Heaven & Hell @Gods Of Metal – Idroscalo di Milano, 3 giugno 2007
Il 16/07/2020, di Alex Ventriglia.
Tredici anni or sono, il nostro Direttore Alex Ventriglia, inviato al Gods Of Metal di Milano, scrisse per una testata internazionale il live reportage degli Heaven & Hell, all’epoca freschi del ritorno sulle scene e carichi di gloria imperitura. Un reportage che oggi, in onore alla memoria di Ronnie James Dio e nel ricordo di una band che scrisse pagine leggendarie di storia, lo riproponiamo per esteso. Horns up!
Non me ne vogliano gli altri contendenti della giornata inaugurale del Gods Of Metal 2007 (neppure i Dream Theather che hanno appena celebrato sul palco dell’Idroscalo l’importanza di un album quale ‘Images And Words’, che giusto quest’anno festeggia il suo quindicesimo compleanno), ma se a scendere in campo sono leggende che rispondono al nome di Ronnie James Dio e Tony Iommi, Geezer Butler e Vinny Appice, credo che il risultato sia presto detto. Scontato, se vogliamo, al di là dei gusti personali e di qualsiasi considerazione si possa tirare in ballo. Una band che, per questioni di diritti e per una serie di cavilli “legali” che sarebbe bello spiegare, non può fregiarsi dell’illustrissimo monicker Black Sabbath, nell’incarnazione “santificata” da Dio e che tanti classici ha portato, elevando alla massima potenza sia l’espressività vocale dell’ex Rainbow, che un ritrovato fulgore in fase di songwriting. A testimoniarlo, ‘Heaven And Hell’ e ‘Mob Rules’ che sono e restano gli autentici capisaldi di quella gloriosa epopea, indiscussi totem metallici, ai quali si andrà poi ad aggiungere ‘Dehumanizer’, quello che io chiamo l’album dell’armistizio, grazie al quale, nel 1992, i quattro fecero la pace risolvendo gli attriti e le incomprensioni nate all’epoca del controverso ‘Live Evil’: monumentale album dal vivo, ma con diversi lati oscuri e con tante, troppe spine al suo interno, così dolorose e gravi da creare un punto di non ritorno e che di fatto decretò la fine di quella strabiliante line-up.
Non chiamiamoli quindi Black Sabbath, ma di fatto sono loro, in carne e ossa, e i fans italiani accorsi all’Idroscalo di Milano non aspettano altro che acclamarli, per una rentrée italiana che manca da quello storico Monsters Of Rock di Reggio Emilia. Sì, eravamo proprio nel ’92 e l’album in promozione era appunto il sopracitato ‘Dehumanizer’, e sono trascorsi ben tre lustri da allora, ma certe sensazioni rimangono immutate nel tempo. Stasera è quasi come ritrovarsi a un insperato incontro con un genitore che, per varie ragioni, non vedi da troppo tempo, quindi sono ben comprensibili lo stato d’animo e tutte le speranze riposte in esso. E lo stesso pare contagiare anche il backstage, con la band asserragliata in hotel fino all’ultimo, e con il solo Tony Iommi a fare quasi una “comparsata” per degli impegni con la stampa, c’è grande fermento per questo ritorno leggendario, culminato con la pubblicazione della raccolta ‘Black Sabbath: The Dio Years’, ottima nella sua duplice funzione sia nello “scaldare” il mercato discografico, ma soprattutto alimentando una febbre sempre più crescente, per una band direi quasi mitologica e chiamata all’opera in una tournée mondiale che la porta appunto a suonare al Gods Of Metal di Milano, in una data particolarmente presa di mira dagli addetti ai lavori, folta infatti la schiera dei fotografi provenienti da tutta Europa che stasera si accalcheranno nel pit per immortalare quello che probabilmente sarà l’evento live dell’anno.
Fatto sta che, non appena nell’aria immobile ma carica di elettricità, si librano le note dell’intro ‘E5150’, lo status della leggenda si materializza all’istante, con i quattro (più Scott Warren impegnato nel suo oscuro lavoro alle tastiere) che attaccano subito ‘The Mob Rules’ e replicano con ‘Children Of The Sea’, cancellando in un batter d’occhi la polvere del tempo. Il momento è solenne, Ronnie James Dio, a dispetto degli anni che porta, maneggia con grande naturalezza un carisma e una classe vocale che incutono soggezione, affiancato da un Tony Iommi sontuoso nel pennellare affreschi crepuscolari, colui che, insieme allo stentoreo e accigliato Geezer Butler, tesse da sempre le catacombali trame del Sabba Nero. Tratta da ‘Dehumanizer’, ‘I’ scuote i presenti, ma è nulla se confrontato al pathos evocato prima da ‘The Sign Of The Southern Cross’ e poi da ‘Voodoo’, giusto a ribadire l’importanza fondamentale di un album quale è stato ‘Mob Rules’. Introdotta da un fugace ma intenso sfoggio di bravura tecnica di Vinny Appice, la seconda parte dello show milanese corre via attraverso ‘Computer God’, la dirompente ‘Falling Off The Edge Of The World’, con un occhio di riguardo anche al nuovo che avanza, dato che lo strisciante ‘Shadow Of The Wind’ è uno dei tre inediti che fanno bella mostra di sé nella raccolta sopracitata, ‘Black Sabbath: The Dio Years’. Ad alzare pericolosamente i battiti cardiaci delle migliaia di fans, una ‘Die Young’ a dir poco reboante e alla mercé della Gibson di Tony Iommi, autentico deus ex machina e timoniere dell’intero progetto, e uno tra i totem metallici per antonomasia, quella ‘Heaven And Hell’ che chiude lo show vero e proprio, suggellandolo per l’intensità trasmessa, sia emotiva che esecutiva. Ronnie James Dio, al quale brillano letteralmente gli occhi, non gli sembra quasi vero di toccare così con mano il calore dei suoi discepoli, e li ripaga con la finale ‘Neon Knights’, altro capolavoro di quella gloriosa epopea, in un periodo storico in cui, per chi faceva musica, la nostra musica, veniva automatico consegnarsi all’immortalità. Con gli Heaven & Hell è stata l’aristocrazia, blasonata e sfacciata, a salire al comando, reclamando diritti regali, quasi divini. A testimoniare una consacrazione così netta, il pubblico del Gods Of Metal di Milano, più volte ammutolito, quasi incredulo al cospetto di queste leggende autentiche, entità superiori di un disegno più grande di noi.
FOTO DI ROBERTO VILLANI