Black Label Society + Dust In Mind @Alcatraz – Milano, 19 giugno 2022
Il 03/07/2022, di Stefano Giorgianni.
Fa caldo. È il 19 giugno. L’asfalto riverbera spettri di un’afa lisergica. Miraggio. Sembra di essere in Arabia. Lontano, vedo un tizio. Sembra Lawrence, d’Arabia. Tutto imbardato di bianco. Si avvicina. «Che c’hai d’accendere?». E io: «No, non fumo». E lui: «Cosa?». E io: «Non fumo». E lui: «Come?». E io: «Né in piedi, né seduto». Confuso, il Thomas Edward meneghino, se ne va. Che poi, a pensare, la cicca se la metti per terra, s’accende da sola. Fa caldo. Sembra di essere in Arabia. O a Gerusalemme. Prendo la lilla. Scendo a Gerusalemme. Vicino al Monumentale. Nei cimiteri, di solito, fa fresco. Anche nelle catacombe, fa fresco. A Gerusalemme ci sono le catacombe, dicono siano uno spettacolo, le catacombe. Nelle catacombe del Vaticano nero, fa fresco. Meno male. Anche all’Alcatraz fa fresco. Meno male.
Che poi, dico, il 19 di giugno, chi te lo fa fare di metterti in fila sotto il sole ad aspettare l’apertura dei cancelli? Solo un peregrinaggio, ti potrebbe spingere a tanto. Solo l’adorazione, ti potrebbe spingere a tanto. Solo la venerazione di un dio barbuto, mezzo vichingo col kilt, che suona la sua chitarra dalla foggia ipnotica come il flauto di Pan, ti potrebbe spingere a tanto. Lui s’annuncia e i fedeli accorrono alla funzione.
Fatto sta, che prima della messa, tocca alla giovane formazione francese dei Dust In Mind officiare l’ouverture del rituale. Mi guardo intorno. Vedo plotoni di toppe su pelle col teschio bianco, gente che aspetta l’apparizione della divinità. I Dust In Mind suonano. Bene. Un sorta di industrial, metal moderno. Bravi. Gli adoranti scuotono lievemente il capo, alcuni vengono presi dall’onesta prestazione dei transalpini. Fatto sta, che ancora mi chiedo cosa c’entrino questi officianti con la reale funzione.
Poi, vedo levarsi lo stendardo del teschio. Il volume s’alza. ‘Whole Lotta Sabbath’. Il pavimento trema. Zakk. Zakk. Zakk. Grida la folla. Ed eccolo. Nelle fresche catacombe dell’Alcatraz fa la sua comparsa il biondo e nerboruto idolo. ‘Bleed For Me’, ‘Demise Of Sanity’, la nuova ‘Destroy And Conquer’. Muro di suono. Le note vorticano. Mi guardo intorno. Vedo ragazzi che alzano ragazze. Padri che alzano figli. Il venerabile ostende la chitarra. Si gode l’acclamazione dei fedeli. Poi, si siede al pianoforte. È ‘A Spoke In The Will’, ma soprattutto è ‘In This River’. I tasti compongono la melodia. La voce profonda ricorda Vinnie e Dimebag. Ognuno nella folla, probabilmente, ricorda qualcuno che ha perso, qualcuno che non tornerà, qualcuno che non rivedrà mai. Sì, perché in quel fiume tutto svanisce, senza una via di ritorno. Vedo palloni gonfiabili bianchi col teschio. Arrivano ‘Set You Free’, ‘Fire It Up’, ‘Suicide Messiah’, ‘Stillborn’. Alla fine, il venerabile adagia la chitarra sul palco, accesa, in distorsione. Benedice i fedeli. Si ritira. La messa è finita. Andate in pace, rincuorati, soddisfatti. Fuori fa caldo. Devo tornare a Gerusalemme. È il 19 di giugno. Fa caldo. Amen.
FOTO DI ALICE LANE PHOTOGRAPHY