Isolation Fest @Divano di casa nostra – 14 maggio 2020
Il 18/05/2020, di Redazione.
Un divano, uno schermo e una carica indefinita di pessimismo e fastidio. È all’incirca con questo atteggiamento che ci avviciniamo alla salvifica proposta della Century Media di organizzare un festival a distanza, tra le mura di casa, per tentare di porre rimedio spirituale alla condizione in cui ci troviamo. L’Isolation Festival – sì, lo sappiamo, il nome non è originalissimo, ma almeno è azzeccato – finisce nel calderone dei molti eventi online che durante le ultime settimane hanno tentato di mettere una pezza sulla crisi in cui fluttua il mondo musicale e artistico in generale. Fotografare la questione dei concerti in streaming è assai complicato, e non è di certo questa la sede per affrontarla. Tuttavia, il pessimismo e il fastidio di cui parlavamo poco più sopra sono figli di una situazione che non sappiamo quando ci scrolleremo di dosso. Ma la domanda principe è una sola: quanto potremo resistere? Sì, perché è questo interrogativo che va oltre i confini del “si può fare/non si può fare”, “come si sente/come non si sente”, “a pagamento/non a pagamento”. E quindi, con incrollabile pessimismo verso un futuro che già prima del virus era incerto e un abbrancante fastidio nei confronti della rivoltante quotidianità, ci accingiamo ad assistere a qualcosa che ha del surreale: un festival sul divano.
Ad aprire la kermesse sono i Baest, death metal band di Aarhus, Danimarca, e si vede. Si vede perché i cinque membri della band capitanata da Simon Olsen si trovano tutti nella stessa stanza. Una buona performance quella degli scandinavi che, a suon di bordate, ricreano un clima da ‘Garage Inc.’ per cui sembra di assistere più alle prove di un gruppo che a un festival in “isolamento”. Una prestazione sicuramente energica, costellata da riff e assoli, pregevole e divertente che fa partire bene questa prima – e speriamo unica – edizione dell’Isolation Festival.
Il collegamento si stacca e la parola passa ai ragazzi dello staff della Century Media che, dopo i trenta secondi di rito per connettersi al gruppo successivo, ci accompagnano a casa degli italiani Hideous Divinity, per chi non li conoscesse, una delle migliori band tech-brutal dell’intero pianeta. Le tre inquadrature differenti, in bianco e nero, ci riportano alla dura realtà. I musicisti non sono purtroppo più nello stesso locale. L’isolamento è autentico. Enrico Di Lorenzo, in alto a sinistra, Riccardo Benedini, in alto a destra, Enrico Schettini e Stefano Franceschini, assieme nel riquadro in basso, restituiscono una performance precisa, violenta e perfetta, senz’altro degna del loro nome. Per quanto distaccato, questo Isolation Festival speriamo sia stato in grado di diffondere il verbo degli Hideous Divinity, con l’augurio di poterli rivedere presto su un vero palco.
Un altro stacchetto, altri trenta secondi, e ci ritroviamo nel salotto degli Svart Crown. I blackster francesi, freschi autori del full-length ‘Wolves Among The Ashes’, scelgono di continuare la formula degli Hideous Divinity e si propongono in bianco e nero, scelta azzeccata con l’atmosfera musicale. Il gruppo capitanato da JB Le Bail non si perde in troppi convenevoli e si lancia nell’esibizione, che scorre sciolta in un flusso di canzoni monocromatico. Per la prima volta vediamo un divano, quello alle spalle del bassista Julien Negro.
Tic tac, tic tac. Siparietto promozionale. Trenta secondi. The Offering, ovvero il gruppo “meno estremo” che l’Isolation ci ha proposto fino a questo momento. Secondo divano. Quello su cui è seduto il funambolico chitarrista Nishad George. Malgrado, quando si parla di The Offering, l’attenzione è rivolta soprattutto al versatilissimo Alex Richichi, vocalist in grado di passare in un secondo da acuti puliti a growl furenti, che oggi vince tutto con la maglietta di Donald Duck. Richichi, vera marcia in più della band, conduce i puntuali strumentisti a una performance davvero travolgente, su cui spicca la scatenata ‘Ultraviolence’, contenuta nel full-length ‘Home’ (2019).
Una carica di potenza, quella dei The Offering, che non si smorza con l’arrivo del gruppo seguente, i Bonded. Schermo diviso in cinque, con il singer Bajonczak collocato al centro: i Bonded dispiegano la propria esibizione nel formato che tutti abbiamo imparato a conoscere di questi tempi. Tre i pezzi presentati per l’occasione, tutti tratti da ‘Rest In Violence’, con ‘The Rattle & The Snake’ che vale da esempio per un assalto senza quartiere dal sapore inconfondibilmente teutonico, impreziosito e coronato dalla precisione chirurgica di Bernemann e Tsitsis. Bajonczak in questa sede ricorda un po’ il nostro GL Perotti di epoca Mortado, sia per la barba incolta che per la timbrica sulle cose più cadenzate, con la ripresa su di lui che appare un po’ fuori sincrono, ma immaginiamo sia del tutto normale in questi casi.
Dopo la scarica thrash dei Bonded, torniamo a parlare di death metal. Il turno successivo dell’Isolation tocca difatti ai tedeschi Deserted Fear. In questo caso le due asce, Fabian Hildebrandt e Manuel Glatter, sono assieme in un mansardato, mentre il batterista Simon Mengs pare chiuso in uno sgabuzzino. Niente da eccepire alla performance dei vigorosi di Eisenberg: un concentrato di death vecchia scuola che non lascia scampo all’ascoltatore. Si tenta mosh pit con l’armadio.
Nuovo cambio di scena, ed è il momento di tornare a un genere che abbiamo già incontrato durante la serata, con il “concerto” degli Angelus Apatrida. Dobbiamo dire che l’agguerrita thrash metal band spagnola dimostra, pur con tutte le limitazioni di questo contesto casalingo, ad esempio l’utilizzo della batteria elettronica per ovviare a problemi di spazio, è riuscita a trasmettere passione e professionalità. Tutto sommato, non ci sono dispiaciuti. ‘Sharped The Guillotine’, ‘Downfall Of The nation’, ‘Serpent On Parade’ e ‘You Are Next’, sono i pezzi scelti per questa performance streaming durata poco più di venti minuti.
Altro stacco e cambio di sound. È la volta degli Omnium Gatherum. Band con venti anni di attività e otto album in studio alle spalle, i finlandesi aprono la propria esibizione su un palco da concerti, con tanto di minimale set luci e monitor per i musicisti. Non c’è che dire: l’effetto scenico è garantito e – nei limiti di quanto proposto da quest’esperienza – la breve performance sembra proprio trasportarci davanti a loro. L’unico pezzo scelto, la melanconica ‘Be The Sky’, non è un pezzo d’assalto ma si rivela una scelta valida per mostrare coesione e compattezza di una band di grande esperienza come la loro.
Nel corso della diretta, ne abbiamo viste di soluzioni: schermi a metà, in tre, in quattro… e poi c’è Nicke Andersson, che – forte di una latitudine più favorevole rispetto ai nostri focolai mediterranei – ricrea il set delle riprese interne di ‘Night Of The Vampire’ in una tipica stanzetta scandinava, ammassando il quintetto alla vecchia maniera. La tipica coolness dei Lucifer ne esce un po’ intaccata, lasciando però immutata l’aura di Lady Johanna Sadonis Andersson; i torrenziali assoli della coppia Nordin / Björklund fanno sicuramente la differenza sul minutaggio, ma il mattatore silenzioso resta pur sempre Nicke, con il suo berretto indiscutibilmente rock’n’roll appena scosso dai colpi introduttivi di ‘Flanked By Snakes’.
Ora giunge uno dei momenti che più aspettavamo. L’ultima volta che abbiamo assistito a un concerto dei Borknagar eravamo alla Vulkan Arena di Oslo, ed era la serata inaugurale dell’Inferno Festival del 2017. È forse l’attimo in cui il fastidio si fa più sentire. Tutti i componenti della band sono in stanze diverse. Ad aprire l’esibizione è ‘Voices’, dall’ultimo ‘Up North’, cantata da Lars Nedland, una traccia già di per sé di grande forza evocativa, che in questa condizione si fa sentire con ancor maggiore impatto. Segue la title-track dallo stesso album, con Nedland che cambia stanza per passare alle tastiere. Fastidio, ma anche nostalgia.
Da una leggenda all’altra, ora a salire sul… ad accendere le webcam sono i Voivod. Da sempre amanti dei forti contrasti, dopo un’introduzione accoratissima da parte del vj, i Voivod spiazzano tutti, presentandosi a mani (quasi) nude, con la batteria di Michel Langevin chiusa in sala prove chissà dove, le visioni di Away hanno la loro quota assicurata dagli iconici disegni che accompagnano ‘Obsolete Beings’ e ‘Orb Confusion’, insieme al basso di Rocky più distorto che mai e alle soluzioni chitarristiche incredibilmente futuristiche con cui ci delizia Chewy. Un timelapse a tutti gli effetti, la ‘Lost Machine’ citata giustamente da un Denis “Snake” Belanger particolarmente vicino alle istanze dei lavoratori, bardato con mascherina (sulla testa) e giubbotto catarifrangente d’ordinanza come tributo a chi là fuori assicura che la vita possa continuare; come giustamente ricorda, è il concept stesso di ‘The Wake’ ad avere molte similitudini con le condizioni di oggi. Profetici come sempre.
E dal Canada si torna in Scandinavia, per ascoltare gli Insomnium, che salgono sullo stesso tetro palco degli Omnium Gatherum, scelta a nostro avviso discutibile, tanto che alla fine abbiamo preferito di gran lunga la sensazione di intimità e paradosso delle esibizioni domestiche in multi-cam degli altri gruppi. Il suono completamente filtrato dai mixer ha perso quella patina di autenticità che rendeva interessante questo format di musica dal vivo, lo ha reso quasi sterile e privo di alcun pathos. D’altro canto l’esibizione è stata tecnicamente ineccepibile, la classica fusione di death svedese e finniche atmosfere diafane, leggermente speziata da tocchi di folk e prog, è stata rispettata nei due brani proposti con il carattere a cui la band ci ha abituati, ma resta l’amaro in bocca, l’impressione di aver assistito a un provino ben eseguito e non a un momento di condivisione sentita della propria arte nonostante tutto.
In conclusione, che dire sull’Isolation, se non che può davvero essere la nostra “normalità” per i mesi a venire, che ha ribadito classe e bravura dei nomi storici (Voivod e Borknagar su tutti, uno spasso poi vedere Snake in tenuta casalinga con tanto di mascherina!), gruppi eccellenti che fanno dell’aggressione sonora la propria regola artistica (Angelus Apatrida) e una band svedese come i Dead Lord, che mischia suoni metal retrò e giri armonici alla Thin Lizzy. Applausi scroscianti anche per gli italiani Hideous Divinity, agli onori di cronaca per una prestazione convincente e originale. Da sottolineare, inoltre, di come in Svezia il lockdown funzioni diversamente da tutto il resto delle nazioni chiamate all’appello, visto che il gruppo svedese hanno suonato tutti insieme, e non con i vari componenti separati, come era toccato ai danesi Baest.
In fin dei conti, seppur oggettivamente da considerare più come una sorta di promozione dell’etichetta, questo esperimento potrebbe aprire a una stagione di eventi streaming per ovviare all’impossibilità di concerti dal vivo per le ragione che ben tutti conosciamo.
Tuttavia, rimane la curiosità di vedere come questa situazione di fermo dei concerti possa spingere, come già sperimentato in Giappone e Korea, al ricorso di tecnologie più immersive quali visori o caschi interattivi… Fantascienza? Forse, ma ad oggi questo è il compromesso al ribasso con cui dobbiamo fare i conti in attesa di tornare alle care “vecchie maniere”.
Testo di:
Maria Teresa Balzano
Dario Cattaneo
Francesco Faniello
Stefano Giorgianni
Daniele William Re
Alex Ventriglia