in modo indelebile, con musica, suoni e immagini. Lo spettacolo è assoluto, retto da una band di prim’ordine, dagli storici Dave Kilminster e John Carin alla giovane e bravissima vocalist Shanay Johnson. Il suono che si propaga in tutte le direzioni avvolgendo il pubblico che circonda il palco è perfetto nella resa e nel dettaglio, così pure i video che descrivono ogni canzone, studiati con cura per completare la narrazione musicale. La speranza che sta nella presenza tra il pubblico di moltissimi giovani, conferma ancora una volta come il messaggio dei Pink Floyd e di Roger Waters sia in grado di trascendere le generazioni e portare tutti allo stesso livello di confronto con i temi portanti dell’umanità, senza distinzioni di sorta. Forse è per questo che invece di godersi i milioni trastullandosi nel dolce ozio che potrebbe meritarsi un uomo che nella vita ha raggiunto e superato ogni traguardo possibile, Roger Waters continua a dedicarsi anima e corpo alla musica. Perchè questo è il suo modo per ripeterci instancabilmente che le cose si sono fatte serie, la situazione è drammatica, e questa non è un’esercitazione. Se questo è l’addio come ha preannunciato, allora dobbiamo custodire e difendere con le unghie e con i denti tutto questa drammatica bellezza. Perchè la malinconica consapevolezza di non vedere più Roger dal vivo possa essere vinta dal sorriso e dalla grinta che ci ha lasciato scendendo da quel palco dove per due ore è mezza è stato il nostro fratello più grande che ci ha fatto le ultime raccomandazioni prima di prendere un treno insieme al suo miglior amico.