Kreator + Sepultura + Soilwork + Aborted @Live Music Club – Trezzo Sull’Adda (MI), 21 febbraio 2017
Il 22/02/2017, di Andrea Schwarz.
Questa sera al Live di Trezzo arrivano in occasione del loro tour di supporto del validissimo ‘Gods Of Violence’ i Kreator dopo ben quattro anni dalla loro ultima calata in terra italica. Ed a seguire coloro che hanno scritto pagine importanti del thrash metal europeo e non solo. Ad accompagnarli un guest dal nome altisonante com’è quello dei Sepultura che ancora oggi richiamano molta gente in sede live. Ad accompagnare il duo troviamo gki Aborted ed i Soikwork. Ancora in pieno orario lavorativo (per alcuni) alle 18.40 cominciano come un orologio svizzero gli Aborted, il cui ultimo lavoro intitolato ‘Retrogore’ risale ormai a quasi un anno fa, un autentico attacco sonoro quello del quintetto belga che suona con una buona coesione: l’attacco iniziale costituito da ‘Divine Impediment’ è qualcosa che lascia attoniti, non un attimo di tregua e via con il secondo brano in scaletta ‘Cadaverous Banquet’, giusto quel minimo stacco tra un pezzo e l’altro all’insegna della pura violenza sonora. Il pubblico risponde bene alle sollecitazioni del cantante Sven de Caluwé che si esprime in growls mozzafiato coadiuvato da una tellurica sezione ritmica. Fortunatamente i suoni sono già decenti per essere il primo gruppo del bill, forse un po’ carenti nei momenti solisti ma nel complesso il suono che esce dal PA è più che soddisfacente per band e per il pubblico. Con ‘Meticolous Invagination’ le chitarre si fanno taglienti più che mai anche se il cantato diventa quasi irriconoscibile, sempre sugli scudi la prova del batterista Ken Bedene che a conti fatti è il vero cuore pulsante della band. Ed è da questo brano che il pubblico si scatena in un mini pogo che coinvolge non tantissime persone ma in maniera molto energica. Furioso headbanging sopra e sotto il palco con ‘Retrogore’ dove possiamo gustare alcune partiture midtempo davvero ottime al quale fa seguito un piccolo break prima di partire all’impazzata con ‘Coffin Upon Coffin’ nel cui thrashy mid tempo centrale vengono saggiamente e scenograficamente utilizzati alcuni pyros prima di terminare con un finale all’impazzata. Stesse coordinate sonore che hanno contraddistinto anche le successive ‘Termination Redux’, ‘Threading on Vermillion Deception’ e ‘Bit by Bit’, gli Aborted hanno saputo dosare bene le loro forze esibendosi in un set energico che ha coinvolto il pubblico ma il cui sound troppo monolitico ha appesantito una tutto sommato buona prestazione. Mezz’ora di set per gli Aborted e via al soundcheck per il set dei Soilwork che cominciano, applauditissimi, alle 19.30. Qui i suoni migliorano, la violenza sonora viene mitigata da gustosi e melodici refrain fin dall’iniziale ‘The Ride Majestic’. Non monolitiche bordate sonore ma un sound che conferma quanto di buono fatto in studio, melodia e tecnica al servizio del pezzo anche quando i tempi si fanno maggiormente cadenzati come in ‘Nerve’ tratto da ‘Strabbing The Drama’ pubblicato nel lontano 2005. La band sa tenere il palco, i suoni si fanno ariosi anche grazie al tappeto sonoro costruito dalle tastiere di Sven Karlsson sui quali si stagliano interessanti intrecci solisti. Uno degli highlight della serata è stata l’esecuzione di ‘Rise Above Sentiment’ dove il cantante Bjorn Strid ha saputo raccogliere a sé il pubblico presente sempre più numeroso, sfuriate sonore unite a momenti maggiormente cadenzati dotati di una melodia che anche dal vivo colpisce nel segno; si nota la loro coesione, il loro divertirsi sul palco che inevitabilmente si trasmette ai presenti. Un salto nel passato e più precisamente nel 2001 con ‘Bastard Chain’ tratta da ‘A Predator’s Portrait’ che scatena per la prima volta il pogo sotto il palco che continua con la successiva ‘The Living Infinite I’ grazie al suo killer riff che strappa più di un applauso. Coinvolgenti, tonici, ispirati…questi i Soilwork questa sera, quando colpiscono duro come in ‘The Chainheart Machine’ e ‘Two Lives Worth Of Reckoning’, quest’ultima accompagnata da un pit in continuo movimento. ‘Late for the Kill, Early for the Slaughter’ è un brano che con il suo energico impatto ha fatto qualche ‘vittima’ sotto il palco, un buon riscaldamento per quello che sarebbe arrivato dopo con Sepultura e Kreator. Bjorn Strid sa come ammaliare la folla e portarla a seguire le sue indicazioni, la platea risponde bene ad ogni sua sollecitazione accompagnato da una schiera di musicisti tecnicamente precisi ma con cuore e pathos. ‘Stabbing The Drama’ è il brano che chiude una scaletta ben bilanciata, finale accompagnato dai ringraziamenti della band e da un headbanging che ha accomunato le prime file alle ‘retrovie’ e dal refrain cantato da buona parte della sala. Purtroppo il tempo scorre veloce ed alle 20.10 i Soilwork hanno lasciato spazio, dopo ad un breve cambio palco a chi li avrebbe seguiti: Sepultura. Certamente la prestazione del sestetto svedese è stata caratterizzata da una prestazione dove i nostri non si sono risparmiati alzando di molto il tasso energetico della sala, più di quanto non abbiano potuto fare gli Aborted. Ma l’attesa nei volti dei presenti comincia a salire per quelli che della serata sono i coheadliner: ‘tali’ Sepultura. Chiaro, non ci troviamo di fronte alla band che ha saputo firmare autentiche pietre miliari del thrash come ‘Beneath The Remains’ ed ‘Arise’ ma rimane pur sempre un gruppo che ha saputo negli anni, anche attraverso radicali cambi di line up ed alterne fortune, portare avanti il proprio credo imperterrito e coerente. L’attesa dura poco meno di mezz’ora fino a quando nella sala non risuonano nell’aria le note di ‘I Am The Enemy’….ed il pubblico si scatena nonostante non ci si trovi dinanzi ad uno dei migliori brani della loro produzione. Andreas Kisser ha carisma da vendere, è lui che con molta maestria guida le danze a fianco di un Derrick Green che onestamente sembra un po’ fuori contesto. La sala ormai è piena ed accoglie con un’ovazione la seguente ‘Phantom Self’ che colpisce in pieno volto con il suo ritmo cadenzato e tribale allo stesso tempo. Gli astanti rispondono bene anche se bisogna ammetterlo con un po’ di tristezza: accoglienza ben più calda e piena di entusiasmo i Sepultura la raccolgono a partire dal quarto brano in scaletta, ‘Desperate Cry’ tratta da ‘Arise’…qui l’apoteosi! Pogo incessante, drumming potente e preciso quello di Eloy Casagrande, un tutt’uno band – pubblico che ha fatto venire i brividi. Sicuramente una versione suonata ad una velocità molto minore rispetto all’originale ma ancora in grado di mostrare la sua classe, tra gli highlight di ‘Arise’ ed ancora sublime nella sua semplicità. ‘Alethea’ ci riporta ai giorni nostri all’ultimo ‘Machine Messiah’, qui i ritmi si abbassano notevolmente facendo tornare in uno strano tepore quel pubblico che solo nel brano precedente aveva pacificamente ‘guerreggiato’ sotto il palco. È la cesura tra i vecchi ed i nuovi Sepultura, il leit motiv che ha accompagnato di fatto tutto il set del quartetto brasiliano. Folla in totale estasi con la vecchia discografia quanto apatico e quasi immobile nell’esecuzione dei brani nuovi, ‘strappo’ che si nota tra la successiva ‘Sworn Oath’ (che ha al suo interno un notevole killer riff) ed ‘Inner Self’ tratta da ‘Beneath The Remains’…ed il pit si scatena…quanto manca Max Cavalera, non me ne voglia il buon Green che ci mette tanto del suo ma non basta per arrivare alla magia che scaturirebbe con il buon Cavalera dietro il microfono. Ma è da ‘Refuse/Resist’ che la temperatura si alza a livelli stratosferici seguita dal trittico ‘Arise’ – ‘Ratamahatta’ – ‘Roots Bloody Roots’….È sintomatico notare come ‘Arise’ sia tra i brani meglio riusciti dell’intera serata, prova maiuscola di una band maggiormente libera, quasi come se avessero timore nel suonare brani più recenti. Ma con un catalogo assolutamente superlativo fino a ‘Roots’ diventa difficile per chiunque fare meglio, soprattutto con la storia che la band carioca si porta sulle spalle. Insomma, un concerto che ascoltando i presenti non ha deluso ma che non è stato all’altezza delle aspettative, troppo divario in scaletta tra vecchia e nuova produzione, un Green non propriamente adatto alle loro sonorità mentre a far da contraltare la stupenda esibizione di Eloy Casagrande dietro le pelli e di un Kisser sempre presente. Alle 22.00 in punto si presentano sul palco coloro che, a ragione, sono considerati tra i padri del thrash metal tedesco….Kreator!!! Ed anche qui si nota quanto l’attesa fosse alta nei loro confronti che esplode fin dalle prime note di ‘Hordes Of Chaos (A Necrologue for the Elite)’, Mille Petrozza è una furia arringando la folla producendosi in maligni vocalizzi e stregando la folla con infinita maestria. Sono un’autentica macchina da guerra questa sera i Kreator, da brividi sentire le scudisciate di ‘Phobia’ cantate da un Live pieno e partecipato, pyros e luci stroboscopiche che coinvolgono band e pubblico in un tutt’uno. Dopo questi due brani che hanno scaldato a dovere i fans, Mille Petrozza & Co. si cimentano con due estratti dall’ultimo ‘Gods Of Violence’, quella ‘Satan Is Real’ e la title-track che hanno già l’aria di entrare a far parte dei loro classici, eseguiti con perizia tecnica e con l’ausilio di immagini proiettate su alcuni pannelli dietro alla band stessa che non lesina energie. E gli spettatori gradiscono, eccome! ‘People Of The Lie’ continua a far scatenare le prime file in un furioso pogo che non si vedeva da anni così come avviene anche in ‘Total Death’ da ‘Endless Pain’…è un autentico delirio, grandiosi! Lo show del combo teutonico è adrenalina pura da vivere fino in fondo, sono loro la grande attrazione della serata e lo sanno bene, interpretano il ruolo di interpreti principali in maniera sublime accompagnati finalmente da giochi di luci degni della principale protagonista: la musica. Sembra quasi di assistere ad un rito pagano dove gli adepti di un magnetico Petrozza seguono le gesta dei propri eroi pedestremente, vedasi l’inizio di ‘Fallen Brother’ che ha visto centinaia di braccia alzate e di ugole festanti che hanno potuto godere di immagini proiettate raffiguranti grandi della musica come Phil Lynott, Lemmy e Jeff Hanneman, giusto per citare quelli più significativi e vicini al ‘popolo’ accorso a godersi la serata. Prima di cominciare con ‘Enemy Of God’ Petrozza chiede al pubblico di dividersi in due tronconi laterali lasciando un corridoio centrale preparandosi al suo via ad un unirsi in un’autentica bolgia…esperimento riuscito pienamente! Sfruttando nella sua interezza il palco grazie a due pedane laterali che permettono ai membri della band di andare dietro alla batteria a circa sei sette metri di altezza, questo semplice effetto amplifica la padronanza scenografica in ‘dotazione’ alla band, musicalmente ineccepibili danno una lezione encomiabile su come dovrebbe essere suonato ed interpretato il buon vecchio thrash metal old style: diretto, compatto, senza fronzoli ed altamente adrenalinico. Come non rimanere colpiti dal ritmico battito di mani nella parte centrale di ‘From Flood Into Fire’, segno di un’audience ormai conquistata pienamente. ’World War Now’ e ‘Hail To The Hordes’ sono altre due canzoni nuove che mietono consensi in ogni angolo del club, un muro sonoro che riesce ad asfaltare anche i fans più temerari prima di imbattersi in ‘Extreme Aggression’ e ‘Civilization Collapse’ che danno la cosiddetta (positiva) mazzata ad un auditorio estasiato. E dopo tanta grazia i Kreator salutano come nel più classico dei copioni per tornare sul palco dopo qualche minuti di meritato riposo con ‘Violent Revolution’ anche se forse comincia ad affiorare qualche segno di comprensibile stanchezza. Lo show fin qui è stato a dir poco dispendioso da entrambe le parti ma guardandosi in giro le facce sono di quelle felici e soddisfatte giusto per il fatto di stare assistendo ad un concerto che ci si ricorderà per qualche tempo…il duo ‘Flag of Hate’ – ‘Pleasure To Kill’ sono il sigillo finale ad uno show dove nessuno dei protagonisti si è risparmiato, ha dimostrato di come la band di Petrozza possa essere ancora in grado di saper accompagnare per mano i propri fans, uno per uno dosando a dovere nuova e vecchia produzione. Un plauso anche al pubblico che ha pogato, cantato e fatto headbanging per tutta la durata di un estenuante concerto così come continui e ripetuti ringraziamenti sono arrivati dalla band nei confronti del pubblico italiano sottolineando come questi ultimi siano stati vicini al gruppo nei momenti belli cosi come in quelli bui. Non poteva ricevere se non una meritata standing ovation alla fine di un’ora e mezza di adrenalina pura, una dimostrazione di come il mestiere del musicista non può essere improvvisato o lasciato al caso. Summa di una splendida serata all’insegna delle emozioni, quelle che fortunatamente la musica è ancora in grado di regalare…
Foto di ALBERTO GANDOLFO