Dimmu Borgir + Amorphis @Bataclan – Parigi, 23 gennaio 2020
Il 03/02/2020, di Maria Teresa Balzano.
Nella vita si affrontano varie fasi. Il metallaro medio, solitamente durante il periodo adolescenziale e con la complicità dei pomposi e decadenti classici letterari e artistici ottocenteschi, spesso fa propria una visione romantica del concetto di morte. Per soddisfare questa sete, incolmata dai miei sedici anni, poche ore prima di solcare l’uscio del Bataclan mi sono persa nell’immenso labirinto del cimitero monumentale di Père-Lachaise, tripudio anacronistico di goticismi romantici e neoclassici, dove, disturbati da migliaia di visitatori, riposano, tra le altre, le celebri ossa di Chopin, Delacroix, Rossini, Oscar Wilde, Modigliani, Michel Petrucciani e Jim Morrison. Tra i sepolcri intagliati nella pietra abbelliti dal muschio, il gracchiare stridente di lucide cornacchie appollaiate sulle inferriate appuntite anima uno spettacolo senza pari per chi, come me e credo molti di voi, ha divorato negli anni filmografie e discografie ispirate da tematiche gotiche e decadenti.
Affascinata da ogni fregio, immersa nella glaciale foschia di un gennaio parigino, ad un certo punto lo sguardo distratto si posa sulla tomba di Suzon. Non so assolutamente niente di lei. So solo che aveva grandi occhi blu ed è finita sotto quella lastra di marmo a 21 anni, morta tra le mura del locale il cui uscio avrei solcato di lì a poche ore. Morta durante uno degli episodi più tristi della storia moderna, una delle ferite più profonde di Francia. Tra la miriade di pensieri che mi hanno attraversato la mente solo uno ha riecheggiato per tutta la sera: nonostante tutto, il mondo deve continuare a girare. Un paio d’ore dopo arrivo al Bataclan e i Wolves In the Throne Room sono già sul palco ma la fila all’ingresso è lunga, la gente sorride nonostante i controlli stringenti e attenti, parla idiomi diversi, per questo tour i Dimmu Borgir hanno programmato pochissime date e i fan si sono mossi da tutta Europa.
La fila scorre e solco, non senza una sorta di timore reverenziale, il famoso uscio: i lavori di restauro sono stati eccellenti, il Bataclan ha un’acustica perfetta, pareti affrescate da voluttuose figure in Art Nouveau, parterre accogliente ed aerato, palco dignitoso, volumi godibili ma rispettosi della naturale fisiologia uditiva umana, bar eco friendly e bagni gender fluid. Non si potrebbe chiedere di più. Il mondo deve andare avanti anche se quelle tende, di velluto già rosso vermiglio, sono state macchiate con il sangue di 90 persone, il sangue di 90 amanti della musica, 90 persone come me. La ragazzina che passava le notti tra le pagine di Keats e Rimbaud oggi ha una visione molto meno romantica della morte e cerca con lo sguardo le uscite di sicurezza.
Finalmente salgono sul palco gli Amorphis che smorzano i miei pensieri cupi partendo a razzo con la scanzonata ‘The Bee’, opener dell’ultimo ispiratissimo disco ‘Queen Of Time’. La setlist è ben bilanciata, i finlandesi hanno saputo integrare i grandi classici come ‘Black Winter Day’, ‘My Kantele’ e ‘The House Of Sleep’ con i nuovi brani che, cristallini e appassionati, si susseguono velocemente, il suono è perfetto e in platea ogni riff arriva diretto e incazzato per poi tramutarsi in melodie carezzevoli (le classiche smielate finniche peculiari di un progressive death impreziosito di folk che tanto ci piace). La voce di Tomi Joutsen è potente ed incredibilmente pulita negli shift da clean a growl, la presenza scenica è d’impatto, i parigini sembrano apprezzare e l’atmosfera inizia a scaldarsi in attesa degli headliner. Chicca degna di nota è la t-shirt dei Rush indossata dal bassista, Olli-Pekka Laine, tributo alla memoria del recentemente scomparso Neil Peart. Gli Amorphis non hanno perso lo smalto e confermano di avere ancora un grande carisma ed una grande energia che trasmettono al di là delle luci e delle transenne. Gran bella prova.
Nel buio totale i led bianco polare dell’asta borchiata del microfono di Shagrath, direttamente da Mordor, si illuminano. Litanie funeste serpeggiano in un mare di fumo bluastro spezzato da fasci di luce: il glaciale rituale pagano ha inizio. Teatrali, solenni e sempre più sinfonici i pallidi sacerdoti scandinavi scatenano, beffardi e lapidari, il furore del pubblico presentando subito i primi due brani del nuovo poliedrico ‘Eonian’. I Dimmu Borgir in sede live confermano di essersi reinventati autocelebrando il proprio passato mutandone le sfumature, smussandone gli spigoli più black enfatizzando tastiere e orchestrazioni. La fanno da padrone percussioni marziali, cori opulenti, bisbigli diabolici che ho immaginato risuonare nei cunicoli sotterranei delle catacombe che sorreggono Parigi, riecheggiando di teschio in teschio. Galder e Silenoz in prima fila tengono il palco al pari di Shagrath che, a sua volta, regge tutto il concerto senza cali di voce. La setlist lascia un po’ di amaro in bocca a chi non ha digerito la fase attraversata dal gruppo norvegese nella prima decade del 2000 ma i grandi classici ‘Puritania’, ‘Progenies Of The Great Apocalypse’ e, ovviamente, la monumentale ‘Mourning Palace’ sono accolti ed acclamati da boati infervorati.
Le atmosfere gotiche evocate sono incastonate in uno scenario perfetto, la malvagità puramente artistica di Shagrath ha richiamato i gargoyles bruciacchiati dalle guglie di Notre-Dame e, come in passato queste granitiche creature grottesche scacciavano i demoni dalle cattedrali, così stasera hanno allontanato il demone della paura.
Il mondo deve continuare a girare.
Setlist Amorphis
The Bee
Heart of the Giant
Bad Blood
Silver Bride
The Four Wise Ones
Against Widows
Sampo
Thousand Lakes
Into Hiding
Wrong Direction
The Golden Elk
Sign From the North Side
House of Sleep
Black Winter Day
Setlist Dimmu Borgir
The Unveiling
Interdimensional Summit
The Chosen Legacy
The Serpentine Offering
Gateways
Dimmu Borgir
Puritania
Ætheric
Council of Wolves and Snakes
Progenies of the Great Apocalypse
Mourning Palace
Rite of Passage
FOTO DI MARIA TERESA BALZANO E GIACOMO CALVIELLO