Death SS + Pestilence + Folkstone + Necrodeath + more @Agglutination Metal Festival – Chiaromonte (PZ), 19 agosto 2018
Il 26/09/2018, di Francesco Faniello.
Ditemi quello che volete, ma ogni volta che mi sono espresso sull’Agglutination non sono mai riuscito a scindere l’edizione “del momento” (e il commento sulla scaletta dei gruppi) dalla storia del festival in sé, una kermesse talmente solida da aver stracciato tutti i record di longevità in ambito metal in Italia. Il tempo ha dunque dato ragione a Gerardo Cafaro e alla sua missione (sì, non esagero) di esportare il concetto di open air metallico in Basilicata, una delle terre d’Italia che soffrono maggiormente la distanza dai centri nevralgici e dagli snodi internazionali di questo genere, sia a livello chilometrico che (soprattutto) logistico.
Fatta questa doverosa premessa (dato che è la prima volta che mi occupo del festival lucano su queste colonne virtuali), passo a descrivervi la ventiquattresima edizione dell’Agglutination Metal Festival! Da un’occhiata veloce al bill è facile osservare come questa volta non ci siano gruppi internazionali altisonanti in cartellone, con però un’importante contraltare: gli standard qualitativi si presentano davvero omogenei (e alti), favorendo l’attenzione su nomi ottimi e di spessore, seppur meno blasonati di altre realtà che hanno calcato le stesse assi in passato. E poi, ci sono i Death SS: se non sono un simbolo del metal tricolore loro, allora…
Devo purtroppo cospargermi il capo di cenere per quanto riguarda le esibizioni di Rome In Monochrome e Circle Of Witches: la puntualità del running order, insieme a qualche scroscio di temporale sul tragitto, mi hanno impedito di assistervi. Un peccato, perché si tratta di due tra le realtà più interessanti dello scenario underground; in particolare, a quanto mi hanno riferito, gli heavy doomsters campani sono stati protagonisti di uno show solido e quadrato. Bene così.
Il tempo di parcheggiare e gli Ad Noctem Funeriis attaccano con il loro show, che ho seguito a distanza ma con la giusta attenzione, data l’acustica abbastanza nitida, un passo in avanti rispetto a tante edizioni del passato e una nota di merito per tutto il festival. Così, seduto al bar e complice un logo che ricorda pericolosamente lo Jägermeister, ho potuto constatare come gli autori di “Satan’s March Black Metal” non abbiano smentito la loro fama di black metaller oltranzisti, con tanto di face painting e bestemmie a gradire tra un pezzo e l’altro.
Deciso cambio di rotta musicale con gli abruzzesi Witchunter, autori del platter “Back On The Hunt” e a breve fuori con una nuova release, lo split con i Blackevil intitolato “Witchevil Attack!”. Gli alfieri della NWOTHM in campo tricolore non tradiscono le aspettative sin dal veloce soundcheck, dove si presentano con un suono fortemente vintage e con pelle e borchie di ordinanza. La setlist riprende molto del full length già citato, con spazio anche all’inno “Witchunter” e a “Maze Of Darkness”, anticipo dello split in uscita a novembre per la Blasphemous Art Records: doppia cassa roboante, twin guitars stridule e variazioni in coda al limite del doom metal sono parte integrante di un sound che paga dazio alla scena britannica quanto ai maestri Mercyful Fate, ma anche al classico US Metal di gente come gli Agent Steel. E poi, spazio a vari trucchi di scena, come la mise in cappa e spada o con una maschera da caprone del singer Steve Di Leo, autore di una performance “sanguigna” non solo metaforicamente, fino all’esecuzione di “Lucifer’s Blade”, caratterizzata da un mid-tempo che sfocia nella cavalcata di scuola Hansen/Ruzz. Finale affidato alla mitica coda di “Black Diamond” dei Kiss, per una performance convincente, dal gusto fortemente retrò.
Siamo già nella parte alta della scaletta quando tocca ai Necrodeath, che salgono sul palco ancora con qualche barlume di luce. L’effetto è straniante, tanto più che il quartetto genovese fa sul serio sciorinando sin dalla seconda posizione quella “The Whore Of Salem” che è una delle punte di diamante dell’ultimo, entusiasmante “The Age Of Dead Christ”. Flegias e soci non si risparmiano, autori di una delle performance più convincenti dell’intero bill, grazie al motore precisissimo di Peso dietro le pelli. Così, quando i Necrodeath piazzano sul banco “Forever Slaves” e gli arpeggi di “Master Of Morphine” sembra davvero di tornare a qualche anno di grazia tipo il 1986 , con un Pier Gonella quanto mai sugli scudi e assoluto protagonista hendrixiano nel break di “Process Of Violation”. Non si potrebbe chiedere di più, dato che la malignità dei quattro si esprime al massimo nella nuova “The Triumph Of Pain” (altra punta di diamante del nuovo album!) e nell’accoppiata finale “Hate And Scorn” / “Black Magic”, col tributo agli Slayer che vede i Nostri perfettamente a loro agio. Decisamente una delle migliori realtà in campo, oggi come ieri.
Cala l’oscurità ed è la volta dei Folkstone; introdotti dalla versione di “Sound Of Silence” dei Disturbed, salgono sul palco accolti dal calore del pubblico, accorso in buona parte anche per loro. Non posso nascondervi che il folk metal dei bergamaschi non ha mai fatto troppa presa su di me, forse perché preferisco le derive viking e nordeuropee di questo stile, piuttosto che quelle celtiche; insomma… sono più per gli ultimi Unleashed che per il mood simil-irlandese dell’ensemble in questione, pur riconoscendo la ricerca musicale che c’è dietro il loro lavoro (con ben quattro cornamuse sul palco!) e soprattutto la ricercatezza testuale, un elemento che apprezzo molto in fenomeni (troppo?) affini a loro ma distanti dal metal come i celebri Modena City Ramblers. È così che “Anna”, “Anime dannate” e “Mercanti anonimi” mi colpiscono più per le parole che per la musica (menzione particolare va alla scala malmsteeniana con cui viene chiuso uno dei brani!), fornendo però uno spunto di futuro approfondimento della discografia dei lombardi. Alla prossima, dunque.
Ed ecco i Pestilence, l’unico nome straniero in cartellone. Patrick Mameli e soci avevano promesso una scaletta incentrata sui primi dischi, e così è stato: dall’opener “Antropomorphia” alla cadenzata “Subordinate to the Domination”, all’arpeggio oscuro di “Commandments” fino al riff parossistico di “Chronic Infection”, tutto concorre all’impatto immediato del quartetto olandese, sovrastato da un efficacissimo logo giallo durante l’intera setlist. Personalmente, considero da sempre i Pestilence un riuscito connubio tra le atmosfere sulfuree degli Obituary e il tecnicismo raffinato dei Death, il tutto condito da solos al fulmicotone, partiture velocissime (con qualche accenno di twin guitars che non fa mai male) e cambi di tempo che vedono giganteggiare il tentacolare e precisissimo drummer. In più, direi che è possibile tracciare vari paralleli tra la figura del compianto Chuck Shuldiner e quella di Mameli, concentrato com’è sul proprio strumento, sempre freddo e chirurgico nel suo approccio. “Twisted Truth” e i suoi ritmi di scuola “Cause Of Death” rappresentano un momento focale della tracklist, aprendo la strada ai riff apocalittici di “Land Of Tears” e a quelle sciabolate conclusive di death classico che rispondono al nome di “Prophetic Revelations” e “Out of the Body”. Una performance gigantesca per gli autori di “Malleus Maleficarum”…
Sono le undici di sera e l’Agglutination può vantare una puntualità elvetica al primo scoccare delle litanie di “Ave Satani” da un palco agghindato per l’occasione a guisa di Golgota, con tanto di tre croci poste in avanti. È la prima volta che incrocio personalmente quella che è una vera e propria leggenda italica, e anche questa volta (come accaduto per le altre band in cartellone) le aspettative sono state completamente soddisfatte: dico subito che i Death SS hanno suonato per quasi un’ora e mezza, onorando degnamente quella che (se non sbaglio) è la loro prima calata in terra lucana. L’unico neo è che il volume in uscita è stato eccessivamente portato in alto in occasione dell’esibizione degli headliners, a scapito dei miei timpani già compromessi, nonostante il sound generale del festival fosse stato buono per tutti i gruppi inclusi nel bill, come già detto – un fattore non da poco e che segna un deciso passo in avanti per l’Agglutination, anche a livello organizzativo. Comunque sia, quella che è la fredda cronaca si tinge di leggenda al realizzare che il trittico di apertura è lo stesso del “Cursed Concert” del 1992, con “Piece Of Mind” e le superbe “Horrible Eyes” e “Cursed Mama” a lanciare una seria ipoteca sullo scenario metal internazionale; senza retorica, c’è da essere orgogliosi dell’ensemble di “Kings Of Evil” soprattutto in considerazione di quante realtà estere (e incidentalmente di maggior successo) debbano a loro più di quanto si immagini, per non parlare del fatto che i loro classici dovrebbero conoscerli anche i sassi. In conformità con le cronache lette sin da ragazzino, lo show dei Death SS è corredato da inserti teatrali, nonché dalle proiezioni di ordinanza; quando non con le immagini del video ufficiale, gli spettatori vengono deliziati dalle scene di B-movies appartenenti alla sconfinata cultura di Steve Sylvester nel genere. È così che assistiamo all’ingresso di una macabra sposa su “The Crimson Shrine”, siamo ancora una volta ammoniti dalle parole di Bush padre su “Where Have You Gone” e veniamo bombardati dalle immagini post-apocalittiche della nuovissima “Rock ‘N’ Roll Armageddon”, il tutto nel susseguirsi di candide ancelle o fustigatrici, in un’ideale dicotomia tra Yin e Yang. Attendevo da tempo di assistere all’esecuzione di “Terror” (forse il brano che collocherei sul podio del metal italiano in assoluto), qui presentata in una versione ancora più cadenzata di quella inclusa su “In Death Of Steve Sylvester”, con tanto di panorami cimiteriali, grand guignol a profusione e fuoco sulle croci a condire il tutto. Mentre l’atmosfera si tinge di rosso sangue e attacca l’arcinoto coro di “Baphomet” non posso fare a meno di osservare come un disco come “Heavy Demons” avrebbe meritato ben più onori di quelli a suo tempo tributati in occasione della sua uscita. Inutile polemizzare sul passato, visto che il Vampiro, la Morte, lo Zombie, la Mummia e il Licantropo sono sempre qui, più in forma che mai, a portare avanti una storia nata nel 1977 e che ora ottiene riconoscimenti finalmente degni del nome di cui si fregia. Anche la formazione a cinque (con le tastiere in line-up ufficiale e una sola chitarra) rende bene su tutta la scaletta, con Al De Noble a rappresentare un perno imprescindibile con la sua sei corde, ben sostenuto dalle tastiere del veterano Freddy Delirio. E poi, c’è lui… Steve Sylvester, in assoluta forma on stage e con la voce non del tutto scalfita dallo scorrere del tempo, la cui immagine viene sovrapposta in mood inquitante a quelle del teatro panico di Jodorowsky nella sezione dedicata – appunto – a “Panic”: i modernismi della title track e di “Hi-Tech Jesus” ci accompagnano verso la fine della setlist, non scevri da atmosfere vicine a Fritz Lang negli inserti visivi. Nonostante l’esclusione dalla scaletta di “Family Vault” e di “Inquisitor”, il finale è comunque col botto, con la ben nota scena della suora su “Vampire” e con le diavolette che accompagnano il rientro dei cinque per l’esecuzione della conclusiva “Heavy Demons”. Dalla Basilicata è tutto, ora non ci resta che attendere la venticinquesima edizione dell’Agglutination per continuare a incensare l’eroico operato di Gerardo Cafaro e della sua crew!
Foto by Nicola Donato