Aerosmith secret show @Babylon – Monaco di Baviera (Germania), 24 marzo 2001
Il 08/06/2020, di Fabio Magliano.
“Se qualcosa può andare male, lo farà”. “Tutto richiede più tempo di quanto si pensi”. “Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto”. È impossibile parlare di uno studio report o presunto tale con, come protagonista, il sottoscritto, senza tirare in ballo le ormai famigerate “Leggi di Murphy”. Per chissà quale strano scherzo del destino, infatti, non appena il caro “Zio Alex” solleva la cornetta per mettere in guardia il buon Magliano di un imminente trasferta all’estero, immediatamente va ad attivarsi uno strano e complicato meccanismo cabalistico che farà sì che, nell’arco di tutta la durata del “servizio”, vengano a crearsi situazioni tragicomiche ed eventi alle soglie dell’assurdo, puntuali ad animare un lavoro descritto, telefonicamente, come “…una passeggiata! Manco ti accorgerai di essere partito!”. Alla lunga, però… ma chi se ne frega! Già, pensate che noia un viaggio senza imprevisti, in cui tutto fila liscio e puntuale! Quindi ben vengano i disguidi che ci hanno accompagnati in un “tranquillo week end di paura” a Monaco di Baviera.
Ok, adesso, però, smettete di toccarvi, rimettete il ferro di cavallo sulla credenza vicino alla foto della zia e seguitemi nel racconto di una tre giorni all’insegna del sano rock’n’roll (e non unicamente della sfiga!), che ha portato il sottoscritto a trovarsi faccia a faccia con autentici mostri sacri della scena internazionale, nientepopodimenoche gli Aerosmith, volati sino in Germania per presentare a stampa e fan il nuovissimo ‘Just Push Play’ attraverso un’animata conferenza stampa e uno showcase in gran segreto, organizzato in un celebre locale della città e riservato a pochi intimi. Ma incominciamo dall’inizio. È un orario da gita scolastica, le 4 del mattino, quello che mi vede varcare la soglia di casa per dirigermi, lottando tra coincidenze ferroviarie al secondo, biglietterie chiuse, distributori automatici rotti e metrò in ritardo, alla volta dell’aeroporto di Milano Malpensa dove, alle 8, è fissato l’appuntamento con il responsabile della Sony e gli altri colleghi della carta stampata, miei compagni in questa trasferta teutonica. Individuata senza problemi la truppa e entrato in possesso del biglietto aereo (formalità che, con il sottoscritto di mezzo, non è mai cosa scontata!), mi viene comunicato che in tutta la Germania è in corso uno sciopero del personale aeroportuale e che l’imbarco sarà rinviato di un paio d’ore. Assieme ad altri giornalisti ci muniamo di grande pazienza, imprechiamo contro le due ore di sonno alle quali siamo stati strappati anticipatamente e ci rechiamo a collassare sulla panchina più vicina. Al nostro ritorno all’orario prestabilito, però, vienecomunicato che il volo sul quale dovevamo viaggiare è, hàinoi, ormai pieno, e che per la Germania è impossibile partire.
Dopo aver dissuaso il nostro cicerone della casa discografica a non sbranare l’addetta al check-in, iniziamo a cercare una situazione alternativa, trovandola dopo cervellotici ragionamenti e consultazioni in un volo che, da Milano, ci avrebbe condotti a Francoforte e, successivamente, a destinazione, con quattro ore di ritardo rispetto all’orario di arrivo originario. Tutto a posto e, finalmente si parte. Giunti a Francoforte, però, ci accorgiamo con nostro sommo gaudio che l’aereo che doveva attenderci è bellamente partito, lasciandoci ancora una volta a piedi a 400 chilometri dalla meta finale! Altre imprecazioni (quanti secoli di Purgatorio ci costerà questa trasferta?), altra attesa, altra pazienza e poi, finalmente, si parte. Arriviamo a Monaco alle 16.30, sei ore e mezza dopo l’orario fissato in partenza e solo mezz’ora prima dell’incontro con gli Aerosmith! Altra corsa contro il tempo e arriviamo alla location scelta per la conferenza stampa, appuntamento al quale hanno partecipato tutti e cinque i musicisti accompagnati da affascinanti modelle in versione cyborg, sulla falsariga della donna robot che adorna la copertina di ‘Just Push Play’, e del quale vi relazioneremo il prossimo mese.
Saltiamo a piedi pari la cena, rigorosamente a base di un polpettone di uova e patate che ancora oggi, fraternamente, mi si ripropone a sorpresa, le spese pazze il giorno seguente in un enorme negozio di dischi (un vero attentato per le mie finanze!) e un pranzo in uno squallido locale gestito da un tedesco-italo-ispanico di tendenze fureristiche ed eccoci proiettati all’interno del Babylon, club di Monaco colmo quella sera di 1500 spettatori tra giornalisti e vincitori di concorsi indetti da Sony e MTV provenienti da tutta Europa. Quanto riportano i manifesti affissi in tutta la città, quella sera sono di scena i Living End, una punk rock band abbastanza nota i città. Chi è presente, però, sa che la realtà è ben differente.
Alle 21, quando le luci si abbassano, il blues messo di sottofondo sfuma e le cinque modelle del giorno precedente prendono posizione sul palco, l’atmosfera è già calda e un urlo, “Aerosmith-Aerosmith!” si alza dal pubblico. L’attacco è frontale, Steven Tyler, dopo aver accuratamente passato la lingua sulle guance di una cyber-ragazza, si lancia in una versione da brivido di ‘Mama Kin’, legata ad un altro grande classico della discografia della band statunitense, ‘Same Old Song And Dance’ e alla folgorante ‘Big Ten Inch Record’, song viscerale, “l’ideale per un po’ di sano sesso”, avrà pensato quel vecchio marpione di Tyler, simulando un amplesso con una procace fanciulla. È quindi la volta di ‘Chip Away The Stone’ e di ‘One Way Street’.
Quando tutto si sopisce e viene accennato l’inconfondibile intro pianistico, il Babylon esplode. E’ infatti l’atteso momento del tormentone ‘I Don’t Wanna Miss A Thing’, canzone cult per la maggior parte dei ragazzi accorsi per l’occasione, perlopiù ragazzi appartenenti alla “MTV Generation”, più avvezzi ad una ‘Pink’ o ‘Crazy’, piuttosto che al sano rock blues elargito ad ampie mani sino a quel momento dagli indemoniati “toxic twins”. La colonna sonora di ‘Armageddon’ viene cantata a squarciagola dal pubblico presente in un proliferare di accendini. Impalato davanti ad una statuaria amazzone teutonica “crocifissa” alla parete, manco mi accorgo che la ballad strappalacrime ha lasciato il posto ad un’altra song destinata a segnare una generazione di rockers. È tempo, infatti, di ‘Walk This Way’. Questa volta non ci sono i RUN DMC a duettare con gli Aerosmith, eppure la carica di questa canzone non si è assolutamente attutita e riesce ancora a trascinare il pubblico come ai vecchi tempi. “Siamo venuti a Monaco per incontrare la stampa, poi una volta qui abbiamo pensato che fosse il caso di fare quello che ci riesce meglio: suonare!” grida Joe Perry prima di attaccare il grezzo riff di ‘Rattlesnake Shake’, quindi lasciva arriva ‘Sweet Emotion’ da ‘Toys In The Attic’, un avvio soffuso prima di esplodere nello sfrenato refrain. Joe Perry, un’icona del chitarrismo rock, distribuisce riff grezzi a non finire, mentre il suo alter-ego Brad Whitford, quasi un oggetto alieno su quel palco, in jeans e maglietta compie il suo compito con minuziosa precisione. Chi non finisce di stupire, però, è il buon vecchio Steven Tyler. I 53 anni non pesano affatto e, come un fascio di muscoli impazzito, tiene il pugno il pubblico compiendo le sue classiche acrobazie e graffiando con la sua ugola al vetriolo. Gli Aerosmith sono venuti però a Monaco per presentare il nuovo album, quindi ecco arrivare la ruffiana ‘Jaded’, primo singolo estratto da ‘Just Push Play’ e song in grado nuovamente di mandare in visibilio il pubblico, segno che, forse, una scaletta basata interamente su pezzi “stagionati”, se da un lato poteva fare la felicità del sottoscritto e dei fan più “smaliziati”, dall’altra inevitabilmente spiazzava le nuove leve, ben poco avvezze a sonorità così ruvide e viscerali. Le luci si riaccendono, la band abbandona il palco e tutto sembra finito. Quando mi accingo a varcare la soglia del locale, però, note ben conosciute mi risucchiano nuovamente nel vortice. La band ha infatti riconquistato il palco e senza troppi timori reverenziali sta sparando nelle casse l’immortale ‘Come Together’ dei Beatles. È l’apoteosi.
Tutti ora, dai più giovani ai più stagionati ballano senza freni, e allora gli Aerosmith, che quando c’è da andarci giù duro sono i primi a non tirarsi indietro, rispolverano un’altra celebre cover, quella ‘Train Kept A Rollin’ griffata Yardbirds, uno dei grandi amori di gioventù di Joe Perry, ultimo sussulto prima del gran finale affidato ad un altro pezzo immortale, ‘Toys In The Attic’, una song invecchiata 26 anni alla quale, come il buon whisky, l’età non ha fatto che giovare. Quando Steven Tyler ringrazia calorosamente, si capisce che lo spettacolo è realmente finito. Una sola ora di musica, ma che energia, ragazzi! Il giorno seguente, con le orecchie che ancora fischiano, riprendiamo la strada di casa. L’aereo sobbalza facendo urlare di terrore una scolaresca in ritorno da una gita. Pranzi e bevande vengono sparsi un po’ ovunque sull’aereo e le ginocchia rimangono permanentemente inchiodate nello stomaco. Tutto questo non importa, però, gli Aerosmith sono stati fatti, il concerto è stato vissuto sino all’ultima nota. Un’altra tacca è stata posta.
LA SCALETTA DEL CONCERTO:
Mama Kin
Same Old Song And Dance
Big Ten Inch Record
Chip Away The Stone
One Way Street
I Don’t Wanna Miss A Thing
Walk This Way>
Rattlesnake Shake
Sweet Emotion
Jaded
Come Together
Train Kept A Rollin’
Toys In The Attic