Deep Purple @Arena di Verona – Verona, 9 luglio 2018
Il 16/07/2018, di Roberto Villani.
Dopo i concerti dell’anno scorso a Bologna e Zurigo, in occasione della prima tranche del The Long Goodbye tour, che faceva seguito all’ottimo ‘Infinite’, sicuramente il loro miglior album dal tempo di ‘Purpendicular’, i gloriosi Deep Purple festeggiano il cinquantennale di una straordinaria e fortunata carriera con un concerto nella prestigiosa cornice dell’Arena di Verona.
La mente mi riporta indietro all’evento che i Purple in versione MK II, tennero nel 1987 proprio all’Arena di Verona, tre anni dopo la reunion che portò alle stampe l’eccellente ‘Perfect Strangers’ e se le premesse avallano i ricordi, con i cinque paladini dell’hard rock si va quasi sempre a colpo sicuro.
Un mio collega scriveva di loro “suonano sempre col sorriso sulla bocca e col pilota automatico innestato” ed è questa la netta sensazione che si percepisce, quando Ian Gillan e soci, freschi dell’onorificenza nella Rock and Roll Hall Of Fame, si esibiscono sui palcoscenici del mondo intero e anche la data di stasera non fa certo eccezione.
Se il tour dell’anno scorso era incentrato su parecchi, forse troppi, brani del nuovo album e alcuni classici immortali, il concerto di Verona è una vera e propria cavalcata esplorativa all’interno della ricca e corposa storia dei Deep Purple e, dettaglio ma non troppo, finalmente ‘Highway Star’ si ricolloca in scaletta dove deve essere.
Non esiste brano migliore per aprire un concerto dei Deep Purple, come lo era ‘Burn’ per la formazione MK III, l’unico che riflette in toto lo stato di forma della band e indica la giusta direzione per capire come sarà il resto dello show .
Retaggi da ‘In Rock’, ‘Bloodsucker’ e tanti dal capolavoro ‘Machine Head’, oltre a ‘Highway Star’, ‘Picture Of Home’, la trascinante ‘Space Truckin’’, ‘Lazy’, ‘Smoke On The Water’, il classico dei classici, cantata all’unisono dall’intera audience dell’Arena, stessa sorte per la celeberrima ‘Strange Kind Of Woman’, quest’ultima da tempo orfana dei mitici duetti chitarra, voce, presenti su ‘Made In Japan’.
La band è in forma, suona divinamente, aiutata anche dall’acustica unica dell’Arena, introvabile in altre location in Italia e, forse, al mondo .
Don Airey non ha la personalità e il talento di Jon Lord, ma in compenso, ha ridato smalto e anima a una band che stava spegnendosi in maniera irreversibile e inesorabile, Steve Morse, è indubbiamente un chitarrista fantastico e tecnicamente ineccepibile, anche se in ventiquattro anni di carriera con i Purple, non si è mai avvicinato come autore a Ritchie Blackmore e, forse, neppure al Tommy Bolin di ‘Come Taste The Band’.
L’ex tastierista di Ozzy, Rainbow e Whitesnake, diletta la platea con accenni a romanze italiane di casa in Arena, tra cui la celeberrima partitura di ‘Nessun Dorma’, passando all’intro di ‘Mr Crowley’, prima che ‘Perfect Strangers’, ‘Hush’ e ‘Black Night’ facciano scorrere titoli di coda a una piacevole serata veronese a tinte porpora.