In Metal We Trust Night @ Circolo Blackstar – Ferrara, 12 novembre 2022
Il 13/12/2022, di Francesco Faniello.
Non c’è che dire: il Blackstar si è tinto di nero. Si potrà obiettare che, nomen omen, il venue ferrarese sia avvezzo a queste tonalità di colore, ma il concetto è un po’ più dilagante di così: le tre band che hanno animato la In Metal We Trust Night sotto l’egida della Ocularis Infernum avevano per davvero l’oscurità come denominatore comune, al netto delle ovvie differenze stilistiche.
Giunto sul posto a set dei Morgurth già iniziato, non posso fare a meno di apprezzare le sonorità proposte dai blacksters locali, essenzialmente una one man band per l’occasione corollata da turnisti. Se il face painting comunica l’aderenza alla frangia più intransigente del black metal, l’interpretazione del Verbo Nero è qui per quanto possibile personale, con aperture vicine al metal classico e al doom per la verità già presenti nell’interessante debut ‘…and Then There Shall Be Silence’. Un buon impatto live fa anche ben sperare nella bontà delle mosse future del progetto capitanato da Narthang…
Ecco, in merito ai successivi Cremisi non mi era sfuggita la denominazione “symphonic/epic” ma sono rimasto davvero sorpreso nel trovarmi dinanzi l’immagine di Fish quadruplicata, o se preferite un rimando agli storici progsters Fiaba: se infatti da queste parti si è spesso avvezzi alle rievocazioni storiche, resta sempre peculiare la scelta di portarne l’estetica sul palco. A giudicare dagli arrangiamenti, il passo avanti dall’interessante ma acerbo ‘Dawn of a New Era’ all’EP cardine ‘Iustizia’ c’è stato, come testimoniato da episodi del calibro di ‘Soaring in the Wind’ o della divertentissima cover di Caparezza ‘Sono il tuo sogno eretico’ (con un imperdibile accenno a ‘Vieni a ballare in Puglia’). In sostanza, il quartetto propone una folle miscela tra i primi Covenant e i Marillion (appunto), non tanto per l’uso delle tastiere quanto per il rapporto tra la teatralità vocale e la sezione ritmica; immaginate il black sinfonico senza la vocalità tipica del genere, mettete da parte la tentazione di urlare “Bal-Sagoth!” e avrete un’idea abbastanza prossima alla realtà.
Certo, per formazione personale un pensiero mi sfiora, e non posso fare a meno di immaginare come sarebbe l’evoluzione del loro sound se si dedicassero a un epic tout court; con la loro verve teatrale sarebbero probabilmente perfetti in una veste a metà tra le suggestioni proggy e la lezione dei Warlord, o anche solo con un suono più vintage che ne esalterebbe al meglio le evidenti potenzialità. In ogni caso, ribadisco come sia impossibile non lasciarsi coinvolgere in una giga (altro che circle pit!) all’attacco di quel canto della brughiera che risponde al nome di ‘Abyss’, perciò non ci resta che attendere fiduciosi le prossime mosse di Tomazzoni e compagni!
Tocca agli headliners Jumpscare, a loro modo dei veterani (sebbene siano in giro dal 2015 circa) e perfettamente a proprio agio sulle assi del Blackstar, nonostante l’effetto straniante dovuto all’assenza del bassista e al conseguente carico aumentato per i samplers d’ordinanza. Per quanto la definizione di death metal melodico rimandi direttamente ai noti indirizzi di Gothenburg, la formula dei partenopei non risparmia tratti di inquietante modernismo, carica com’è di melodie malate e di variazioni groovy inserite qua e là, a controbattere i pregevoli solos (come si diceva una volta) di Andrea Di Martino. Con un sound che ondeggia tra Amon Amarth, Arch Enemy, partiture alla Fleshgod Apocalypse e un’attitudine figlia dell’Officina 99 pur se guarnita da growl e pig squeal, stavolta il pit si fa incandescente per davvero. Nelle parole dell’attivissima Andred della Ocularis Infernum, non è un addio ma un arrivederci alla prossima calata del manto nero sul Blackstar!