Nick Oliveri live @Cellar Theory – Napoli (NA), 25 febbraio 2017
Il 02/03/2017, di Giuseppe Cassatella.
Folle, sfigato, genuino, irascibile, geniale, anticonformista. Gli epiteti per descrivere Nick Oliveri negli anni si sono sprecati. Alcuni veri, altri utilizzati a vanvera. Però credo di non sbagliare se uso per lui il termine felice, per sintetizzare il suo umore al termine della sua esibizione napoletana. Lo stato di beatitudine lo si leggeva sul viso grondante di sudore, perché probabilmente tutto quel calore, sia in termini di temepratura che di affetto, non se lo aspettava neanche lui. Così uno show iniziato quasi in sordina, con Oliveri salito sul palco a testa bassa, dando l’impressione dell’artista scorbutico, è terminato con un trionfo di autografi, ringraziamenti e foto con il pubblico.
Il tutto è avvenuto in una piovosa serata di fine febbraio nel capoluogo campano, in un locale accogliente e dal fascino off come il Cellar Theory, nel quartiere Vomero. Scesi i pochi gradini che conducono alla porta, si respira subito un’aria underground.
Ad aprire la tappa più a meridione del Death Acoustic Tour (una mezza dozzina di date in tutta Italia) ci hanno pensato i Sula Ventrebianco, band locale, che da poco ha pubblicato ‘Più niente’, album “saccheggiato” ampiamente durante l’esibizione (‘Amore E Odio’, ‘Metionina’, ‘Una Che Non Resta’ gli estratti dall’ultima fatica). Concerto in acustico anche per loro, così del quartetto originario è venuta meno la sezione ritmica, lasciando alle sole chitarre e voci di Sasio Carannante e Giuseppe Cataldo il compito di intrattenere il pubblico. Con loro, al violino, Caterina Bianco, ad arricchire il sound, che in questa veste acustica appare più intimistica, delicata e poetica, rispetto a quella nervosa e stoneggiante dell’elettrica. Una buona prestazione, utile a creare la atmosfera intima che avrebbe contraddistinto l’esibizione dell’americano.
Perché un uomo solo sul palco, con una chitarra e la propria voce come unici strumenti, da inevitabilmente vita a una situazione molto simile a una festa tra amici. E Nick, o Nicola come è stato ripetutamente chiamato dal pubblico, è l’amico che tutti vorremmo in spiaggia. Altro che rockstar che ha dato vita a una delle band più influenti dei 90 e che ha inciso uno degli album più venduti degli ultimi tre lustri. Lui è là, tutto solo soletto, a interpretare, violentare, riscrivere il suo repertorio e quello degli artisti che ama. Senza la spina, la carica energetica arriva dal pubblico e dal piccolo “mobiletto” bar alle sue spalle, fornito di vodka e Schweppes. Tutto il resto è sudore, che cola sulla chitarra, segnandola inevitabilmente. Da silenzioso, diventa sempre più ciarliero, forse per l’alcol o forse solo perché incoraggiato dall’amore dei suoi fan. Così tra una manciata di pezzi dei Kyuss (‘Green Machine’ e ‘Love Has Passed Me By’), uno dei Mondo Generator (‘Invisible Like The Sky’) e qualcosa dei QOTSA (‘Gonna Leave You’, ‘Another Love Song’ e ‘Feel Good Hit of the Summer’, quest’ultima con il microfono dato in pasto agli spettatori), sono spuntati dei tributi ad artisti che hanno influenzato l’americano, come Erick Erickson, GG Allen e Ramones. E il finale? Non poteva non essere in gloria, con la chitarra abbandonata e l’ugola sgraziata a urlare “Shoot, shoot, shoot, shoot, shoot, shoot”. Del dopo abbiamo già detto, con lui pronto ad abbracciare e a sorridere a tutti, tanto fradicio di sudore quanto di disponibilità e cortesia. L’opportunità di poter assistere allo show dei uno dei padri del movimento stoner in una condizione così raccolta, ha rappresentato sicuramente un valore aggiunto, perché ci ha permesso di conoscerne anche le doti umane, che probabilmente in una grande arena sarebbero passate inosservate.