Roger Waters @Unipol Arena – Bologna, 22 aprile 2018
Il 24/04/2018, di Roberto Villani.
C’è chi sostiene, a torto o a ragione, che il concerto di Roger Waters sia quanto di meglio il miliardario mercato della musica “live” possa offrire in questo periodo, in una giungla di concerti in cui, salvo rari casi, l’offerta supera notevolmente la domanda .
I numeri, come sempre, non mentono mai e sei concerti italiani sold out, tra le due date milanesi e le quattro di Bologna, oltre a previsti e prevedibili esauriti per i due eventi estivi, uno a Lucca nell’area che vide l’anno scorso l’esibizione dei Rolling Stones e l’altro al Circo Massimo di Roma, certificano che l’Us + Them Tour del genio creativo dei Pink Floyd, sia uno degli avvenimenti più attesi dal popolo del rock.
Avvolto in uno scenario spettacolare come solo i Pink sapevano creare, si sviluppa un concerto di rara intensita’ che ruota intorno alla figura carismatica di Roger Waters, coadiuvato da musicisti straordinari tra cui spiccano il collaudato Dave Kilminster e Jonathan Wilson che si alternano egregiamente alle chitarre ritmiche e soliste.
Due eccellenti professionisti per quel ruolo che nell’immaginario collettivo e nel cuore di milioni di fan sarebbe dovuto rimanere per sempre ad appannaggio di David Gilmour, ma così non è stato, pertanto godiamo delle parti vocali del buon David in seno ai Pink Floyd, riproposte fedelmente dal talentuoso Wilson, che si armonizza con l’inconfondibile tono vocale “drammatico” di Roger Waters.
La scaletta attinge a brani capolavoro tratti da album leggendari quali ‘Meddle’, ‘The Dark Side Of The Moon’, ‘Wish You Were Here’, ‘Animals’ e, naturalmente, ‘The Wall’, oltre a estratti dall’ultimo lavoro solista di Waters, che ben si integrano con le gemme floydiane del passato, in un caleidoscopio di emozioni e colpi a effetto che avvolgono gli spettatori dall’iniziale ‘Breathe’, fino ad arrivare alla conclusiva ‘Comfortably Numb’, per chi scrive una delle tre canzoni più belle di sempre della storia del rock.
Tra schermi giganti che irradiano immagini fin troppo dirette, maiali che volano sopra la Battersea Power Station e piramidi tracciate da raggi laser, si consuma uno dei concerti più belli e intensi degli ultimi anni, in cui arte ed artista viaggiano sulle medesime altissime coordinate, visionario e geniale, malinconico e perfetto, fino a irritare dalla grandezza e dal carisma che trasuda da ogni sua movenza e dalle vibrazioni che trasmette dalle note che escono del suo fedele basso Fender.
Sono solo quattro corde che regalano magia pura in ‘One Of These Days’ e in ‘Money’, come Gilmour usa fare regolarmente con la sua acustica quando attacca l’intro di ‘Wish You Were Here’ o si immola nell’assolo centrale di ‘Time’.
Le prospettive di rivederli ancora insieme sono praticamente ridotte ai minimi termini, tuttavia, come si usa dire in questi casi, la speranza è l’ultima a morire.