Rotting Christ + Novembre + more @IV Breaking Sound Metal Fest – Mesagne (BR), 4 agosto 2018
Il 01/09/2018, di Maria Teresa Balzano.
Il Breaking Sound Metal Fest è un astro nascente tra i festival metal estivi italiani, giunto alla quarta edizione (per me è la prima quindi non sono in grado di fare paragoni con gli anni scorsi) tenta la rischiosa ma stimolante impresa di diventare uno dei punti cardine della partecipata scena meridionale. Il festival pugliese ha ospitato una degna folla di devoti in una location pressochè perfetta: la pineta del parco di Villa Cavaliere ci ha accolti in un ambiente ben organizzato, oltre alla zona palco e diversi angoli relax, dal liutaio al biliardino, erano presenti diversi stand del merchandise e del food&drink (dai prezzi contenuti e con un’offerta abbastanza diversificata). In un’atmosfera che oserei quasi definire bucolica, coadiuvata dal confortante scemare della calura salentina dei primi giorni di agosto, si è respirata una tranquilla aria fraterna, quella che ti fa sentire al posto giusto al momento giusto.
Siamo arrivati quando dal palco già si udivano i riff compatti dei pugliesi Vilemass, fautori di un death metal abbastanza moderno e aggressivo, con qualche rinfrescante sfumatura thrash, che riporta alla mente vetusti mostri sacri del genere. Il suono nel complesso è piacevole, ben bilanciato, la band sembra essere a prioprio agio nonostante manchi all’appello buona parte del pubblico e, per quanto ne sappia, sia ancora agli esordi.
Seguono a ruota i thrashers Hopesend, sorti dalle ceneri dei salentini Terremoto, con alle spalle parecchi anni di attività. Il loro è un thrash derivato dai migliori anni ’80 impreziosito da violenti innesti crossover e nu metal, che da origine ad un leitmotiv rabbioso e meccanico, poco innovativo ma comunque d’effetto, soprattutto in sede live, in virtù delle indubbie qualità tecniche dei musicisti.
Dopo un veloce cambio palco è la volta dei Reality Grey, una delle formazioni più in voga dell’undergound pugliese. Energici e chiassosi ci scagliano addosso un death/metalcore dalle origini scandinave impregnato di frequenti (e forse un po’ forzati) inserti melodici, che movimentano e modernizzano una linea di fondo abbastanza convenzionale ma comunque consistente e accattivante. Il groove è pesante, le ritmiche serrate, il cantato, in clean, scream e growl, è abbastanza interessante al di là dei gusti personali. Una nota di merito per la presenza scenica è d’obbligo.
Venti minuti secchi di stacco (la puntualità è stata una piacevolissima costante di tutto il festival) ed ecco arrivare gli Handful Of Hate. Le premesse per uno spettacolo potente e sanguinario c’erano tutte, del resto stiamo parlando di una band che negli ultimi vent’anni ha macinato decine e decine di live con un sound feroce e distruttivo, ma i blackster toscani stasera sono palesemente fuori forma. Sui brani iniziali, ‘Extremism Made Fire-Cholera!’, ‘Larvae’, ‘Livid’ e ‘Grotesque In Pleasure Rotten In Vice’, lo scream di Bianchi è lontano anni luce dai tempi di ‘Gruesome Splendour‘ e questa pecca, purtroppo, non è compensata dai muri di suono eretti dalle potentissime chitarre, sensazione condivisa dai palati un po’ più esigenti e avvezzi allo standard offerto della band. In ogni caso, complice una golosa setlist ben calibrata, il quartetto riesce a giocarsi al meglio la mano sfortunata capitata stasera e il pubblico, sempre più preso e sempre più numeroso, inizia a concentrarsi e sbizzarrirsi nel pit. Verso la fine del concerto la situazione si risana e la voce si ispessice, regalando i momenti migliori sulle finali ‘I Hate’, ‘Cursed Be Your Breast’ e ‘Reproach And Blame’.
Alle 21:40 cala il silenzio per l’ingresso in scena dei Novembre. Salta subito all’occhio la mancanza dello storico chitarrista Massimiliano Pagliuso al fianco del mastermind Carmelo Orlando, del bassista Fabio Fraschini e degli ormai rodatissimi Giuseppe e Carlo Ferilli (rispettivamente, chitarra e batteria). Pagliuso verrà sostituito, per quest’occasione, dall’altrettanto talentuoso della sei-corde Alessio Erriu. Si parte con la sognante ‘Australis‘, la opener dell’ultimo capolavoro studio della band, ‘Ursa‘, ed è subito chiaro che qualcosa sta andando storto. I volumi altilenanti, finora gestiti egregiamente da chi di dovere, stravolgono completamente una buona metà della performance che, per la sua stessa essenza, verte su equilibri delicati e imprescindibili, penalizzandone impietosamente l’atmosfera. Il malumore di buona parte degli astanti si lascia pian piano mitigare dal carisma dei musicisti che tengono forte il palco senza risparmiarsi, sorvolando sui problemi tecnici imprevisti, fino a dissolversi completamente verso la fine del concerto e trasformarsi in puro coinvolgimento quando i volumi sembrano essere tornati favorevoli a catapultarci nella giusta dimensione. Oltre alla già citata opener ‘Australis’, la setlist ha incluso ‘Annoluce’, ‘Umana’, ‘Bremen’, per la prima volta in sede live la titletrack ‘Ursa’ e, per il diletto degli spiriti un pò più vintage, pezzi estratti dall’album ‘Classica‘ (‘Nostalgiaplatz’, ‘Onirica Est’ e la conclusiva ‘Cold Blue Steel’), da ‘The Blue‘ (‘Anaemia’) e da ‘Novembrine Waltz’ (‘Everasia‘).
Durante il cambio palco che precede l’esibizione dei Rotting Christ, testimone di quanto appena successo con i Novembre, è lo stesso leader, Sakis Tolis, a dirigersi verso il fonico per dare veloci e precise indicazioni che, come avremo modo di sentire, permetteranno alla band ateniese di sfondarci i timpani con un suono eccezionale. Impegnata nella stesura del nuovo album e nella scrittura della biografia della band (‘Non Serviam: The Official Story Of Rotting Christ’, in uscita a novembre per The Cult Never Dies), la band festeggia quest’anno i trenta anni di attività presentandosi in forma smagliante al pubblico del Breaking Sound: solenne e marziale la setlist inizia con uno dei brani più recenti della discografia degli ateniesi, da ‘Rituals’ si parte con l’aramaica ‘Ze Nigmar’, seguita dalla più movimentata ‘Kata Ton Daimona Eaytoy’, per poi ipnotizzare la platea con l’evocativa ‘Demonon Vrosis‘ (perla di ‘Aealo‘) e travolgerla con ‘Elthe Kyrie’, oscura e teatrale. Sempre da ‘Rituals‘ segue ‘Apage Satana‘ ma poi il passato di ‘Thy Mighty Contract’ prende violentemente il sopravvento con il binomio ‘The Sign Of Evil Existence’/’Transform All Suffering Into Plagues‘. Il pubblico è in delirio, la performance strumentale è da brivido, senza sbavature, il carisma del quartetto ellenico è alle stelle: diverte e si diverte, scaricandoci addosso un’enorme dose di adrenalina ripercorrendo le tappe salienti della carriera con le successive ‘The Forest Of N’Gai’, ‘Societas Satanas’, ‘In Yumen Xibalba’, ‘Grandis Spiritus Diavolus’, ‘Noctis Era’ e in chiusura ‘Χ Ξ Σ‘ e ‘Non Serviam’. C’è poco da aggiungere, chi ha assistito ad un loro concerto sa benissimo cosa aspettarsi, e la creatura titanica dei fratelli Tolis non delude mai. Umili, possenti, essenziali e magnetici. Ad un concerto dei Rotting Christ puoi chiudere gli occhi e prendere parte con nereidi e lestrigoni, fioche lanterne, aulos e sussurri avernali, ad un oscuro rituale tra i marmi delle rovine di un naós su una sperduta isola dell’Egeo oppure lasciarti infiammare l’anima dalle slappate di Karzis e scatenarti nel mosh più violento.
Ma torniamo a Mesagne, al sogno realizzato di un gruppo di amici che quasi per scherzo ha messo su un gran bell’evento e a cui auguro vivamente di poter continuare con disinvoltura e un pizzico di fortuna quest’avventura. Il mio bilancio è estremente positivo (eccezion fatta per la scivolata del fonico): l’organizzazione è seria e competente, i prezzi sono contenuti (11 euro+prevendita!), i bill sono interessanti, la location e l’atmosfera meritano.
L’anno prossimo, cortesemente, venite tutti a pogare in Puglia!
Si ringrazia per il contributo fotografico Francesco Ferri.