A Perfect Circle + more @Rock The Castle – Villafranca di Verona, 1 luglio 2018
Il 11/07/2018, di Maria Teresa Balzano.
Rock The Castle 2018, terza giornata. È il turno degli A Perfect Circle, la band culto del filone alternative rock/post-grunge dopo quattordici anni finalmente torna in Italia e attira, nella singolare venue veneta, il pubblico più numeroso accorso finora tra le mura del castello Scaligero, con circa 9’000 biglietti venduti l’ultima serata del festival ha sfiorato il sold out.
Ipotizzando una setlist prettamente incentrata sul nuovo lavoro, sono arrivata al concerto con diverse perplessità. La premessa è d’obbligo, ho consumato l’intera discografia dei Tool e credo che gli A Perfect Circle di ‘Mer De Noms’ e ‘Thirteenth Step’ abbiano scritto capitoli brillanti della storia della musica, regalandoci alcuni tra i riff più belli dell’ultimo ventennio, ho una profonda stima per i musicisti che saliranno sul palco stasera, ma ‘Eat The Elephant’ mi resta indigesto. È un disco meticoloso e introspettivo, è atmosferico e suadente ma è anche lento, eccessivamente dilatato e fastidiosamente manierista. Per citare un amico, spero si accorgano di aver dimenticato di inserire le take delle chitarre e nei prossimi mesi ristampino la versione completa perché quella attuale, ‘alla ricerca del riff perduto’, è davvero poco entusiasmante.
Dal punto di vista tecnico, nelle giornate di venerdì e sabato i problemi di gestione del suono sono stati spesso seccanti e penalizzanti, quindi le mie aspettative non sono delle più rosee ma l’hype di chi mi circonda è particolarmente alto e l’entusiasmo quasi contagioso.
KRASHAH (6.5/10)
Ad aprire le danze, alle 18.30, sono i veronesi Krashah. Bella prova, e senza dubbio bella vetrina, per l’impavido quartetto che propone un sound abbastanza accattivante e spavaldo, nel complesso piacevole seppur non originalissimo, la passione per i Korn infatti è lampante, sia nel songwriting sia nella trasposizione live, ma è una formula che funziona per distrarre dalla calura un pubblico via via sempre più numeroso.
MCKENZIE (5/10)
Seguono a ruota i McKenzie, fautori di uno scialbo alternative rock con accenni stoner, ripetitivo e palesemente ispirato agli Afterhours. I rockers calabresi, probabilmente danneggiati anche da un suono confuso e poco pulito, non incontrano il favore dei presenti ma non arrivano ad infastidirlo quanto la band successiva.
ROS (6/10)
I Ros, trio reduce da X-Factor, scritturati all’ultimo minuto dopo l’ufficializzazione del forfait di Frank Carter & The Rattlesnakes per imprecisati motivi, sono obiettivamente fuori contesto. Il loro è un pop rock ancora acerbo e fin troppo commerciale per il palato raffinato degli spettatori irritati che non si trattengono dai commenti pungenti e dalle manifestazioni di dissenso. L’attenzione, tuttavia, è già concentrata sugli headliner, che tutti bramano.
Ma ora veniamo al dunque…
A PERFECT CIRCLE (9/10)
Puntuali, alle 21.30, gli ultimi raggi di sole scivolano dietro ai merli delle mura di cinta lasciando il posto alle tenebre che offrono lo sfondo perfetto alla scenografia minimalista ed essenziale degli A Perfect Circle: giochi di luce fredda, dal bianco al blu, inondano la platea mentre la voce di Maynard J. Keenan fluttua sulle note malinconiche e dolciastre di ‘Eat The Elefant’. Con la parrucca e il completo azzurro, appollaiato in penombra sulla piattaforma centrale più alta, l’eclettico musicista dimostra da subito di essere particolarmente in forma, la sua sarà una prestazione ipnotica. Le performances strumentali sono altrettanto superbe, Billy Howerdel e Greg Edwards (sostituto temporaneo di James Iha, impegnato in questi mesi con il nuovo tour degli Smashing Pumpkins) sono artefici, insieme a Jeff Friedl e Matt McJunkins, di un sound impeccabile e compatto, capaci di creare un’atmosfera densa e sognante, a tratti struggente e poi di colpo graffiante, supportata da cori spettacolari e da un’amplificazione praticamente perfetta (se paragonata alle esibizioni dei giorni precedenti).
La setlist prosegue, come previsto, con una carrellata di brani estratti dall’ultimo full-lenght (menzione d’onore per ‘The Doomed’, uno dei brani con migliore resa live del disco), intervallati da veloci tuffi nel passato: ‘Thomas’, ‘Rose’ e ‘The Hollow’ da ‘Mer De Noms’, ‘Weak And Powerless’, ‘The Package’ e una splendida ‘The Outsider’ da ‘Thirteen Steps’. Stona l’opinabile remix di ‘3 Libras’, talmente stravolta da non raggiungere il climax e perdere tutto il pathos che tanto la contraddistingue nella versione originale, ma gli standard si mantengono elevati con la cover ‘People Are People’ dei Depeche Mode e la marziale ‘Counting Bodies Like Sheeps To The Rhythm Of The War Drums’ fino alla chiusura, dopo circa un’ora e mezza, con l’eterea ‘Feathers’.
Un concerto memorabile per gli adepti, uno spettacolo che ha toccato le corde più intime con la complicità muta della scenografica cornice medievale, apprezzata più volte dallo stesso frontman.
Ma a chi vi scrive l’emozione più grande non l’hanno data Keenan&soci: la vertigine è arrivata quando, per un attimo, ho smesso di pensare a chi suonasse cosa e come e, guardandomi intorno, mi sono scoperta circondata da una moltitudine di crani ondeggianti, labbra piegate in un accenno di sorriso che scandivano sincrone ogni parola, occhi, orecchie e cuori intenti a godere di ogni suono tanto desiderato in quei lunghi quattordici anni di attesa. Essere testimone di una tale alchimia tra artisti e pubblico è un brivido che trascende generi e gusti personali e credo che quello degli A Perfect Circle tra le mura del Castello Scaligero sia stato un concerto che la maggior parte degli astanti porterà a lungo nel cuore.
FOTO DI EMANUELA GIURANO