Bullet For My Valentine + Jinjer + Atreyu @ Alcatraz, Milano, 14 febbraio 2023
Il 17/02/2023, di Gianfranco Monese.
Sarò sincero fin dall’inizio: io, i Bullet For My Valentine, li avevo abbandonati. Dopo averli accolti a braccia aperte negli anni d’oro (quelli dei primi tre dischi, per intenderci), ed averli visti un paio di volte dal vivo (a Roncade, nel trevigiano, nell’estate del 2010 per il tour in supporto a ‘Fever’, e nel 2013 a Padova di spalla ai Korn), l’interesse è un pò scemato. Non tanto per la proposta, che tutt’oggi reputo all’avanguardia, se un giorno si vorranno sostituire colossi come i Metallica, quanto per i lavori in studio, che da ‘Temper Temper’ (2013) hanno visto un calo dell’estro, di quel mordente che tanto mi aveva convinto in precedenza. Tuttavia, consapevole che, da quel 2013, di acqua sotto i ponti ne sia passata, ho voluto dare una “rispolverata al catalogo”, e vedere di cosa sarebbe stato capace il quartetto gallese, dopo così tanto tempo.
Iniziato il ventinove gennaio al Palladium di Cologna (data conclusiva alla Roundhouse di Londra, sabato undici marzo), il ‘UK & Europe Tour 2023’ ha, presso l’Alcatraz di Milano, la sua unica data italiana. Come da programma, tutto inizia alle 19:10, quando il quintetto americano degli Atreyu prende posto sul palco. Con mezz’ora a disposizione, il loro metalcore tiene attivi i già numerosi presenti, complici le continue interazioni del frontman Brandon Saller, da cui ci sarebbe solo da imparare: se parecchi frontman, e parecchie frontwoman, interagissero così con chi hanno di fronte, a guadagnarci sarebbero sia la band, che lo show. Per rendere l’idea, in uno dei botta e risposta tra il microfono di Saller e le voci dei fan, la band si cimenta nel ritornello della famosa ‘I Wanna Dance With Somebody’ di Whitney Houston, sculettando e spassandosela con tutti. Al di là di questo siparietto, il gruppo è preciso e potente, il pubblico canta a gran voce (‘Save Us’ è un coro continuo), e lo show procede spedito verso il termine tra applausi e complimenti da parte di Saller, che sul finire afferma come quella milanese sia stata, al momento, la migliore data del tour. E’ solo un peccato che lo status dei cinque originari di Orange County, col passare degli anni, non sia praticamente cambiato, dato che nel 2010 furono la prima di tre band nel tour che i Bullet For My Valentine fecero in supporto a ‘Fever’ (nel mezzo si esibirono i Cancer Bats), e che questa sera sia successa la stessa identica cosa.
Setlist:
Strange Power Of Prophecy
Becoming The Bull
The Time Is Now
Drowning
Save Us
Battle Drums
Blow
Dopo venti minuti di preciso ed efficiente cambio palco, alle 20:00 tocca ai Jinjer dimostrare di essere tra i gruppi di punta del panorama hard & heavy degli ultimi anni. Non dev’essere facile, per i quattro ucraini, esibirsi dopo la convincente prova degli Atreyu, ma loro non sembrano minimamente preoccupati, e decidono di lasciar parlare la musica. Che, a partire dall’opener ‘Who’s Gonna Be The One’, toglie ogni dubbio su qualità ed estro dei Nostri. Seppur il variopinto genere sia un pò di nicchia, mescolando progressive, djent, groove e metalcore, i presenti, più statici rispetto alla precedente esibizione, apprezzano. Sugli scudi la frontwoman Tatiana Shmayluk, il cui sensuale body fucsia abbinato al trucco e alle scarpe (quantomeno la parte inferiore), e completato con un paio di leggings in latex, sopperisce alla bastevole interazione con il pubblico. Volendo, tuttavia, distogliere lo sguardo dall’affascinante Tatiana, bisogna constatare come la precisione tecnica dei suoi tre compagni di viaggio (Vladislav Ulasevich alla batteria, Eugene Abdukhanov al basso e Roman Ibramkhalinov alla chitarra) sia lodevole: senza quella sicuramente oggi i Jinjer non riscuoterebbero gli stessi consensi, a dimostrazione che nella musica, come sul lavoro, nello sport e in altri campi, si vince di squadra. Toccante e adirata risulta ‘Home Back’, con un’inevitabile dedica all’Ucraina e una doverosa richiesta di pace, che tutti speriamo arrivi presto, mentre in ‘Perennial’ per Tatiana è un gioco da ragazzi rubare la scena, abbinando funzionalmente parti pulite a growl. All’inno ‘Call Me A Symbol’ spetta chiudere uno show sicuramente metodico ed ineccepibile, nel quale però, saluti finali compresi, la band è apparsa un pò fredda. Peccato, perchè come scritto poc’anzi nella parte dedicata agli Atreyu, più si interagisce con il pubblico, più il feed back può solo crescere, e lo show giovarne.
Setlist:
Who’s Gonna Be The One
Copycat
Home Back
Judgement (& Punishment)
Pit Of Consciousness
Perennial
Dead Hands Feel No Pain
Vortex
Call Me A Symbol
E veniamo alle 21:15, quando puntuali salgono on stage i Bullet For My Valentine (o dovrei scrivere Bullet For SAINT Valentine, data la giornata?). Inutile nascondere che, tolto qualche fan, oltre che qualche curioso, dei Jinjer, gran parte dei presenti all’Alcatraz è qui per la band di punta, con un’età media che, non a caso, si aggira tra i venticinque e i quarant’anni: gente che, appunto, ha vissuto l’epoca emo et similia da adolescente, o si è fatta influenzare successivamente. La band ripaga fin da subito tanta presenza (non sufficiente, però, per rendere l’evento sold out), premendo sull’acceleratore grazie alle taglienti chitarre della rabbiosa ‘Knives’, secondo brano nella tracklist dell’ultimo, omonimo, disco, cui segue immediatamente ‘Over It’, secondo brano nella tracklist del penultimo disco ‘Gravity’. Nonostante il materiale sia, quindi, recente, il pubblico risponde benissimo ad ogni richiamo, incitando e ricambiando l’amore che il frontman Matthew Tuck e compagni gli rivolge. Bisogna subito constatare come, rispetto al passato, al bassista Jamie Mathias spetti più volte la parte del frontman, tra scream, seconde voci in grado di primeggiare con quella principale di Tuck, e parti “in solitaria” come quando, inaspettatamente, accompagnato da Micheal Paget all’acustica, è lui a cantare la prima strofa di ‘All These Things I Hate (Revolve Around Me)’. Una tattica per far riposare le corde vocali di Tuck? Qualcuno l’avrà sicuramente pensato, dato che il frontman ha spesso concesso al pubblico di cantare, ma personalmente l’ho vista come una giusta interazione tra i due, ottimale nel gratificare l’estro vocale di Mathias, veramente degno di nota. Tra i pezzi più esaltanti, d’obbligo citare la carica di ‘Hearts Burst Into Fire’, così come le scorribande di ‘The Last Fight’ e di ‘Scream Aim Fire’, per la quale Tuck obbliga il pubblico ad organizzare un circle pit. E’ questo un pezzo che, se su disco funziona, dal vivo, complice un ritmo serrato ed un continuo scambio di parti vocali (tra pulite e scream), il sottoscritto non è mai riuscito a godersi appieno: è sempre apparso un pò confusionario, pur rapendo in tutta la sua furia. Prima dei bis il quartetto si concede nuovamente al materiale più recente (‘Rainbow Veins’, ‘Don’t Need You’ e ‘Death By A Thousand Cuts’) ed è proprio questa, complice un pò di stanchezza, la tranche seguita con più freddezza dai presenti, seppur presenti e vivi ad ogni incitamento. Il trittico finale, per il quale la band si riposiziona sul palco dopo una pausa di appena un minuto, non da respiro: ‘Your Betrayal’ colpisce nel segno grazie alla sua precisione, mentre ‘Tears Don’t Fall’, introdotta da un Tuck con il solo ausilio della chitarra, proseguendo con il primo ritornello cantato “solamente” dai fan, scioglie i cuori di tutti. Quando il quartetto la riprende daccapo, eseguendola come da copione, non si può fare altro che ringraziare. A portare a termine uno show meticoloso chi se non ‘Waking The Demon’, una canzone che molte band thrash metal ancora rimpiangono di non aver scritto?! E’ infatti la chiusura con i fiocchi di uno spettacolo davvero intimo e potente, la cui resa dei quattro è stata coinvolgente e, da un punto di vista tecnico, eccelsa: oltre al versatile Mathias, punta di diamante della band, ed alla precisione chirurgica di Tuck e Paget, la potenza dietro le pelli del metronomo Bowld non è stata da meno. Bisognerebbe, ora, consegnare un valido seguito all’omonimo disco del 2021, in modo che i Bullet For My Valentine la possano smettere di essere una band per ex adolescenti che marinavano la scuola sulle note di ‘The Poison’ o ‘Scream Aim Fire’. Passi falsi ne sono stati fatti (si noti che, questa sera, non è stato eseguito nemmeno un brano da ‘Temper Temper’, mentre ‘Venom’ ha avuto un solo estratto), ora bisogna ritornare alla carica, convincendo oltre alla vecchia guardia, anche le nuove leve. In attesa di ciò, al sottoscritto la data milanese nel giorno San Valentino ha convinto appieno.
Setlist:
Knives
Over It
Piece Of Me
4 Words (To Choke Upon)
You Want A Battle (Here’s A War)
Hearts Burst Into Fire
The Last Fight
Shatter
All These Things I Hate (Revolve Around Me)
Scream Aim Fire
Suffocating Under Words Of Sorrow (What Can I Do)
Rainbow Veins
Don’t Need You
Death By A Thousand Cuts
Encore:
Your Betrayal
Tears Don’t Fall
Waking The Demon
FOTO DI MARCO BIUNNO