Rhapsody + Epica + Labyrinth @Alcatraz – Milano (MI), 7 Giugno 2017
Il 14/06/2017, di Dario Cattaneo.
Per noi che scriviamo, questa serata aveva un sapore particolare: il sapore della nostra giovinezza. Facevamo il liceo infatti quando cominciammo ad ascoltare questa musica e, nel bene o nel male, almeno due di queste tre band ci segnarono per sempre. Era infatti dei Labyrinth il primo – clamoroso – disco di power italiano che ascoltammo, ‘No Limit’, lo stesso disco che presento al mondo il nostro Fabio Lione; e fu invece dei Rhapsody uno dei nostri album preferiti dell’epoca: ‘Symphony Of The Enchanted Lands’. Con l’elegante e corposa aggiunta dei sempre validi Epica tra questi due grandi nomi, la proposta non poteva quindi essere migliore, e la bontà del bill è infatti ampiamente dimostrata dalla fila di persone ai cancelli, che già alle 17:00 arriva a girare il fatidico angolo tra via Valtellina e via Piazzi.
La serata, come dicevamo, si preannunciava dunque fantastica, ma un’ombra purtroppo ci tocca gettarla: non sempre, infatti, basta un bill di lusso a far uscire la ciambella con il buco perfettamente tondo, diciamo. E il primo motivo di (leggero) rammarico ce lo danno purtroppo i Labyrinth, infilati a forza, si direbbe, a suonare in uno spazio di nemmeno trenta minuti. Un trattamento, riteniamo, non proprio adatto alla caratura e storicità della band. Purtroppo,la proposizione di soli quattro brani ci è sembrata una scelta di difficile accettazione, sia da parte nostra che dei molti fan presenti. Certo, le varie ‘Bullet’, ‘Architecture Of A God’ e l’immancabile ‘Moonlight’ sono belle canzoni e vengono suonate benissimo da una band in palla, ma vedere le luci abbassarsi dopo solo quattro pezzi per una band in giro da più di vent’anni, ci ha lasciato uno strano sapore in bocca.
Il problema opposto invece lo ravvisiamo per i sinfonici Epica: scaletta troppo lunga per il tipo di approccio che la serata voleva avere. Gli olandesi, presenza fissa oramai da anni sui palchi italiani e di tutta Europa, sono certo una macchina rodatissima per quanto riguarda l’attività concertistica; sono anche però meno immediati, meno orecchiabili e soprattutto più prolissi rispetto a quanto potevano proporre Labyrinth o Rhapsody, cosa che a livello generale sembra aver influito un po’ sul risultato finale. Il punto qui però non riguarda una possibile serata storta di qualcuno dei musicisti o una cattiva gestione dei suoni (anche se all’inizio più di qualche sbavatura c’è effettivamente stata). La nostra critica qui va a un approccio al concerto secondo noi poco adatto: la scaletta proposta la troviamo, infatti, a nostro avviso, più adatta a un tour da headliner che a questo concerto, dal taglio sicuramente un po’ diverso. Non che chiedessimo ai cinque olandesi di cambiare genere – sia chiaro – solo pensiamo che la ricca e complessa scaletta di ‘The Holographic Principle’ avrebbe modo di risultare maggiormente in un contesto diverso, senza l’attesa da parte di molti dei presenti della maggior partecipazione che il successivo concerto dei Rhapsody prometteva di dare. ‘Edge of the Blade’, ‘A Phantasmic Parade’, ‘Universal Death Squad’ e ‘Beyond the Matrix’ fanno il loro dovere, presentando lo stratificato ultimo lavoro in discografia, e si alternano con buon ritmo con i classici immancabili come ‘Sensorium’, ‘The Essence Of Silence’ e ‘Fools Of Damnation’, ma qualcosa sembra non funzionare come al solito. Marc e Isaac chiedono più volte il circle pit, ma la folla nemmeno si apre, Simone scapoccia con i lunghi capelli rossi sulle parti più tirate di van Weesenbeek, ma è la sola a farlo. Poca partecipazione dunque, e un sound, come dicevamo, non sempre perfetto, minano quindi le basi di solito solide del live degli Epica che lasciano, purtroppo anche loro, un senso di incompiutezza nel nostro cervello.
Finora siamo stati un po’ critici nel valutare la serata, soffermandoci soprattutto sui particolari, più o meno gravi, che hanno a nostro avviso ridotto il divertimento che ci aspettavamo di avere. Con i Rhapsody di Lione e Turilli questo non succederà, anche perché nemmeno il più piccolo particolare negativo riusciamo a riscontrare in una serata perfetta, sia dal punto di vista della partecipazione che dell’emozione. Vent’anni. Che dire… ben vent’anni sono passati dall’uscita di ‘Symphony Of The Enchanted Land’, un disco che quando uscì fece chiaramente percepire che qualcosa era cambiato, che nuove strade si erano esplorate nel campo del power melodico. La velocità degli Helloween, la commistione con la musica classica su livelli sempre più alti, la sublimazione del concetto del cantante ‘Kiskiano’ e i cori alla Blind Guardian erano allora elementi non certo nuovi, ma mai usati prima in quella maniera, elementi che comunque si fissarono in modo indelebile nei cuori dei fans. E questi stessi elementi sono quelli che ritroviamo qui oggi, sul palco dell’Alcatraz, in questa serata del 2017, data che molti di noi, nel 1998, magari nemmeno immaginavamo. La scaletta segue fedelmente quella del disco che si sta celebrando, e dopo ‘Epicus Furor’ si rimane subito senza voce con la mitica ‘Emerald Sword’, che già fa finire la voce a molti dei presenti nel palazzetto. ‘Wisdom Of The Kings’ strappa i suoi applausi, ma è l’accoppiata ‘Eternal Glory’ e ‘Beyond the Gates of Infinity’ che non lascia scampo, presentandoci a rotta di collo due dei pezzi migliori della discografia del gruppo triestino. ‘Knightrider Of Doom’ rompe solo un attimo la tracklist dell’album festeggiato, ma ‘Wings of Destiny’ la riprende con forza, mostrandoci un Lione potente, preciso ed emozionale. ‘The Dark Tower Of Abyss’ copra l’Alcatraz di nere ombre prima che ‘Riding The Winds of Eternity’ e ‘Symphony Of Enchanted Lands’ chiudano il sipario sulla riproposizione dell’intero ‘Symphony…’. La seconda parte di concerto si apre con un coinvolgente drum solo di Holzwarth, che con piglio terremotante ci introduce alla storica ‘Land Of Immortals’, unico estratto dal grande ‘Legendary Tales’. Le sorprese non paiono però essere finite, perché un azzeccato intermezzo vocale di Lione permette un po’ di interazione con i fan in visibilio. Il vocalist chiede di cantare e noi cantiamo, e l’aria della celeberrima ‘Nessun Dorma’ riempie il palazzetto, riportando le note di Giacomo Puccini in auge ancora una volta. ‘Dawn Of Victory’, il nostro pezzo preferito, è solo l’ultima conferma della grandezza di questo show, che pure con gli encore si mostra in grado di stupirci, scaricandoci addosso bombe come ‘Rain Of A Thousand Flames’, ‘Lamento Eroico’ e l’immacabile ‘Holy Thunderforce’. Che dire… era il concerto che aspettavamo da vent’anni, da quando ‘Symphony…’ uscì, ma tutti noi sapevamo che i Rhapsody di allora non erano una band live. Per fortuna non è stato così.
Foto di EMANUELA GIURANO