Wardruna @ Kongresshaus Tonhalle/Teatro dal Verme, Zurigo/Milano, 21/22 dicembre 2023
Il 26/01/2023, di Maria Teresa Balzano.
Come avrete di sicuro notato dal titolo abbiamo seguito i Wardruna per due date consecutive del tour attuale, ripreso dopo la pausa natalizia, o meglio, di Yule, la festa del solstizio. Le mie parole vi accompagneranno nella Tonhalle della fredda Zurigo, le fotografie invece apriranno uno spiraglio sullo spettacolo di Milano.
Nevica. Siamo sulla sponda occidentale del lago, la Tonhalle di Zurigo è una struttura moderna, la sala interamente in legno, e infatti il concerto avrà un’acustica pazzesca. L’evento, seconda data svizzera dopo Ginevra, fa quasi il tutto esaurito, conto sulle dita di una mano i posti vuoti a sedere, da noi in Italia invece sono state programmate (e più volte rinviate) due date, entrambe completamente sold out da mesi. Il freddo pungente non sembra scalfire l’entusiasmo di una platea monocroma che sorridente attende sotto ai fiocchi di neve l’apertura delle porte.
Puntuali, alle 20.00 si abbassano le luci, la sala già silenziosa ora è completamente muta. Fruscio di foglie e il gracchiare di un corvo: inizia ‘Kvitravn’. Un unico fascio di luce nel buio pesto illumina Einar Selvik e John Stenersen con la sua moraharpa, le ipnotiche note e il liturgico canto invadono lo spazio in un crescendo che si rivelerà devastante. Man mano che la scaletta va avanti, si aggiungono e si avvicendano i suoni arcaici di strumenti ancestrali, cambiano le melodie, cambiano gli scenari che Selvik ci sta raccontando, imbracciando l’inseparabile lira klavik. La driade Lindy Fay Hella, irrequieta spriggan dei boschi, impreziosisce e caratterizza la scena, diventandone a tratti protagonista, con quel suo timbro così particolare e così profano.
La voce di Einar trasuda pathos, dal vivo si lascia andare e graffia, squarcia quel velo di solennità spirituale rendendo per qualche istante più umana un’atmosfera così austera. ‘Skugge’ suona come un’antica preghiera, così intima e trascinante.
Non mi stupisce ma mi affascina quanto questa musica possa condizionare la percezione, senza nemmeno chiudere gli occhi accompagniamo i suoni ad un caleidoscopio di immagini: le alte cime degli abeti che si perdono nella foschia, l’odore della resina, il ticchettio della pioggia, gli occhi di un cervo, il rumore di un ramo che si spacca, la radura costellata da fiammelle danzanti e tamburi e calore e sussurri che si fanno più intensi fino ad diventare ritmo terapeutico e rigenerante. Nero, bianco, blu, verde, sangue. Gli dei che camminano con gli uomini. Yggdrasil che è vita e morte e cielo e terra e tempo e spazio. E poi una fumosa taverna in cui lo skald ci intona una magica ‘Voluspà’, l’ululato dei lupi di ‘Grá’ e la sensuale sensazione di libertà del brano amplificata dal poterlo sentire nascere e crescere davanti a noi. Flauti, ossa, corni (o meglio bukkehorn), la scenografica danza dei lur di bronzo ci stregano.
Un megatrip sonoro ad occhi aperti, per chi, e credo molti dei presenti, ha una passione per la cultura scandinava, un minimo di sensibilità e una fervida immaginazione. In alcuni momenti è stato davvero difficile restare seduti, tanto sono profonde le corde che questa musica riesce a toccare. Più sacri dei viscerali Heilung, i Wardruna stasera ci hanno incantati senza mai rivolgerci la parola.
E’ solo poco prima del finale che Einar Selvik posa la lira e inizia a parlarci ma deve attendere, paziente e sorridente, il susseguirsi di lunghi e fragorosi applausi che esitano ad estinguersi. Inizia con i ringraziamenti, fin troppo calorosi forse per un norvegese. Ho sempre provato una sorta di timore reverenziale per personaggi come lui, per chi ha quella scintilla fatta di passione e impegno, studio e ricerca, talento e umiltà, poi, un pomeriggio di un paio d’anni fa, in occasione di un’intervista (che trovate qui), ho scoperto una persona squisita, un mare calmo, sempre pronto a raccontare una storia.
E la storia che ci racconta stasera parla della sua visione, della sua musica, che non è un viaggio nel tempo, non è romanzare un periodo storico, giocare a fare i vichinghi, è prendere qualcosa di antico che ancora risuona, qui e ora, e plasmarlo in qualcosa di nuovo, perché le tradizioni, i miti di cui lui canta, gli strumenti che i Wardruna suonano sono nati dalla terra su cui camminiamo, dalla natura in cui ci siamo evoluti, e per questo ancora risuonano, per questo ancora parlano al nostro cuore con un linguaggio universale e, fondamentalmente, senza tempo. Bando ai campanilismi dunque, siamo tutti figli della stessa madre, Terra.
Il concerto si chiude con ‘Ormagardskvedi’, il brano che ci riporta alla scena di Vikings della morte di Ragnar Lothbrok nella fossa dei serpenti, ma è la sola voce di Einar che, per l’ultima volta stasera, serpeggia tra le sedie della platea, salendo fino al soffitto e ripiombandoci addosso, grave, calda, potente ed evocativa. Ultima standing ovation e si scivola via nella notte, in balìa delle sferzate di vento gelido.
Nevica ancora sulle sponde del lago.
Foto di Melissa Ghezzo
Setlist:
Kvitravn
Skugge
Solringen
Bjarkan
Tyr
Lyfjaberg
Voluspá
UruR
Isa
Grá
Rotlaust tre fell
Fehu
Odal
Encore:
Helvegen
Ormagardskvedi