Amorphis + Soilwork + Jinjer @Live Club – Trezzo D’Adda (MI), 12 febbraio 2019
Il 19/02/2019, di Marco Giono.
Il tempo costruisce, il tempo distrugge. Se pensate in fondo che sono passate tre decadi da quando gli Amorphis si formarono e ai nostri giorni tornano con quella formazione (con l’aggiunta delle tastiere di Kallio Santeri e della voce di Tomi Joutsen) dopo cambi e vicissitudini varie. Ed in fondo al centro del loro ultimo sontuoso album ‘Queen Of Time’ vi è il tempo e di come il cosmo si rinnovi ciclicamente. Esattamente quello che è successo agli Amorphis con un album che attinge a pieni mani dal loro sconfinato passato per arricchirsi di parti jazzy come passaggi che toccano il power, il tutto con uno stile riconoscibile sin dal primo vagito. Se gli Amorphis hanno ormai un’esperienza in termini di tour (di supporto allo scorso album ‘Under a Red Cloud’ hanno fatto oltre 200 concerti!), non sono di certo da meno i Soilwork quanto a curriculum. Ed in fondo anche loro hanno mutato il suono, forse in maniera ancora più marcata nell’ultimo ‘Verkligheten’, da sonorità death ad un heavy metal sempre più votato alla melodia (fino a sentirci dentro cose AOR!). Un duo che di storie ne ha parecchie da raccontare, ma c’è anche altro e forse la serata che si terrà al Live Club di Trezzo sull’Adda potrebbe riservare delle sorprese. I Jinjer sono una band che è già passata almeno in un paio di occasioni nel nostro paese. Quando li vidi di supporto agli Arch Enemy rimasi impressionato dalla grinta della cantante e dalle sua capacità di generare linee vocali che toccano generi piuttosto lontani tra loro, passando dal loro metalcore a toccare cose più progressive. In questo tour probabilmente presenteranno anche i brani del nuovo EP ‘Micro’ uscito l’11 gennaio 2019. Diversamente aprirà le danze il death melodico dei tedeschi Nailed to Obscurity. Appena freschi di contratto con la Nuclear Blast pubblicano il loro quarto album intitolato ‘Black Frost’ che ancora una volta prosegue nel loro cammino musicale con coerenza, proponendo infatti un death metal che si tinge di tinte progressive attingendo dalla tradizione di un gruppo primevo quale gli Opeth. Quindi ci aspettano tempi dilatati, soli melodici e malinconici e infine voci pulite a squarciare il buio. Adesso non ci resta che oltrepassare il sipario e scoprire come andranno le cose in quel Trezzo.
Ore 18, in viaggio nell’oscurità con una certa calma, Nailed To Obscurity
I Nailed To Obscurity se ne fregano delle mode, di come il death metal melodico sia cambiato in questi anni in favore di modernità varie. Nulla di tutto questo. Dal 2005, anno del primo demo, la band tedesca propone un death melodico di stampo classico con tempi e ritmi che rimandano al doom. La loro presenza sul palco è minimale. Il cantante Raimund Ennenga non si scompone e non si lascia mai andare a particolari aperture. Puntano tutto sulla musica. Prendere e lasciare. Io prendo molto volentieri. L’inizio affidato a ‘Black Frost’ è manifesto della loro poetica con soli che si rincorrono e tempi dilatati. La voce di Ennenga racconta, il suo growl più o meno pieno si inserisce potente in trame melodiche oscure e remotissime. Proseguiranno con il nuovo album ‘Black Frost’ da cui suoneranno ‘The Aberrant Host’ per poi chiudere con ‘Desolate Ruin’ con quel lungo e possente passaggio strumentale a chiosa di un esibizione che è inno ad un passato senza tempo. Se vogliamo l’unico nota negativa è legata alla voce in pulito piuttosto incerta, ma per il resto davvero ottimi davvero i Nailed to Obscurity.
un’onda energetica di metallo, Jinjer
Sale sul palco con la maglietta che la dice lunga. Stay Metal 666. Poi senza troppi convenevoli Tatiana Shmailyuk inizia a randellare con la sua voce multiforme seguendo il sali e scendi nevrotico del loro metalcore. I Jinjer a dire il vero suonano tante cose assieme, tanto che il metalcore diventa un contenitore, ma di quelli piuttosto adattabili, così da inglobare influenze che vanno dal progressive, al death metal piuttosto che all’hip-pop. Pazzi questi ucraini che tra l’altro non sono nuovi all’Italia. Tra gli ultimi concerti di cui ho memoria ricordo di averli visti di supporto agli Arch Enemy l’anno scorso per poi passare di nuovo da headliner in quel di Rozzano lo stesso anno. Ed è quindi normale che tra il pubblico vi sia parecchia eccitazione quando danno il via alle danze con il brano d’apertura intitolato ‘Words Of Wisdom’ tratto dall’album ‘King Of Everything’ del 2016. A cui fanno seguire la brutale ‘I Speak Astronomy’ che però alterna passaggi suadenti al limite del rock a attacchi in growl sempre nella voce eclettica di Tatiana. C’è tempo anche per proporre brani dal nuovo ep ‘Micro’ quali ‘Teacher Teacher!’ oppure ‘Dreadful Moments’, ma non c’è tempo per riposarsi. La band ucraina non concede attimi di pausa o di relax, così chiudono l’esibizione con ‘Sit Stay Roll Over’ che prende avvio in un’aggressione death controbilanciata dal pulito della voce per poi alternare il solito violentissimo growl. È facile rimanere disorientati dalla proposta multiforme dei Jinjer, ma è altrettanto possibile rimanere affascinati dalla loro grinta e dalla loro bravura.
Death or not, Soilwork
Da quando i concerti sono diventati ormai dei mini festival è di certo un bene che si alternino generi e stili, in modo che da stimolare l’attenzione del pubblico e rinnovare l’energia che spesso tende ad entrare in riserva nel succedersi delle canzoni. Ed in fondo i Soilwork meritano un certo riguardo, fosse anche solo per la loro storia che parte dagli esordi di death metal melodico per correre al presente con un death metal sempre meno death e sempre più melodico. Una tendenza in fondo sottolineata dall’ultimo album intitolato ‘Verkligheten’ uscito agli inizi di quest’anno. L’avvio di concerto è proprio affidato al brano ‘Arrival’ che corre in una melodia epica per poi aggredire con eleganza l’ascoltatore. Il coro, le linee vocali sono magnetiche ed immediate. C’è energia e melodia a palate nella loro musica, forse persino troppa, ma dal vivo è la sveglia che serve. Così il concerto corre per lo più nei brani di ultima generazione quali ‘Death in General’, i coroni di ‘Full Moon Shoals’ , piuttosto che ‘Stabbing The Drama’, mentre la chiusa del cerchio è affidata al nuovo brano intitolato ‘Stålfågel’ con quel suo incedere declamatorio in pulito che ricorda di come i Soilwork, pur non rigettando le origini, sono pronti a essere anche altro. Il tempo scorre tiranno e a volte è necessario rimodellarsi per rimanere rilevanti. Per il resto l’esibizione del gruppo svedese è stata di ottimo livello con qualche lieve incertezza nei suoni, andata migliorando nel corso dell’esibizione.
Bee or no to bee, Amorphis
Il nuovo ‘Queen Of Time’ è qualcosa che difficilmente potrà essere dimenticato in fretta. Non ho mai smesso di ascoltarlo dall’uscita. Qualcuno dirà che ricorda quello che è stato, alcuni brani assomigliano al passato, le melodia sembrano le stesse. Ed invece si, ma non proprio. Gli Amorphis riprendono semplicemente quello che sanno fare e lo elevano all’ennesima potenza, inserendo cose virtuosissime, ma soprattutto inventando arrangiamenti e passaggi sorprendenti nella loro necessità. Se questa è la premessa al concerto degli Amorphis è difficile davvero fare male e ancora l’attesa di questa lunga giornata diventa sempre più vivace nel pubblico che ormai affolla il Live Club di Trezzo. Così l’attacco di ‘The Bee’ proviene dalla terra e dal cielo. In una progressione musicale i cui confini sono annientati. Growl e melodia si alternano virtuose. Non c’è attimo di flessione nella setlist degli Amorphis così come nella loro esibizione. Certo il limite di replicare esattamente i nuovi brani così ricchi di influenze diverse è innegabile, ma non è di certo qualcosa che poi dal vivo non è così rilevante. Infatti i brani nuovi proposti, passando dalla declamatoria ‘The Golden Elk’ piuttosto che la quasi power ‘Message In Amber’, oppure per le melodie ancestrali di ‘Wrong Direction’ suonano in maniera perfetta in una scaletta che inevitabilmente si muove però anche in flashback a ricordarci di una discografia di uno spessore notevole. Così da ‘Skyforger’ del 2009 prendono due gemme quali l’epica ‘Sky Is Mine’ e l’oscura ‘Silver Bride’. Il pubblico poi sembra non attendere altro che il 1994, quando gli Amorphis pubblicarono quel pezzone di ‘Black Winter Day’ che ricordo ancora di come girasse su nastro senza sosta durante corse in auto verso l’oscurità. Tempi che furono, ma l’oggi spende lassù in Finlandia. Così il rito pagano si chiude negli ultimi due brani: in ‘Death of a King’ tratta da ‘Under The Red Cloud’ del 2015 e in un’altro di quei brani che verrà totalmente divorato a colpi di cori dal pubblico, ‘House Of Sleep’, tratta da ‘Eclipse’ del 2006. Quanta forza scorre ancora negli Amorphis e dopo quasi tre decadi di musica considerarla come cosa scontata sarebbe un delitto. Che sia stato un grande evento invece rientra nella loro norma.
FOTO DI EMANUELA GIURANO