Rock The Ring @Hinwil Autobahnkreisel Betzholz – Zurigo, 20-22 giugno 2019
Il 08/07/2019, di Roberto Villani.
La kermesse svizzera si sta rivelando, anno dopo anno, un punto di riferimento imperdibile per tutti gli appassionati di rock classico del continente, che hanno preso d’assalto l’accogliente parco autostradale di Hinwil, alle porte di Zurigo, per una tre giorni all’insegna del buon caro vecchio rock d’annata, abbinato a una variegata scelta di street food, locale ed etnico.
Rispetto all’edizione dello scorso anno, è stata aggiunta una giornata, proprio in virtù delle numerose e interessanti proposte di band in giro per l’Europa e a beneficiarne è stato, ovviamente, lo spettacolo, rivelatosi di ottimo livello qualitativo e grazie alle chicche che gli organizzatori svizzeri, riescono sempre a regalarci.
Andiamo per ordine e partiamo dalla prima giornata e dai britannici Inglorious, che hanno scaldato la platea, ancora piuttosto esigua, con alcuni brani essenziali tratti dall’ultimo lavoro ‘Ride To Nowhere’, pubblicato dalla nostrana Frontiers Records.
Uno show di mezzora, che ha messo in mostra la straordinaria abilità vocale di Nathan James, ex vocalist della Uli Jon Roth Band, concentrato nel gestire quei registri vocali blueseggianti, che hanno fatto la fortuna della celeberrima rockstar ex Deep Purple – che si esibirà su questo stesso palcoscenico – cui, ovviamente, il corpulento musicista inglese si ispira senza mezze misure.
Tocca successivamente agli FM, fautori di un genere hard rock melodico di pronto consumo, intrattenere l’ancor quieto pubblico elvetico, sulla scia del loro recente ottimo ‘Atomic Generation’, nella riproposizione ridotta dello show proposto lo scorso anno al Frontiers Rock Festival di Trezzo.
Un brano come ‘Black Magic’, che apre lo show, è un gioiellino di pura classe. Tuttavia, il set di Steve Overland e company scorre via tra la quasi totale indifferenza del pubblico, più attento e attratto dalle offerte culinarie dei tanti stand gastronomici o semplicemente in attesa dei grandi nomi che si esibiranno nella serata.
È il momento dei Tesla, band tra le più attese all’interno del cartellone dell’edizione di quest’anno di Rock The Ring. La curiosità di vedere sul palco la talentuosa band di Sacramento è tanta, di contro Jeff Keith e soci non si sono certo fatti pregare nel sciorinare una prestazione di assoluto livello, che ha nei classici ‘Modern Day Cowboy’, ‘Little Suzi’ e ‘No Way Out’, oltre che nella stratosferica e acclamatissima ballad ‘Love Song’, i momenti più intensi e vibranti dell’intera serata.
Per chi scrive, le armonizzazioni ispirate tra le chitarre di Frank Hannon e Dave Rude, rimangono tra i momenti strumentali migliori dell’intero festival, dopo quelle dei leggendari Skynyrd, ma di questa raffinatezza sopraffina targata Jacksonville, riferiremo più avanti.
Neanche il tempo di una pausa tra i banchetti d’arte culinaria all’interno dell’area del festival, che la straripante ‘Bad Boys’, preceduta dalle note di ‘My Generation’ degli Who, ci introduce tra le spire micidiali del Serpente Bianco.
Se i Tesla avevano provocato reazioni assolutamente positive ma, mediamente composte da parte del pubblico, con l’entrata in scena degli Whitesnake, si respira finalmente l’aria del concerto rock come lo intendiamo noi in Italia e l’atmosfera dell’audience del Rock The Ring si fa decisamente più surriscaldata, se non proprio incandescente.
Rispetto al concerto di ventiquattro ore prima al Mediolanum Forum di Milano, cui noi di Metal Hammer Italia abbiamo assistito, è più che mai evidente l’ulteriore calo di voce da parte di David Coverdale, tanto carismatico quanto straordinariamente abile nell’attirare l’attenzione generale sul suo status di navigata rockstar e animale da palcoscenico e a trascinare i quasi ottomila presenti, grazie ai tanti pezzi leggendari presenti in scaletta.
Dove non arriva Mr. David, arrivano le seconde voci di Michele Luppi e Michael Devin. Pertanto, tutto gira alla perfezione e i Whitesnake si confermano come una delle live band più in forma del momento, oltre che icona hard rock del passato.
Brani trainanti e trascinanti come l’ultimo singolo ‘Stand Up and Kiss’ e le memorabili ‘Slide It In’, ‘Here I go Again’, ‘Still Of The Night’ e ‘Slow’n Easy’, ne sono la logica conseguenza.
Rapido cambio di palco, con la solita cronometrica puntualità svizzera e arriva il momento degli attesissimi Def Leppard, assenti da parecchi anni dai palchi continentali, se escludiamo qualche loro sporadica visita in Gran Bretagna.
Con oltre cento milioni di dischi venduti e una serie infinita di hit tratte dai multiplatinati ‘Pyromania’ del 1983 e ‘Hysteria’ del 1987, hanno vinto facile nel conquistare il popolo di Rock The Ring, in totale adorazione e devozione nei confronti di Joe Elliot e soci, autori di una performance eccellente, priva di sbavature, tanto da porsi qualche domanda “sospettosa” a riguardo. Brani iconici come ‘Animal’, ‘Rock Of Ages’, ‘Pour Some Sugar on Me, ‘Love Bites’ e chi più ne ha, più ne metta, suonati con una perizia cristallina e certosina, ti penetrano come una lama tagliente e se viene abbinata una produzione imponente e un impianto luci e video dal superbo impatto visivo, il successo è inevitabile e meritatamente centrato .
La band di Sheffield offre un’ora e mezza di accattivante rock mainstream, apprezzato e coinvolgente al punto giusto e mentre lascia il palco sulle note della mega-hit ‘Photograph’, la speranza è quella di non aspettare altri tredici anni prima di rivederli dalle nostre parti, Svizzera annessa.
Il secondo giorno è tutto per i Saxon, che festeggiano i 43 anni di attività, con un “concerto” greatest hits, che manda in visibilio il pubblico, come deve essere, quando sul palco ci sono delle vere e proprie leggende viventi del metal. Biff Byford è incontenibile nel dialogare in tedesco e in inglese con l’audience del Ring, di contro, il pubblico risponde con boati di approvazione alle note micidiali di ‘Wheels Of Steel’ o ‘Princess Of The Night’, citate non a caso, in quanto brani di apertura e chiusura di un concerto da ricordare. In mezzo, la pregiata essenza metal dei Saxon, che non ha certo bisogno di ulteriori commenti, se non di applausi a scena aperta per pezzi iconici come ‘Strong Arm Of The Low’, ‘747 Strangers in The Night’ e l’ultimo ‘Thunderbolt’.
Mi viene da dire, se non ci fossero, bisognerebbe inventarli.
Un po’ sulla falsariga dei britannici Saxon, si collocano i Krokus, che sciorinano uno show corposo e pirotecnico, costruito con sapienza e maestria sui loro brani più conosciuti degli anni ottanta e novanta, tra cui spiccano le conosciute ed apprezzate ‘Bedside Radio’, ‘Easy Rocker’ e la ballad ‘Tokyo Night’, tre assi nella manica di Marc Storace e Co.
Un concerto degno di nota e appassionante, in attesa del loro concerto di addio previsto per il prossimo dicembre all’Hallenstadion di Zurigo, tempio del rock in Svizzera.
Da una band elvetica all’altra il passo è breve e il testimone passa ai Gotthard, vere e proprie glorie nazionali, gia’ presenti in cartellone nell’edizione di due anni fa, ma nonostante questo, il colpo d’occhio allo scoccare di ‘Bang’, è quello delle grandi occasioni.
La scelta di proporre lo show acustico, che stanno portando in giro per l’Europa da diverso tempo, in un contesto successivo alla carica adrenalinica provocata dai set infuocati di Saxon e Krokus, è una sfida apparentemente rischiosa, che la band ticinese vince alla grande, sia per il forte appeal che hanno sul pubblico svizzero, sia per una serie infinita di brani squisitamente commerciali su cui possono contare.
Infinito successo, nonostante il diluvio che si è abbattuto sull’area del Rock The Ring durante tutta la loro esibizione, ribattezzato per l’occasione “Rock The Rain” dal vocalist Nic Maeder.
Le versioni originali dei classici dei Gotthard, si fanno ovviamente preferire, ma la bellezza e la dolcezza di brani come ‘Heaven’ e ‘One Life, One Soul’, non viene intaccata minimamente dalla nuova veste unplugged e mantengono sempre il loro fascino incontaminato.
Un successo ampiamente annunciato in questa seconda giornata di festival in terra elvetica, grazie soprattutto alla presenza contemporanea delle leggende locali Krokus e dei Gotthard.
Il gran finale nella terza giornata del festival, è tutto ad appannaggio dei mitici Lynyrd Skynyrd ed al loro southern rock, un marchio di fabbrica che ha forgiato pagine indimenticabili ed indelebili nella storia della musica e cultura americana del secolo scorso.
Come non emozionarsi sulle note di ‘Sweet Home Alabama’ e tutta la storia annessa al brano, legato alle frasi ( infelici per gli Skynyrd) ) di Neil Young o per la struggente ‘Freebird’ e a quanto successo in quel maledetto 1977 nell’incidente aereo, che ha privato la band all’apice della sua popolarità, del cantante Ronnie Van Zant e del chitarrista Steve Gaines.
Il feeling e la raffinatezza sopraffina degli intrecci chitarristici tra Gary Rossington e Rickey Medlocke, ti fanno volare direttamente nelle sconfinate pianure del sud degli Stati Uniti e, come accadde due anni fa sullo stesso palco con il concerto di John Fogerty, respiri le sensazioni dell’evento unico e irripetibile dalle nostre parti.
Senza nulla togliere agli australiani Midnight Oil, che hanno li hanno preceduti e a tutte le band che si sono esibiti nelle giornate precedenti, sono proprio i Lynyrd Skynyrd e, per chi scrive, il mitico Johnny Van Zant, fratello del compianto Ronnie, gli assoluti dominatori dell’edizione 2019 del Rock The Ring.
Un plauso finale all’organizzazione, sempre attenta, ospitale e disponibile.