Arch Enemy + Wintersun + Tribulation + Jinjer @Alcatraz – Milano (MI), 17 gennaio 2018
Il 18/01/2018, di Alberto Gandolfo.
Arrivo all’apertura dei cancelli dell’ormai storico locale milanese, Alcatraz, eppure vi è già un nutrito numero di persone ad aspettare. Nulla di sorprendente in fondo: le band che si esibiranno avrebbero tutte le carte in regole per poter suonare ciascuna da headliner. Andiamo però per gradi e introduciamo brevemente i gruppi in questione rispettando l’ordine di apparizione. Gli ucraini Jinjer apriranno le danze con una musica che è mix di generi, infatti riescono con destrezza a creare uno stile credibile prendendo a prestito elementi specifici di generi anche diversi tra loro, quali il metalcore, il djent e il groove. Al di là di nomenclature varie, la loro musica si distingue per un growl alternato a passaggi puliti nella voce di Tatiana Shmailyuk e in arrangiamenti che ne seguono le peripezie melodiche. Il gruppo ucraino ha già un vasto seguito e stasera supporterà il loro terzo album ‘King of Everything’ del 2016. Agli esordi, i Tribulation proponevano un death melodico, poi con il passare degli anni hanno modificato il loro stile, spostando il proprio baricentro creativo verso il gothic e il rock. Malgrado tutto, la musica del gruppo svedese ha conservato l’idea originale di dare vita ad una messa scena scurissima e possente, rischiarata da melodie striscianti e pervasive. Sono in tour, ma tra pochi giorni uscirà il loro ultimo album intitolato ‘Down Below’. I video dei singoli sin qui usciti promettono decisamente bene e in fondo la loro discografia parla chiaro, con una qualità media sempre elevatissima. Seguono quindi i finlandesi Wintersun che sin dagli esordi tradiscono una marcata affinità con il power metal più progressive e con il death metal melodico. Eppure anche loro nel tempo hanno ampliato lo spettro di influenze dando vita ad una musica che tra la sua forza da atmosfere arcane e da una messa scena potentissima. Sono a dir poco attesi con estratti da ‘The Forest of Seasons’, ultima loro fatica uscita lo scorso anno. Quindi ci muoviamo verso il gran finale, che ci porta direttamente agli Arch Enemy. L’ultima formazione del gruppo è quella con vita più breve, eppure in pochi anni, è diventata anche la più famosa e riconosciuta a livello internazionale. Due i fattori che hanno contribuito all’ascesa della band svedese: l’ingresso dell’ormai figura iconica Alissa White Gluz e il cambio di passo musicale della band verso un un death metal che perde le specificità di genere in favore di un metal più semplice che talvolta sposta l’accento su melodie marcate altre esplode in sfuriate death . L’ultimo album degli Arch Enemy, intitolato ‘Will To Power’, pubblicato nel 2017, prosegue il cammino del gruppo svedese con brani di grande energia che deflagrano talvolta in melodie sfolgoranti (in maniera in fondo dissimile da ‘War Eternal’). Ora non ci rimane altro che varcare l’ingresso dell’Alcatraz e vivere una serata che ha tutti i presupposti per essere davvero speciale.
Jinjer
Si presentano sul palco, ma manca lei, la cantante. Tatiana Shmailyuk. Pochi secondi e la sua comparsa è sottolineata da un boato. Tanto rumore è giustificato anche dalla sua figura carismatica e affascinante allo stesso tempo. Tatiana irradia energia. Il gruppo con Roman Ibramkhalilov alla chitarra, Eugene Kostyuk al basso e Vladislav Ulasevish alla batteria la segue intento a disegnare pattern complicati che toccano i generi più diversi; si passa dal djent al blues(!) in una messa scena sempre comunque estrema. Si parte a razzo con i primi due brani ‘Words of Wisdom’ e ‘Sit Stay Roll Over’ per poi volare nelle atmosfere pseudo alieno prog di ‘I Speak Astronomy’. Incredibile poi quante variazioni inseriscono nelle dinamiche dei loro brani, sia in brano come ‘Pisces’ che nella chiusura affidata a ‘Who is Gonna Be the One’ che nella violenza di un muro di distorto tratteggia una linea melodica vocale che passa dai Pantera ad un finale alla Amy Winehouse! In tutto questo Tatiana regge la scena con con energia e una precisione vocale ammirevole, ma direi che tutto il gruppo si dimostra all’altezza della serata. Davvero ben fatto.
Tribulation
Pur presentando ogni gruppo differenze sostanziali nella propria proposta musicale, i Tribulation con le loro tonalità più scure sono i meno leggibili, ci vuole infatti più tempo ad entrare nelle profondità del loro metal. I Tribulation dimostrano però dimostrano da subito di saperci fare con il nuovo brano ‘Lady of Death’ tratto da ‘Down Below’. Scorre veloce su riff affilatissimi che vengono rischiarati da melodie di matrice death, quasi fossimo ad un passo dagli esordi melodico death di ‘The Horror’. Diversi gli estratti dall’album del 2015, ‘The Children of the Night’ di cui cito un trittico speciale: ‘Melancholia’, ‘Motherhood of God’ e ‘Strange Gateways Beckon’. Ci sarà poi spazio ancora per il loro nuovo album con ‘Nigthbound’ e si chiude con uno dei nuovi singoli già rilasciati, intitolato ‘The Lament’. Un concerto che è cresciuto canzone dopo canzone sia nei suoni che nella risposta del pubblico. Adesso non vediamo l’ora di ascoltare la loro ultima fatica e ritrovarli presto dal vivo, magari con un pò più di spazio.
Wintersun
Il gelido inverno finlandese cala sul pubblico dell’Alcatraz che però è già caldissimo e freme per le sfuriate dei Wintersun. Un attimo di attesa è anche il cantante Jari Mäenpää fa la sua comparsa sul palco, completando così una formazione affiatatissima. Ho da subito la netta sensazione che molti tra il pubblico siano lì solo per loro, ma anche la restante parte si farà ben presto coinvolgere da brani che seppur talvolta lunghi trovano una forza inusuale in melodie power folk davvero straripanti alternate a corse death metal. E’ questo il caso del nuovo brano intitolato ‘Awaken From The Dark Slumber (Spring)’, tratto dal loro ultimo album ‘The Forest Seasons’ pubblicato lo scorso anno. Immediata e forte la risposta del pubblico, sia al brano che agli incitamenti di Jari Mäenpää che mostra un’energia davvero impressionante e costante fino all’ultima nota. Colpisce pou il brano ‘Sons of Winter and Stars’ per forza espressiva e capacità di coinvolgere i fan che comunque rimarranno su di giri per la durata di ogni singolo brano, fino al mastodontico finale di ‘Time’. Con merito i Wintersun lasciano il palco grazie ad una prestazione ottima (solo i suoni sono risultati leggermente impastati) in grado di convincere un sempre sempre crescente di sostenitori.
Arch Enemy
“Double up or quit, double stake or split, The Ace Of Spades”…le note di ‘Ace of Spades’ dei Motorhead rimbalzano nei cuori dei fan con ancora fresco il ricordo, comunque indelebile, della perdita di una delle ultime leggende del rock. Però il tributo migliore è che lo spettacolo non si fermi. Così gli Arch Enemy salgono sul palco nel tripudio generale, ma non c’è tempo per festeggiare, perchè ‘The World of Yours’ si abbatte su di noi e non fa prigionieri. L’energia si innesca da una melodia semplice, dalla presenza iconica di Alissa White-Gluz e da una band che può vantarsi di avere tra le fila musicisti incredibili quali: il fondatore chitarrista Michael Amott, il chitarrista Jeff Loomis (Nevermore), il bassista Sharlee D’Angelo e il batterista Daniel Erlandsson. Non sorprende del tutto che la prestazione sul palco sia di livello davvero alto. Riescono invece a sorprendermi di come Alissa sia in grado di dare una forza incredibile ai suoi growl per poi con una facilità impressionante liberare delle melodie in pulito precissime e notevoli per estensione. Sono davvero tanti i brani da citare (che bene meno o male rispettano, con qualche taglio, la scaletta standard delle ultime date) ed in particolare mi hanno colpito la velocissima e selvaggia ‘The Race’, la potentissima ‘Blood in the Water’ (qui davvero Alissa dimostra in modo particolare un rage notevole!) e l’ossessiva ‘No More Regrets’. Poi ci sono canzoni invece che mi hanno colpito per come il pubblico reagiva con una forza inusuale, con un trasporto unico, sia che a intonare i cori fosse il metallaro più giovane che il veterano ed in particolare sul trio di nuovi classici: ‘War Eternal’, ‘You Will Know My Name’ e ‘The Eagles Flies Alone’. C’è poi ancora tempo per rallentare ed abbassare i toni nella power ballad ‘Reason to Believe’. Corriamo quindi verso la fine del concerto con un brano che Alissa dedica al pubblico ‘We Will Rise’ e se possibile i fan sembrano essere ancora più rumorosi e vivaci. La chiusura invece è affidata a due brani: il primo è il potente ‘Avalanche’ a cui segue però un passaggio strumentale. Jeff Loomis, accompagnato da Michael Amott, suona un assolo costruito con virtuosismi degni di una leggenda. I miei ricordi, immagino come quelli di molti, istintivamente vanno al recente scomparso Warrel Dane, cantante dei Nevermore e dei Sanctuary. Quelle note salutano un artista che rimarrà sempre nei cuori dei fan e nel libro della storia della musica, alla voce “i più grandi”. Tornando al presente degli Arch Enemy…c’è spazio ancora per la brutale ‘Nemesis’ che vede ancora una volta Alissa sprigionare onde energetiche sul pubblico con quelle sue movenze stilose e quella voce incredibilmente sempre centrata. Gli Arch Enemy in definitiva hanno confermato il loro status di band internazionale di prima grandezza, sigillando nel migliore dei modi una serata davvero speciale. Si chiude per davvero nell’entusiasmo più che legittimo del pubblico.
FOTO DI ALBERTO GANDOLFO