Slayer @Valley View Casino Center – San Diego (USA), 10 maggio 2018
Il 21/05/2018, di Piergiorgio Brunelli.
L’inizio della fine. Il primo show degli Slayer negli States, la prima data estratta dal loro tour finale. Il sangue scorre per l’ultima volta, nel sud della California… Per questa ragione non è il solito mostro sanguinante senza feeling che vuole solo la tua gola e ti uccide senza rimorsi. Detto ciò, il diavolo è di casa sul palco, cortesia dei Behemoth. E ora che gli Slayer calcano quel palco infuocato, c’è sangue nella buca dei fotografi, letteralmente, e il mosh pit è qualcosa di demoniaco e fisicamente esigente. Tutta colpa di Randy Blythe dei Lamb Of God? Forse. “let’s fuck this place up” ha gridato a metà set della sua band. E di “moshing-circle” ne sono nati cinque in un nanosecondo! La conseguenza è stata che i corridoi di fuga della sala sono scomparsi sotto la marea umana e il capo dei vigili del fuoco ha bloccato il concerto. Ci sono voluti 20 minuti di trattative tra lui e il capo security degli Slayer per sbloccare la situazione, come vuole la prassi.
Le fiamme, dicevo. Come sempre qui negli States, gli Slayer hanno una batteria di lanciafiamme da fare invidia ad un sergente della Brigata Friuli… ‘Repentless’ non è ancora traslocata in ‘Blood Red’ che Paul Bostaph è già in stato di sauna estrema circondato come è di fuoco e fiamme! Lo sarà per almeno la metà delle canzoni del set. Cosa che non gli impedisce di suonare con la solidità da indemoniato, come sempre gli succede. Se ‘Blood Red’ è una semi-rarità, non la suonavano da un tot, ‘Mandatory Suicide’ è come il grana padano sulla pasta. Se manca non è un concerto degli Slayer. Kerry, che aveva speso 10 minuti di troppo dietro al palco a scaldare le dita mentre il problema del pubblico veniva risolto, ora aizza la genta col pugno. Vaga sul palco come un toro inferocito. Ha il coltello tra i denti. Al contrario di Tom che, dopo l’operazione al collo, si muove al minimo sindacale. E’ dimagrito una cifra e senza la barbona bianca, ha solo un pizzetto decorativo sul mento, sembra più giovane di 20 anni, invece di somigliare a Babbo Natale. Chissà che regali portava ai bambini…
Dopo ‘Hate Worldwide’, un altro stop. Pat, lo stage manager, sale sul palco ed invita il pubblico a liberare le corsie laterali. Una bordata di fischi segnala il pensiero dei presenti. Ma quando Tom ne prende il posto e dice: “sono regole di sicurezza nel caso succeda qualcosa. Su, ragazzi, lasciate spazio sennò ci mandano a fare qualcos’altro (invece di suonare)” come bambini diligenti tutti lo ascoltano e nessuno fischia. Ma un poco si contraddice dato che, dopo aver invitato alla calma, chiede ben tre volte: “siete pronti?” e a squarciagola urla WARRRRRRR ENSEMBLE!!!!!!!!!!!!!!!! Come siano rimaste vuote le corsie laterali, ancora non mi capacito. Le scale erano bloccate con rotoli e rotoli di filo spinato, arrugginito probabilmente. Nessuno ha osato scendere.
‘Jihad’ arriva sinistra e minacciosa come il suo testo: “This is God’s War/God’s War/This is God’s War/ God’s War/Fucking Holy War/” canta Tom. Guardarsi attorno per vedere se ci sono borse sospette ed abbandonate non è un’idea che viene solo a me.
Dopo ‘When Stillness Comes’ che parte lenta pesante come un tank e poi diventa un T-Rex che non lascia scampo a nessuno, ritorna una vecchia conoscenza: ‘Postmortem’ con i suoi noti riffs quasi sincopati della parte centrale che, come la “sorella deviante” di cui sopra, accelera nel finale a velocita’ pazzesca, propellente per il mosh pit che ora regna incontrollato là in mezzo. ‘Payback’ è come una bomba a mano senza anello di sicurezza. “Karma will come back and will payback that bitch, motherfucker!” sembra più di un avvertimento… ‘Seasons In The Abyss’ è accolta da un boato tale che sembra che la jihad sia cominciata davvero, il proiettile sparato poi quasi casualmente sulla folla, che è ‘Dittohead’, si perde un pò visto che è seguito da quel monumento del metal che risponde al nome di ‘Dead Skin Mask’. Un pò più rallentato del solito, ma il duetto di chitarre tra Gary e Kerry è perfetto come al solito. Gary ad ogni concerto conferma che non poteva essere che lui a rimpiazzare il compianto Jeff Hanneman. Una garanzia. ‘Dead…’ si erge con ‘Hell Awaits’ che è il solito stupro sonoro. Ti entra dentro e ti fotte senza rimorsi.
Si entra in dirittura finale dove vivono le tracks inamovibili, quelle canzoni che non possono non esserci. ‘South Of Heaven’ è stellare; ‘Raining Blood’ alza la temperatura dell’arena di 30 gradi. Dopo ‘Chemical Warfare’, ‘Angel Of Death’ chiude come sempre ed è qui che succede l’inaspettato. Solitamente, eccetto Tom in qualche occasione, la band si dilegua in fretta con quell’atteggiamento da “Fuck you, we are out of here”. Non stasera. Paul getta bacchette, Gary e Kerry a bordo palco salutano il pubblico sorridendo e Tom fa un ringraziamento pubblico dopo aver creato memorie col suo telefonino. Ringrazia per 35 anni di supporto, per aver fatto diventare gli Slayer quello che sono. Ed è emozionante. E’ qui che ti rendi conto che siamo ai titoli di coda. Sarà un lungo addio che finirà l’anno prossimo, ma questo è quanto. Tom se ne va mano nella mano con la moglie, che si è vista lo show a lato palco. Quello è il suo futuro. Il nostro è vedere più show possibili fino alla fine. Il massacro non può finire qui…