Gojira + The Raven Age @Alcatraz – Milano (MI), 14 giugno 2017
Il 15/06/2017, di Marco Giono.
È trascorso un anno o poco più dall’ultima volta che ho visto i Gojira esibirsi sul palco di Milano. Quella data, per essere precisi l’8 giugno 2016, arrivava dopo la pubblicazione di ‘Magma’. Allora ero indeciso nel darne un giudizio, amavo alcuni brani meno altri ed in fondo la critica stessa al tempo si era divisa nelle valutazioni. Lo scorrere del tempo avrà attenuato le asperità dei detrattori? Il pubblico come accoglierà le nuove tracce e più in generale i Gojira? Della prima cosa ci frega poco, mentre è della seconda che ci interessa per davvero indagare. Prima però ci becchiamo il gruppo di supporto che per l’occasione sono gli ormai noti al pubblico italiano, i The Raven Age. Il gruppo inglese è stato di supporto di recente agli Anthrax, ma, poco più di un anno fa, ha avuto il privilegio di aprire per gli Iron Maiden. Per chi non lo sapesse poi uno dei chitarristi, George Harris è il figlio del leggendario Steve Harris, bassista dei Maiden stessi. Sotto il palco non siamo ancora in molti, ma il traffico rallentato dal maltempo è una scusa ragionevole per giustificare la momentanea scarsa affluenza. Dimenticavo siamo sul palco B, quello piccolo che si trova a poca distanza dal banchetto che vende il merchandising delle band. I The Raven Age si muovono su di una scenografia minimale con alle spalle solo un paio di corvi cartonati. Le luci si abbassano o meglio… sale l’oscurità. Il gruppo inglese investe, infatti, gli spettatori con ‘Darkness Will Rise’. Si tratta di heavy metal dalla forte connotazione melodica e con parziali richiami al metalcore. Tutto questo per dire che il brano funziona, mentre il pubblico sembra reagire bene, ma il cantante Michael Burrough, a dire il vero, arranca: rispetto al disco, infatti, non sembra trovarsi a suo agio nelle parti alte. Le cose miglioreranno con lo scorrere dei brani. Già con ‘Eye Among The Blind’ pare più in controllo. Gli altri membri si danno da fare. George Harris a dire il vero, pur sembrando a suo agio, non si mette particolarmente in mostra. Si mettono in evidenza il chitarrista Dan Wright e dal bassista Matt Cox che in un paio di occasioni duettano ricordando un altro gruppo inglese… nella musica dei The Raven Age sentiamo infatti anche i fantasmi dei Maiden, cosa che risulta evidente soprattutto nel brano di chiusura ‘Falling Grace’. Per il resto rimane una discreta prova limitata dal dover suonare dei brani a volte troppo prolissi e appesantiti da un riffing poco dinamico. Non sempre i The Raven Age riescono a creare con la loro musica quell’energia che trasmettono nella gestualità e nell’attitudine mostrata sul palco.
Sconfitto il traffico e la pioggia, il pubblico ora è aumentato. Malgrado la sala non sia traboccante, il colpo d’occhio è adesso decisamente migliore. Aumenta anche la smania di vedere i Gojira sul palco. Pochi minuti dopo le ventuno, gli spettatori li invocano ripetutamente. Le luci si affievoliscono per poi mutare in un alternarsi di grigio/blu. Il riffing di ‘Only Pain’ satura gli spazi. Il pubblico sembra ipnotizzato dal ritmo invasivo dei Gojira. Joe Duplantier ha carisma e con quello però ha anche una gran voce, in grado sia di dare forma a melodie spettrali che detonare una rabbia primordiale. Così quando si materializza ‘The Heaviest Matter of Universe’ abbiamo la sensazione di essere investiti da materia antichissima a cui non è possibile sottrarsi. Recupero un po’ di lucidità e mi pare di poter dire che il duo successivo ‘Silvera’ e ‘Stranded’ spazzi via qualsiasi dubbio sui suoni del gruppo, che sono spaventosamente precisi e potenti. Da menzionare è la batteria di Mario Duplantier, in grado di macinare ritmiche e di contribuire in maniera decisiva alla prestazione del gruppo.
Dopo l’epica e remotissima ‘Flying Wheels’, il cantante esprime il suo affetto verso l’Italia ed è sinceramente felice di poter suonare da noi con la promessa di tornare da noi al più presto. Intanto proseguiamo la corsa lungo un cammino accidentato, fatto di brani rinchiusi in se stessi come ‘The Cell’ oppure epicamente dispersivi con ‘L’Enfant Sauvage’, come poi non citare il simil-hardcore di ‘Pray’. Da notare che, rispetto alla scorsa data, i Gojira hanno inserito più brani da ‘Magma’ e pare che la cosa abbia decisamente funzionato.
La corsa termina poi con il muro implosivo di ‘Vacuity’, eppure il pubblico ammaliato dal canto senza tempo dei Gojira vuole di più. Ci saranno altre occasioni, intanto lasciamoci cullare dal ricordo dell’ennesima prova inappuntabile del gruppo francese. Chapeau Mas.
Foto di ALBERTO GANDOLFO