Amon Amarth + Testament + Grand Magus @Alcatraz – Milano (MI), 21 novembre 2016
Il 22/11/2016, di Andrea Schwarz.
I concerti, per taluni ed in alcuni casi, possono essere paragonabili ad un rito, pagano ma sempre di rito si tratta. Appuntamento atteso a volte alcuni mesi visto che ormai i tour vengono annunciati anche quasi un anno prima, questa sera all’Alcatraz di Milano alle 17 c’era già qualche centinaio di spettatori, sotto una pioggia battente, ad attendere la calata degli svedesi Amon Amarth dopo un grande periodo di assenza dai palchi nostrani. Rimarchiamo subito che si nota immediatamente la popolarità crescente che gli Amon Amarth stanno riscuotendo sul pubblico: magliette, corni, in alcuni casi caschi con corna vichinghe o corni appesi alla cintola. Non è questa la sede per analizzare questa tendenza che non sarà solo rapportabile ad un fattore puramente folkloristico, ci limitiamo però a sottolineare che certe tematiche, se ben rappresentate come nel caso del quintetto svedese, possono essere un interessante argomento per un pubblico sempre attento. In questo primo headlining tour degli Amon Amarth troviamo i Testament con un album fresco fresco (‘Brotherhood Of The Snake’) ad appena un mese dalla sua uscita nuovamente on the road: certo, qualche anno fa sarebbe stato il contrario ma questo è il segnale dei tempi che cambiano e soprattutto lo specchio di questa crescente popolarità che la band di Johan Hegg ha saputo conquistarsi disco dopo disco, non da ultimo quel ‘Jomsviking’ che spicca per gusto melodico e potenza chirurgica dei suoi brani. Le danze cominciano prestissimo, puntuali alle 18.50 salgono sul palco i Grand Magus che si riveleranno come autentica sorpresa della serata. Il pubblico è già presente in massa nonostante l’orario ancora per certi versi lavorativo, un pubblico che segue quindi la performance del terzetto con molta attenzione e trasporto, le stesse caratteristiche che anche la band sul palco profonde in quantità industriale. Il set dei Grand Magus, reduci dalla release dell’ultimo studio album dello scorso maggio (‘Sword Songs’), è forzatamente ristretto in mezz’ora che vede l’esecuzione solamente del brano ‘Varangian’ da quest’ultimo disco mentre per il resto il terzetto svedese pesca a piene mani dalla precedente produzione. ‘Steel Versus Steel’ ha quel grande retrogusto priestiano, mani alzate, corna e teste roteanti nella migliore tradizione metal, ‘Iron Wheel’ è un anthem un pò scontato nella sua struttura ma è una semplicità compositiva che il pubblico gradisce particolarmente. La voce di Janne ‘JB’ Christoffersson stupisce per la sua duttilità ed estensione, cosa non comune quando ci si trova in sede live: in studio grazie alle tecnologie moderne (vedi autotuning) il ‘lavoro’ dei cantanti è facilitato ma in questa sede se la voce c’è, viene fuori altrimenti si va incontro a figuracce colossali. E non è il caso del buon Christofferson. I ritmi durante il loro set non lasciano un attimo di tregua, i Grand Magus cercano continuamente di coinvolgere il pubblico grazie a brani quali ‘Sword Of The Ocean’ e ‘Hammer Of The North’ giusto per citare qualche nome in ordine sparso. Dopo un velocissimo cambio palco è arrivato il momento dei Testament, gruppo che nel nostro Paese ha sempre goduto di un’accoglienza particolarmente calorosa e vista l’attesa palpabile che si respira nell’aria non facciamo fatica a credere che anche questa volta il copione sia lo stesso. Ed in effetti, accompagnati da un backdrop raffigurante il serpente di ‘Brotherhood Of The Snake’, la band a stelle e strisce si presenta alle h 19.40 in splendida forma proponendo fin da subito ‘Brotherhood Of The Snake’ e ‘Rise up’, concatenate insieme e riversando sul pubblico una tale violenza sonora da lasciare impietriti e devastati, si rivede (finalmente) un pogo incessante nel pit come non se ne vedeva da tanto tempo! Il brano successivo, sempre estratto dall’ultimo studio album, è il singolo ‘The Pale King’ dove troviamo uno straripante Skolnick, un vero marziano con la sei corde il quale a volte sembra quasi estraniarsi nel suo mondo mentre gli altri musicisti si cimentano in esecuzioni killer, quasi come se la sua classe innata fosse sopra ogni cosa. E non possiamo, per certi versi, non dar ragione ad un chitarrista al quale non è mai mancato l’estro ed il talento. La scaletta si dipana tra brani vecchi e nuovi, autentici pugni in faccia si dimostrano ‘Disciples Of The Watch’, ‘The New Order’ prima di ‘Dark Roots Of Earth’ che per certi versi, grazie al suo midtempo, fa calmare un po’ gli animi surriscaldati dalle suddette scudisciate sonore. Bello sentire, appena dopo l’attacco di ‘Stronghold’ tratto dall’ultimo album in strudio e dedicato ai nativi americani, Chuck Billy incitare il pubblico con un italiano più che accettabile “e andiamoooo”!!!!!! Prima della fine di un concerto dove sia la band che il pubblico non ha risparmiato energie troviamo le classiche ‘Into The Pit’, ‘Over The Wall’ (con un Billy leggermente sotto tono) e la relativamente recente ‘The Formation Of Damnation’. La base ritmica formata da Steve DiGiorgio e Gene Hoglan è unica ed incredibile, probabilmente in campo metal è quanto di meglio una band possa avere con sé, la coppia d’asce Peterson / Skolnick è come sempre perfetta e complementare mentre troviamo un Chuck Billy sugli scudi tranne qualche raro caso, quasi fisiologico vista la scaletta alquanto tirata. E poi bisogna sottolineare che i Testament hanno un catalogo con talmente tanta qualità e quantità dalla quale pescare autentiche hit da far scatenare il proprio ‘adorante’ pubblico, un massacro sonoro che trova pochi riscontri nel panorama metal odierno. Un’ultima considerazione, a margine di cinquanta minuti di live show, la meritano i brani in sé questa sera proposti: i nuovi pezzi si sposano bene con il resto del loro trentennale catalogo, è sempre presente la stessa cattiveria, la stessa ispirazione, lo stesso pugno in pieno volto che colpisce ininterrottamente dal primo all’ultimo minuto. Una garanzia, totali. E, dulcis in fundo, ecco arrivare in leggero ritardo le autentiche stelle della serata: Amon Amarth. La cosa che spicca maggiormente, oltre ad avere un nutritissimo ed affezionato pubblico che va ad occupare per intero il già grande Alcatraz, troviamo una produzione quasi da mille ed una notte in un periodo nel quale siamo abituati a stage molto più minimali e per così dire essenziali. La band capitanata da Johan Hegg non ha lesinato sforzi e costi andando a produrre un palcosenico dove la batteria è stata posizionata più in alto rispetto al palco stesso, contornata da due enormi corna vichinghe ed accessibile attraverso due scalinate laterali. La band svedese, forte del successo e grande riscontro di pubblico di una carriera in crescendo culminata con la pubblicazione lo scorso marzo dell’ultimo studio album ‘Jomsviking’, gioca con i propri accoliti grazie anche ad una scaletta dove propone brani in cui i fans si rispecchiano totalmente, Johan Hegg è un frontman di altri tempi capace di catalizzare su di sé l’attenzione ed oscurando un po’ gli altri musicisti che, a dire il vero, non fanno neanche nulla per rubargli la scena. Dopo i primi due brani in scaletta (‘The Pursuit Of Vikings’ e ‘As Loke Falls’) il buon Hegg arringa la folla con un perfetto italiano (un po’ come avvenuto precedentemente con Chuck Billy) “Come va, tutto bene? Molto bene?” prima di partire all’assalto con ‘First Kill’, uno dei brani migliori dall’ultimo ‘Jomsviking’. Fumi e pyros, grandiosi giochi di luci e tre cambi di backdrop nonché numerosi figuranti vestiti da vichinghi che sul palco simulano un combattimento (durante l’esecuzione di ‘The Way Of Vikings’), vichinghi con arco e frecce ai lati della batteria durante il brano ‘One Thousand Burning Arrows’ e così via in un continuo gioco di luci che a volte da solo vale il prezzo del biglietto (vedi ‘Death In Fire’). Olavi Mikkonen e Johan Soderberg sono una coppia d’asce che si compensa badando al sodo piuttosto che al puro aspetto tecnico o ‘numero ad effetto’ mentre la nuova base ritmica (Ted Lundström al basso ed il nuovo entrato Jocke Wallgren alla batteria) è il reale motore di una band il cui Hegg è l’autentico anfitrione, il classico front man che sa come guidare il pubblico in ogni momento senza nessun cedimento durante tutto il set. Altro brano particolarmente apprezzato è stato ‘Guardians of Asgaard’ eseguito durante i bis che ha visto un backdrop raffigurante fulmini, a sorpresa alla destra del palco un’enorme testa di drago si è ‘materializzata’ (alla sinistra troviamo la coda), drago che ha avviato così un duello con Johan Hegg che cercava di sconfiggerlo con un enorme martello come se fosse un novello Thor. E’ Impressionante notare alla fine dello show l’enorme (e dispendiosa) produzione di cui hanno goduto gli Amon amarth in questo primo vero headlining tour, come già detto segno del grande seguito e successo di cui ormai godono. Il numerossissimo pubblico presente ha dimostrato un calore immenso come sempre uscendo assolutamente contento e soddisfatto di quanto visto, è stato bello vedere negli occhi dei presenti all’uscita la contentezza di aver assistito ad uno spettacolo non irripetibile ma certamente di quelli che raramente si è soliti assistere.
Foto ALBERTO GANDOLFO